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venerdì 27 settembre 2024

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Secondo capitolo

Il Marzocco (Firenze)

 

TRAPPOLINO

 

Più tardi, a letto, mi sono girata e rigirata senza riuscire a prendere sonno. Andare a vivere con la nonna e lo zio in realtà non mi dispiace: adoro la nonna Annalena e lo zio Dario. Solo che vivono a Fiesole e io non voglio lasciare il mio quartiere di Santa Croce e tutto quello che significa. Beh, incluso Davide, ovviamente. Ho cercato di ripensare ai tragitti in macchina quando andiamo a Fiesole. In realtà non è lontano, però io ho solo tredici anni e non posso andarmene a giro da sola come mi pare e piace. Avessi almeno l’età per guidare un motorino o una macchina, allora non sarebbe la fine del mondo, ma così … lo so che potrò sentire Erina al telefono e vederla nel fine settimana, ma è inutile prendersi in giro: non sarà più la stessa cosa. L’amicizia e la confidenza sono fatte di quotidianità, non di visite saltuarie. La mia vita e le mie amicizie sono destinate a cambiare. Che malinconia … mi mancherà tutto di qui! La mia scuola, i miei amici e le passeggiate pigre e lente che facciamo nel fine settimana con i miei genitori o con la nonna e lo zio quando vengono a trovarci. Se ci penso mi sembra di sentire il suono dei nostri passi che scendono le scale. Usciti dal portone, come prima tappa, ci dirigiamo sempre all’edicola di Piazza Santa Croce, per comprare il giornale. Poi, camminando per Via Magliabechi e corso Tintori, raggiungiamo i Lungarni e la Biblioteca Nazionale. Oppure a volte arriviamo fino al mercato di Sant’Ambrogio, dove la mamma compra qualcosa di fresco da cucinare a pranzo, e usciti dalla piazza del mercato, per via del Verrocchio, facciamo un salto in Piazza dei Ciompi, al mercatino dell’antiquariato, dove il babbo e lo zio si tuffano alla ricerca di vecchi fumetti, mentre io, la mamma e la nonna ci aggiriamo fra le bancarelle. L’ultima tappa prima di tornare a casa è sempre il cartellone del Teatro Verdi, dove a volte, all’ultimo minuto, decidiamo di trascorrere la serata del sabato o il pomeriggio della domenica. 

Quando con noi ci sono la nonna e lo zio Dario, a volte parlano dell’alluvione del 1966 e dei danni che ha provocato, soprattutto nel nostro quartiere. Quando la mamma e lo zio erano piccoli abitavano qui. Il nonno e la nonna avevano un negozio di tessuti: sottosuolo e piano terra servivano da magazzino e negozio, mentre al primo piano c’era l’appartamento dove abitavano. Il 4 novembre 1966 l’Arno esondò e l’acqua limacciosa del fiume invase la città. Il magazzino dei nonni si allagò, la furia dell’acqua sventrò il negozio: persero tutto e non riuscirono a riprendersi più da quel tracollo. Purtroppo il nonno morì qualche anno dopo. La nonna, rimasta vedova, si rimboccò le maniche e riuscì a crescere da sola la mamma e lo zio. Per fortuna il nonno veniva da una famiglia piuttosto agiata e vendendo qualche proprietà la nonna riuscì a cavarsela. Fu allora che si trasferirono a Fiesole.

In queste strade c’è la storia della mia famiglia: io appartengo a questo quartiere da sempre. E poi c’è Trappolino, il leone del mio cuore, che mi protegge. Quando ero piccola la mamma inventava mille storie su di lui. Prima di andare a letto, nelle notti d’estate, ci affacciavamo alle finestre di casa nostra, per vedere se Trappolino stesse saltando sul tetto della Basilica di Santa Croce o stesse correndo sui tetti delle case o sui merli ghibellini di Palazzo Vecchio. Lo immaginavamo mentre saltava sulla cuspide, per aggrapparsi lì, a controllare la città. Quando entravo sotto le coperte, la mamma mi diceva che Trappolino, appena mi fossi addormentata, sarebbe sgattaiolato via dalla cuspide e, furtivo e veloce, dopo la sua avventura notturna, avrebbe raggiunto i piedi del mio letto e si sarebbe addormentato sul tappeto, vegliando sul mio sonno.

Ora mi domando come sarà la mia vita da oggi in poi, con il babbo e la mamma che devono fronteggiare un problema così grande. Non sempre le difficoltà uniscono: a volte le famiglie si sfasciano sotto il peso delle preoccupazioni. E poi il babbo e la mamma non avevano già avuto la loro dose di guai durante gli anni della loro infanzia? 


Continua ...


"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Daniela Darone

martedì 24 settembre 2024

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Primo capitolo

 

Veduta di Santa Croce da Villa Bardini, Firenze

FIRENZE, 12 GIUGNO 2009

 

Devi tenere gli occhi aperti. A volte, quando meno te lo aspetti, la vita si rovescia, perché gli imprevisti capitano a chiunque, anche a te che pensavi di avere tutto sotto controllo.

Clizia: che strano, con un nome così credevo di essere destinata a qualcosa di particolare. Lo zio Dario mi ha detto che il mio nome deriva dal greco e vuol dire “famoso”. È stato lui a suggerirlo ai miei genitori, poco prima che nascessi, prendendo ispirazione dalla commedia di Machiavelli e dalla Clizia del suo amato Montale. Lo zio è un professore di italiano, romantico e con la testa fra le nuvole. Chissà cosa speravano che diventassi? Famosa? Bella? Geniale? Invece non ho niente di particolare, a parte gli occhi: marroni scuri e grandissimi, con lunghe ciglia. Sono loro il mio punto forte.  E a forza di concentrarmi sui miei occhi, per assicurarmi di avere qualcosa di speciale anche io, ho imparato a usarli per guardare attentamente, ho imparato a poggiare lo sguardo sui particolari. Così lo sapevo già che a casa c’era qualcosa che non andava: la mamma sbadata, come avesse la testa altrove, la mascella contratta del babbo, i bisbigli al telefono, e poi quella novità di vedere almeno due telegiornali al giorno, noi che prima tenevamo quasi sempre la televisione spenta.

Stasera, finalmente, è venuto fuori il problema.

La scuola è finita da due giorni e sono passata in terza media. Una buona pagella, se sorvoliamo sui voti stiracchiati di matematica e scienze. Io ed Erina ce ne siamo andate un po’ a giro nel quartiere; anche se era un caldo soffocante non abbiamo rinunciato alla conquistata libertà e ci siamo dirette verso Piazza Santa Croce, il punto di ritrovo della nostra compagnia. Siamo rimaste a sedere su una panchina a guardare i turisti che affollavano la piazza e a chiacchierare, mangiando un ghiacciolo. Dopo un po’ è arrivato Davide, il fratello maggiore di Erina, con il suo amico Massimo. Gli occhi di Davide sembravano più verdi del solito e spiccavano sul suo viso abbronzato: mi hanno fatto pensare a delle foglie di menta, tanto erano intensi. Sono occhi pericolosi, mi causano sempre un certo subbuglio. Massimo non faceva che dondolarsi sulla sua bici, mentre ci guardava di sottecchi. A Erina piace Massimo e da come si comporta anche a lui piace lei, ma tutti e due fanno finta di niente: essere la sorella di Davide rende impossibile il loro amore. Non so perché funzioni così fra i ragazzi, ma d’altronde, essendo figlia unica, non ho questo problema. Nessun fratello geloso, nessuna chiacchiera a luci spente in camera per confidarsi segreti, nessuno in vacanza insieme a me pronto a giocare o a fare un giro per esplorare un posto nuovo, niente calci sotto la tavola durante la cena, niente da condividere … beh, avrebbe potuto essere divertente!

Quando sono tornata a casa ho trovato tutto come al solito: tavola apparecchiata, pentole sui fornelli e tutto il resto. Siccome da un po’ ero sempre io che tenevo la conversazione a cena, visto che i miei genitori sembravano sempre assorti in altri pensieri, ho deciso di tacere perché quel silenzio poteva diventare molto assordante e poteva far venir fuori il problema. Ovviamente li tenevo d’occhio: il babbo mangiava tenendo china la testa e la mamma si gingillava facendo vagare la forchetta nel piatto. C’era una pesantezza pazzesca nell’aria, resa ancora più intollerabile dall’afa della giornata, che non accennava a diminuire. A un certo punto ho smesso di mangiare e, sempre in silenzio, mi sono messa a guardarli. I miei occhi saltavano fra lui e lei, come se seguissi una partita di ping pong. Hanno alzato contemporaneamente la testa e mi hanno guardata.

-        Ci sono due o tre problemi da risolvere, Clizia – ha iniziato la mamma.

-        Solo due o tre? – ho tentato di scherzare, per smorzare quel tono grave. Loro sono rimasti seri.

-   Arrivo dritta al punto, tesoro, mi sembra meglio: la ditta dove lavoriamo è fallita. Tutti i dipendenti sono stati licenziati. Era da un po’ che le cose non andavano bene, ma speravamo sempre che potessero migliorare. Invece non è stato così, purtroppo - ha detto la mamma, senza smettere di guardarmi negli occhi. 

-     E me lo dite così? – sono sbottata, mentre il cuore accelerava i battiti e nella mente prendeva forma l’idea confusa di essere nel bel mezzo di un punto dove ci sarebbe stato un prima e un dopo – Ma come è possibile? Non avete provato a risolvere le cose?

-        La situazione era davvero troppo compromessa. E poi, Clizia, non lo ascolti il telegiornale? È da un po’ che dicono che questa crisi è la più grave dopo la Grande Depressione del 1929. Quando parlano della sofferenza del settore manifatturiero, stanno parlando anche di noi – ha detto il babbo, con un sospiro - Adesso dobbiamo voltare pagina e riprogettare la nostra vita. Ne ho parlato a lungo con la mamma e la nonna e abbiamo pensato che, come primo passo, lasceremo questa casa prima possibile. 

-       Lasciare la casa?! Per andare dove? E poi, che c’entra la nonna? – ho chiesto, mentre un fiume di mille altre domande mi affollava la testa. Sentivo che sarei scoppiata a piangere da un momento all’altro. Improvvisamente mi mancava la terra sotto i piedi. 

-      Clizia, ci facciamo un sacco di domande anche noi e non siamo sicuri di avere una risposta per tutte. Facciamo una cosa alla volta e ce la faremo. La sfangheremo, Clizia, diciamo davvero – ha continuato il babbo, accarezzando i miei capelli corti - Solo che ci devi aiutare anche tu.

-        Io? Come posso aiutarvi? Ho solo tredici anni! – ho risposto singhiozzando, col viso rosso.

-    Devi solo adattarti alla nuova situazione. A breve andiamo a stare dalla nonna e affittiamo questa casa. Lo sai anche tu che dobbiamo finire di pagare il mutuo. È l’unica soluzione, almeno per ora.

-       Allora lasceremo tutto! Trappolino, Erina, il nostro quartiere, e … e la scuola?

-        Frequenterai la terza a Fiesole.

-        Ma …

-        È così, Clizia. Nessun ma, per favore. Non ti ci mettere pure tu! – ha concluso il babbo.

Il suo tono non ammetteva repliche.


Continua ...


"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Daniela Darone