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martedì 24 settembre 2024

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Primo capitolo

 

Veduta di Santa Croce da Villa Bardini, Firenze

FIRENZE, 12 GIUGNO 2009

 

Devi tenere gli occhi aperti. A volte, quando meno te lo aspetti, la vita si rovescia, perché gli imprevisti capitano a chiunque, anche a te che pensavi di avere tutto sotto controllo.

Clizia: che strano, con un nome così credevo di essere destinata a qualcosa di particolare. Lo zio Dario mi ha detto che il mio nome deriva dal greco e vuol dire “famoso”. È stato lui a suggerirlo ai miei genitori, poco prima che nascessi, prendendo ispirazione dalla commedia di Machiavelli e dalla Clizia del suo amato Montale. Lo zio è un professore di italiano, romantico e con la testa fra le nuvole. Chissà cosa speravano che diventassi? Famosa? Bella? Geniale? Invece non ho niente di particolare, a parte gli occhi: marroni scuri e grandissimi, con lunghe ciglia. Sono loro il mio punto forte.  E a forza di concentrarmi sui miei occhi, per assicurarmi di avere qualcosa di speciale anche io, ho imparato a usarli per guardare attentamente, ho imparato a poggiare lo sguardo sui particolari. Così lo sapevo già che a casa c’era qualcosa che non andava: la mamma sbadata, come avesse la testa altrove, la mascella contratta del babbo, i bisbigli al telefono, e poi quella novità di vedere almeno due telegiornali al giorno, noi che prima tenevamo quasi sempre la televisione spenta.

Stasera, finalmente, è venuto fuori il problema.

La scuola è finita da due giorni e sono passata in terza media. Una buona pagella, se sorvoliamo sui voti stiracchiati di matematica e scienze. Io ed Erina ce ne siamo andate un po’ a giro nel quartiere; anche se era un caldo soffocante non abbiamo rinunciato alla conquistata libertà e ci siamo dirette verso Piazza Santa Croce, il punto di ritrovo della nostra compagnia. Siamo rimaste a sedere su una panchina a guardare i turisti che affollavano la piazza e a chiacchierare, mangiando un ghiacciolo. Dopo un po’ è arrivato Davide, il fratello maggiore di Erina, con il suo amico Massimo. Gli occhi di Davide sembravano più verdi del solito e spiccavano sul suo viso abbronzato: mi hanno fatto pensare a delle foglie di menta, tanto erano intensi. Sono occhi pericolosi, mi causano sempre un certo subbuglio. Massimo non faceva che dondolarsi sulla sua bici, mentre ci guardava di sottecchi. A Erina piace Massimo e da come si comporta anche a lui piace lei, ma tutti e due fanno finta di niente: essere la sorella di Davide rende impossibile il loro amore. Non so perché funzioni così fra i ragazzi, ma d’altronde, essendo figlia unica, non ho questo problema. Nessun fratello geloso, nessuna chiacchiera a luci spente in camera per confidarsi segreti, nessuno in vacanza insieme a me pronto a giocare o a fare un giro per esplorare un posto nuovo, niente calci sotto la tavola durante la cena, niente da condividere … beh, avrebbe potuto essere divertente!

Quando sono tornata a casa ho trovato tutto come al solito: tavola apparecchiata, pentole sui fornelli e tutto il resto. Siccome da un po’ ero sempre io che tenevo la conversazione a cena, visto che i miei genitori sembravano sempre assorti in altri pensieri, ho deciso di tacere perché quel silenzio poteva diventare molto assordante e poteva far venir fuori il problema. Ovviamente li tenevo d’occhio: il babbo mangiava tenendo china la testa e la mamma si gingillava facendo vagare la forchetta nel piatto. C’era una pesantezza pazzesca nell’aria, resa ancora più intollerabile dall’afa della giornata, che non accennava a diminuire. A un certo punto ho smesso di mangiare e, sempre in silenzio, mi sono messa a guardarli. I miei occhi saltavano fra lui e lei, come se seguissi una partita di ping pong. Hanno alzato contemporaneamente la testa e mi hanno guardata.

-        Ci sono due o tre problemi da risolvere, Clizia – ha iniziato la mamma.

-        Solo due o tre? – ho tentato di scherzare, per smorzare quel tono grave. Loro sono rimasti seri.

-   Arrivo dritta al punto, tesoro, mi sembra meglio: la ditta dove lavoriamo è fallita. Tutti i dipendenti sono stati licenziati. Era da un po’ che le cose non andavano bene, ma speravamo sempre che potessero migliorare. Invece non è stato così, purtroppo - ha detto la mamma, senza smettere di guardarmi negli occhi. 

-     E me lo dite così? – sono sbottata, mentre il cuore accelerava i battiti e nella mente prendeva forma l’idea confusa di essere nel bel mezzo di un punto dove ci sarebbe stato un prima e un dopo – Ma come è possibile? Non avete provato a risolvere le cose?

-        La situazione era davvero troppo compromessa. E poi, Clizia, non lo ascolti il telegiornale? È da un po’ che dicono che questa crisi è la più grave dopo la Grande Depressione del 1929. Quando parlano della sofferenza del settore manifatturiero, stanno parlando anche di noi – ha detto il babbo, con un sospiro - Adesso dobbiamo voltare pagina e riprogettare la nostra vita. Ne ho parlato a lungo con la mamma e la nonna e abbiamo pensato che, come primo passo, lasceremo questa casa prima possibile. 

-       Lasciare la casa?! Per andare dove? E poi, che c’entra la nonna? – ho chiesto, mentre un fiume di mille altre domande mi affollava la testa. Sentivo che sarei scoppiata a piangere da un momento all’altro. Improvvisamente mi mancava la terra sotto i piedi. 

-      Clizia, ci facciamo un sacco di domande anche noi e non siamo sicuri di avere una risposta per tutte. Facciamo una cosa alla volta e ce la faremo. La sfangheremo, Clizia, diciamo davvero – ha continuato il babbo, accarezzando i miei capelli corti - Solo che ci devi aiutare anche tu.

-        Io? Come posso aiutarvi? Ho solo tredici anni! – ho risposto singhiozzando, col viso rosso.

-    Devi solo adattarti alla nuova situazione. A breve andiamo a stare dalla nonna e affittiamo questa casa. Lo sai anche tu che dobbiamo finire di pagare il mutuo. È l’unica soluzione, almeno per ora.

-       Allora lasceremo tutto! Trappolino, Erina, il nostro quartiere, e … e la scuola?

-        Frequenterai la terza a Fiesole.

-        Ma …

-        È così, Clizia. Nessun ma, per favore. Non ti ci mettere pure tu! – ha concluso il babbo.

Il suo tono non ammetteva repliche.


Continua ...


"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Daniela Darone



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