Quell’esperienza mi regalò
una visione inedita della danza: richiedeva di mettere in gioco se stessi, il
proprio mondo interiore, lasciando libero il corpo di esprimersi senza
costrizioni, leggi o canoni. Fu liberatorio e appagante, ma non c’erano scuole
di danza nella mia città che seguivano quel metodo, e dovetti quindi considerare
quello stage solo come una piacevole parentesi.
Sei mesi dopo Blair ripartì
per l’America. Fu dura non averla più a casa con noi: la sua allegria riusciva
sempre a contagiarmi e a farmi vedere le cose con più leggerezza. Mi ero così
affezionata a lei che non volli più nessuna ragazza alla pari in casa
nostra.
La mia vita, negli anni che
seguirono, sembrava viaggiare su un binario ben definito sotto la guida e gli
insegnamenti di Anna, malgrado i dubbi che spesso mi assalivano e che non
riuscivo a sciogliere. La scorsa estate però, casualmente, lessi sul giornale
che Nath Taylor, dopo nove anni, era di nuovo in Italia, per un workshop estivo
di sei giorni che si sarebbe tenuto a Napoli.
Io, Lara e Lapo partimmo:
loro visitarono la costiera amalfitana, io rimasi a Napoli per partecipare al
seminario. Ritrovai di nuovo quella gioia di danzare che avevo provato da bambina
a quello stage. Prima di ripartire mi chiesero di lasciare un recapito: in autunno
ci sarebbe stata un’audizione a Milano per l’ammissione a un anno di studio
alla scuola di New York. Volevo partecipare? D’istinto risposi di sì.
L’edificio dove si terrà
l’audizione è in una zona industriale di Milano, un ex fabbrica dismessa trasformata
in centro sperimentale.
Sono arrivata in ampio anticipo,
già truccata con cura e con i capelli sistemati con uno chignon che lascia
completamente scoperto il collo e il viso. Voglio avere il tempo per fare un po’
di stretching e riscaldare i muscoli, fare degli esercizi di respirazione e
visualizzazioni positive. Indosso le mie scarpette da punta rossa e un tutù
nero e corto, comprato per l’occasione.
La spazio dove ci esibiremo
è enorme: tutti i candidati dovranno ballare contemporaneamente, improvvisando
su musiche che sceglierà il direttore della scuola di New York. Mi chiedo come
potrò farmi notare in quella situazione. Non so cosa aspettarmi. Cerco di
concentrarmi e di allontanare ogni pensiero negativo. Ci chiamano. Siamo pronti
a iniziare. Cerco di non pensare a tutti gli altri ballerini, cerco di
immaginarmi in uno spazio vuoto, dove far fluire il mio intimo. Chiudo gli
occhi e tento di imporre al mio respiro un ritmo profondo. La musica parte e inizio
a ballare. Adatto i movimenti della danza classica, quelli che mi sono più
familiari, a una musica moderna. Chiedo al mio corpo di parlare, di essere
fluido e padroneggiare il movimento, nascondendo ogni sforzo, curando la
bellezza delle linee, di avvitarsi verso l’alto come se non avesse peso. Nelle
orecchie ho la musica, nella mente il film delle mie lunghe ore di allenamenti,
nel cuore un desiderio di fiorire, di esplodere, inondare questa sala di tutte
le mie emozioni, ma non so come, mi accorgo che non so come. Forse i miei
movimenti sono perfetti, ma non basta questa perfezione, lo sento, lo sento che
ci vorrebbe altro, altro, altro, altro … Nonostante abbia cercato di prepararmi per
questa audizione, non è facile volare via dalla gabbia del rigore, estendere il
movimento, sentirmi libera di osare di esprimere il mio mondo interiore. All’improvviso
mi ritorna in mente un airone che vidi volare sul fiume anni fa: il suo volo rapido,
potente, maestoso, le lunghe zampe tese, il collo flessuoso … come allora
rivive in me una strana suggestione che mi spinge a concentrarmi sul centro del
mio corpo e sviluppare il movimento dall’energia che mi sento dentro. La musica
non è più qualcosa che sento, ma risuona dentro di me. Abbandono l’impostazione
rigida del classico e inizio a esplorare il movimento: nascono linee spezzate,
vibrazioni, movimenti asimmetrici, forze che si attraggono e respingono,
contrazioni e distensioni. Pensavo di avere di fronte due opzioni, di dover
scegliere una o l’altra, ma in realtà c’è una terza possibilità: essere me
stessa, con tutto il mio vissuto classico e la voglia di esplorare il
contemporaneo. Il mio volto lascia trasparire tutto adesso, non nascondo più
nulla, mi lascio andare. Eccomi! Sono qui, finalmente! Sono io: il movimento
che si unisce alla mia interiorità. Mi sto donando: ballo usando tutto il
corpo, lo spirito, la sensibilità. Forse non sono perfetta, ma sono emozione,
sono bellezza, sono arte.
La musica si interrompe e mi
risveglio dal mio incantesimo. Mi sento il cuore martellare nelle orecchie.
L’audizione è finita, e in qualunque modo sia andata va bene così, posso uscire
a testa alta. Faccio un inchino. Vedo dei piedi che mi si avvicinano.
- It looks like you’re hungry.
Alzo la testa. Davanti a me
c’è Nath Taylor.
- I’m starving, Sir.
Testo di Daniela Darone
Prima foto in alto: di Ezkol Arnak - www.pexels.com
Seconda foto: di Fabrício Lira - www.pexels.com
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