UNA CASA SPECIALE
Prima di suonare il
campanello di Stefano, mi sono fermato vicino a un motorino piegando un po’ lo
specchietto, per darmi una ripulita e vedere che faccia avevo. Mi sono strofinato
la gora di sangue ormai secco con la saliva e mi sono passato le dita nei
capelli per sistemarmi un po’ …
Ah, il problema peggiore è
la faccia – ho pensato desolato.
Ero ancora così scosso da
essere bianco come un cencio, molto di più del mio solito, e soprattutto avevo
degli occhi che sembravano dilatati … forse un po’ pensavo già alla strada di
ritorno. Forse avrei potuto farmi venire a prendere dalla mamma con una scusa,
o forse … boh, ci avrei pensato dopo, adesso ero già parecchio in ritardo con
tutta la faccenda che era successa.
Mi sono soffermato un
attimo a considerare l’enorme cancello della villa, con accanto una targhetta
di ottone e il cognome scritto in bei caratteri corsivi. Ho suonato. Una
telecamera laterale a circuito chiuso mi ha inquadrato, l’ho visto con la coda
dell’occhio, ma non mi sono girato. Sono rimasto fermo, di profilo, facendo
finta di niente. Dopo pochi secondi il cancello si è aperto su un vialetto di
ghiaia. Sono entrato e mi sono fermato, un po’ stupito, perché da fuori non
immaginavo che il giardino della villa fosse così grande. Sulla destra c’era
addirittura una piccola costruzione in cemento, che doveva essere una limonaia.
Intanto una signora
vestita con un grembiule azzurro è venuta ad accogliermi.
– Tu devi essere Antonio,
vero? – mi ha domandato sorridendo e scoprendo una fila di denti bianchissimi.
Dopo la brutta avventura di poco prima, la sua gentilezza mi ha sollevato
enormemente.
- Sì, sono Antonio.
Piacere di conoscerla, signora Beligni – ho risposto con calore.
A quelle parole il sorriso
della signora si è tramutato in una gustosa risata.
- Magari fossi io la
signora, piccolo – mi ha risposto, non riuscendo a smettere di ridere – ma devo
confessarti che hai comunque davanti il capo di casa. Beh, dopo i signori,
ovviamente. Piacere di conoscerti, sono Malinda, la governante. Vieni che ti
offro qualcosa da bere: hai una faccia che sembra tu abbia visto un fantasma …
- ha esclamato mettendomi amichevolmente una mano sulla spalla. Poi ha seguitato,
abbassando un po’ la voce - e vediamo cosa si può fare anche per quella
macchietta di sangue sulla maglietta – ha concluso guardandomi di sottecchi.
Oh cavolo! A quella
proprio non avevo fatto caso!
- Non era sporca prima … è
solo che …
- So già tutto – si è
limitata a rispondere lei. – Ti ho visto prima, mentre stendevo il bucato. Da
lì. Ancora un poco e chiamavo i carabinieri – ha detto, indicandomi una
torretta smerlata, che si ergeva a un lato della casa.
Così non ho aggiunto
altro, un po’ anche perché quella villa mi metteva in soggezione … mica mi era
mai capitato di vedere un posto così! Cioè, l’avevo visto, ma si trattava
sempre di dimore storiche, di ville ormai non più abitate e passate di
proprietà del Comune o roba del genere …e con una governante, poi … proprio
come nei film! Comunque questa Malinda sapeva di roba buona, di torta di mele
fatta in casa e pagnottelle di pane sfornate calde calde … di coccole e
abbracci e storie davanti al camino, mi sono immaginato sognante, mentre la seguivo
in cucina, e sono rimasto zitto a fantasticare tutte queste cose, mentre lei mi
versava da bere e si dava da fare a smacchiare la maglia. E con un nome così,
poi, non poteva che essere una specie di fata, o creatura che ….
- Perché mi guardi così? –
mi ha chiesto allora lei, interrompendo i miei pensieri, reclinando un poco la
testa da un lato per guardarmi meglio.
- Niente – le ho risposto
arrossendo, ma non potendo fare a meno di dire la verità – è che lei è molto
simpatica e stavo pensando che ha un nome bellissimo, e stavo fantasticando che
lei fosse una fata …
La sua risata è risuonata
di nuovo nella cucina. Così trillante, come quella di una bambina – Benedetto
bambino! - Si è limitata solo a dire – ho saputo che ti avrei adorato dal primo
momento che ti ho visto! – ha detto, facendomi una carezza sulla stessa guancia
che era stata colpita dallo schiaffo del Guerriero e guarendo all’istante il
bruciore della vergogna. – Hai un sacco di fantasia, eh?
- Colpa di mamma, credo.
Mi ha messo in mano un libro quando avevo appena tre mesi … era un libro di
gomma ovviamente, di quelli morbidi da mordere e per farci il bagno, ma un
libro comunque, con tanto di storia …. Di libri in casa non ne sono mai mancati
…
Solo allora mi sono
ricordato del perché ero lì.
- Ma Stefano dove è?
- Oh … Stefano è in
ritardo, come al solito … quando va all’istituto si sa a che ora esce di casa e
non si sa a che ora rientra …
- Che istituto, Malinda? –
le ho chiesto incuriosito, e con un tono confidenziale che non ha stupito ne’ me,
ne’ lei. Malinda è rimasta un attimo in silenzio, titubante, forse chiedendosi
se si fosse fatta scappare troppo di bocca.
- Ma tu sei amico di
Stefano?
- Beh, sì … voglio dire,
siamo in classe insieme e ogni tanto parliamo, ma … beh, non è un amico amico,
insomma, se è questo che intende …
- E allora se non sei un
amico amico, come dici tu, cosa ci fai in questa casa? Lui non invita mai
nessuno, a parte Marco un paio di volte, e quindi credevo che voi due …
- Beh, più che altro credo
sia stato obbligato a farlo, non so nemmeno se gli fa tanto piacere …
- Chi lo ha obbligato? –
mi ha chiesto, aggrottando la fronte.
- La maestra. Diciamo che
nelle sue intenzioni dovremmo avere uno scambio … tipo che lui mi aiuta in
matematica, materia nella quale sono deboluccio, e io l’aiuto a sciogliersi un
po’ in classe …
- Ah ecco, mi sembrava
strano … beh, allora scusami Antonio, ma penso che Stefano non avrebbe piacere
che ti raccontassi dell’Istituto. Mi dispiace. Dovrai aspettare di diventare
suo amico per davvero. Non ne resterai deluso. Ma ora, se hai finito il tuo
succo di frutta, ti porto a conoscere la padrona di casa. Vieni con me! – ha
concluso sorridente. E si è avviata fuori dalla porta. Dopo aver percorso un lungo
corridoio, siamo entrati in una sala molto grande e quindi di nuovo in un altro
corridoio, dove Malinda si è girata facendomi segno di stare in silenzio.
- Dietro questa porta c’è
lo studio del dottore … è sempre molto impegnato e non vuole sentire confusione.
Studia a dei casi importanti, sai ... – ha concluso annuendo.
- Dei casi? Che casi? – ho
chiesto incuriosito.
- Ah, ma allora non sai
proprio niente, eh? Il signore è un avvocato importante… sta sempre a studiare
dei libroni grossi così … - ha detto, facendo il gesto con la mano come a
mostrare dei tomi enciclopedici.
- E che c’è scritto
dentro?
- Uh! E chi lo sa? Io li
spolvero e basta, di tanto in tanto … ma poche volte, perché lì dentro non ci
vuole mai nessuno … ah, povero signore, è sempre tanto stanco! – conclude
scuotendo la testa – io glielo dico a volte di riposarsi un po’, ma lui nulla,
sempre con la testa su quei libri.
- E la signora?
- Lo studio della signora
invece è qui dentro. Vieni con me. Vedrai che bello!
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