DUE PISTOLERI
Uffa! Da un po’ di tempo in qua Gennaro è sempre in ritardo agli
allenamenti di atletica e il mister si sta scocciando. Anche oggi tarda già da dieci minuti.
Non faccio altro che scrutare l’orizzonte sperando di veder spuntare il suo
ciuffo nero … Oh no! Guarda in compenso chi sta arrivando! Le sorelle “eco”,
come le chiamo io. Sono gemelle, super lentigginose e grassottine, con un cesto
di riccioli incolti che non vedono il pettine da quando sono nate. Se ne vanno
sempre in giro insieme con dei panini grossi come dirigibili. Le conosco perché
abitano nella mia strada e abbiamo la stessa età. Mamma dice che sono nate
pochi giorni dopo di me e che all’epoca vedeva sempre i loro genitori con due
occhiaie fino alle caviglie per la stanchezza …
- Ciao Antonio! – mi
saluta Dora prima di dare un gran morso al suo panino.
- ‘Ntonio – le fa eco
Fedora.
- Ciao Fedora, ciao Dora –
le saluto con un sorriso, e non posso fare a meno di pensare a quanta poca
fantasia possano avere i loro genitori!
- Che fai? Non vieni agli
allenamenti? – mi chiede Dora.
- Già, e gli allenamenti?
– si associa Fedora.
- Sì, adesso arrivo. Voi
intanto andate. Vi raggiungo.
- Mica starai aspettando
Gennaro? Lo sai che quello è sempre in ritardo ultimamente … quando si ricorda
di venire, poi! – conclude con una scrollata di spalle, mentre si pulisce dai
bricioli sparsi sulla maglietta.
- Già, mica starai ancora
ad aspettarlo?
- Avrà avuto qualche
problema. Sono sicuro che adesso arriva – rispondo sentendomi subito rissoso -
E comunque non lo sapete che non si mangia prima di fare sport? Va a finire che
vomitate tutto!
Al che le due si guardano
facendo spallucce.
- Il corpo è come una
macchina: se non ci metti la benzina non va! - rispondono in coro.
- Se anche tu facessi
lancio del peso, non potresti essere così mingherlino … – riprende Fedora con
uno sguardo di commiserazione - vabbè, noi andiamo, ti converrebbe venire con
noi, invece di star qui a perdere tempo …
- Mmh … Già, stai qui solo
a perdere tempo …
Sto per dare una
rispostaccia a tutte e due quando vedo arrivare Gennaro tutto trafelato.
- Antò! Eccomi!
- Ma dove ti eri cacciato?
E’ un secolo che ti aspetto! – gli sibilo guardandolo male. Poi mi volto verso
le ragazze – Visto? E’ arrivato! – faccio con un bel sorriso, tutto
soddisfatto. Loro però mi guardano scuotendo la testa e se ne vanno senza
nemmeno rispondere.
- Eh, figuriamoci, un
secolo! Beh, ora sono qui. Andiamo, che facciamo tardi … - risponde asciutto.
- Ma si può sapere cosa
sta succedendo? Prima non arrivavi mai in ritardo, non ti perdevi un
allenamento ... guarda che il mister si lamenta di te, dice che non ci metti
impegno ... e la cosa più grave è che ha ragione!
- Iiih quante storie! Ho
avuto da fare con mia sorella e dovevo finire i compiti, sennò chi la sentiva
mamma! Sarò un po’ stanco in questo periodo, ecco tutto. Che vuoi che ci sia? –
e rimane a guardarmi sorridendo e dandomi una pacca sulla spalla per smorzare
l’aria lamentosa della sua risposta.
- Mmh – mugugno poco
convinto – secondo me non me la racconti tutta. A guardarti sembra che tu abbia
appena finito di allenarti, e invece dobbiamo ancora cominciare! Sei stravolto!
Lui mi guarda in modo
strano, apre la bocca, fa un sospirone, poi la serra e sembra di colpo triste.
- Cosa vuoi dire? Devi
dirmi qualcosa Antonio? – mi chiede serio serio – perché se devi dirmi
qualcosa, dimmelo subito e facciamola finita.
Sentendo il suo tono grave
rimango a guardarlo come se avessi visto un dinosauro – Che vuoi che abbia da
dire?! Solo quello che ho appena detto! Lo sai che è da un po’ che sei strano,
eh?
- Eh, sei normale tu,
invece! – risponde lui ritrovando un mezzo sorriso. E sembra che la mia
risposta l’abbia sollevato da un peso enorme – Senti, lo sai che ti dico? Ormai
abbiamo fatto tardi e mica mi va tanto di sorbirmi un’altra predica del mister.
Andiamo a prenderci un gelato e facciamo un giro ai giardini, ti va? Così
magari arriviamo al campo da baseball e ci vediamo gli allenamenti dei ragazzi
grandi e chiacchieriamo un po’. Lo sai che nella partita di domenica scorsa …
- Oh, ma con questo
baseball hai preso proprio una fissazione, eh? – sbotto - Non fai che parlare
di quello! Della partita che hai visto alla televisione, delle partite che vai
a vedere di nascosto della Florentia Baseball scavalcando la rete … che prima o
poi ti beccano, eh … pensa che figura … del negozio di sport che vende i
cappellini dei Red Sox! Gennaro! Riprenditi! Lo sai che il tuo sport è
l’atletica! Quella prova di baseball che abbiamo fatto per la festa dello sport
è stata solo una parentesi per divertirci, lo avevi detto anche tu … Lo sai che
i tuoi non potrebbero permettersi di iscriverti a un corso così! Non sei
contento di fare atletica con me?
- Io … io a quella prova
sono stato bravo, lo sai. Che male c’è se ne parlo? – risponde, facendo
l’offeso – e grazie tante per avermi ricordato che non sono ricco!
- E’ che parli solo di
quello! Sempre di quello! – esclamo. E mi dispiace ammetterlo, ma la mia voce
suona proprio scocciata.
- E tu ti arrabbi sempre
appena comincio a parlarne! Sempre! Non si può aprire bocca!
- Non è vero!
- Certo che è vero! Sennò
perché stai urlando?
- Urli anche tu! Te ne
accorgi?
Se qualcuno ci vedesse in
questo momento, penserebbe che siamo due attori di film western. Avete presente
quando i pistoleri sono uno di fronte all’altro, pronti per sfidarsi, e
all’improvviso il silenzio si fa irreale? Nessuno di noi due dice più una
parola. Se ci penso, ho quasi l’impressione che potrei stare senza più aprire
bocca per sempre. Primo perché questa scena mi fa tristezza e quando sono
triste non so mai cosa dire. Secondo perché non so nemmeno come abbiamo fatto
ad arrivare a urlarci contro. Gennaro ed io non lo facciamo mai. Siamo amici. E
gli amici non urlano l’uno contro l’altro. Terzo perché in fondo non capisco
perché a volte sono così rigido: che male c’era ad andare a prenderci un
gelato? Ora saremmo da Luciano, che fa il gelato più buono che abbia mai
assaggiato, a mangiarci crema e cioccolata. O pistacchio e fior di latte. La
Barbara ci fa sempre dei super coni giganteschi …
- Io me ne vado a casa –
sbotta a un tratto Gennaro scuotendo il suo lungo ciuffo nero. Riprende lo
zaino che aveva posato a terra e se lo rimette in spalla. Passandomi accanto mi
urta lievemente. Lo guardo avviarsi verso casa sua. Di solito facciamo sempre
la strada insieme, così le nostre mamme stanno più tranquille. Dovrei
chiamarlo, forse. Chiarire, spiegare le nostre ragioni con calma. Ma mentre
penso tutto questo, i minuti passano veloci e lui è già lontano.