ANCORA LEI?!
- Ciao Antonio – mi fa
Stefano non appena mi avvicino al nostro banco, alzando appena gli occhi.
-’Giorno Ste – gli
rispondo lanciando lo zaino sotto il banco.
- Vuoi che riguardiamo il
problema insieme prima che inizi la lezione? – fa lui, levandosi gli occhiali e
iniziando a pulire le lenti - o ti scoccia e in classe continui a stare con i
tuoi amici di prima? – mi chiede abbassando un po’ la voce – perché se è così,
non c’è problema, eh, ti capisco. Non dev’essere facile essere il compagno di
banco dell’untore … - conclude cercando di sorridere e di far vedere che a lui
non importa. Di solito sarei andato a fare due chiacchiere sul calcio con
Leonardo o a fare qualche scambio di figurine, ma dopo questo inizio non ci
penso nemmeno.
- Ma che stai dicendo? Io
ero tuo amico anche prima, solo che con Leonardo e gli altri ci conosciamo da
più tempo: tu sei in classe nostra solo da quest’anno.
- Uhm … - mugugna lui con
aria scettica -farò finta di crederci … qui dentro non c’è nessuno che
dall’inizio dell’anno abbia parlato con me più di dieci minuti o mi abbia
chiesto di vederci fuori … beh, eccetto Marco … forse l’unico adatto a stare
con me perché, come dite voi, cammina come un cammello …
Beh, e ora cosa rispondo?
Secondo la classe, in generale, è proprio così. Avevo sentito un sacco di
battute su quei due. Però Marco è comunque dei nostri, anche se lo prendono in
giro perché sembra scoordinato per via dell’altezza e non vincerà mai il titolo
di mister mondo … però è simpatico, gioca bene a basket e a lui non importa
molto quello che dicono su di lui, o almeno così sembra …
- Comunque io non ti ho
mai chiamato untore … e chi lo fa, è uno stupido! E quanto a Marco, quando
giochiamo a basket all’ora di educazione fisica, farebbero tutti a botte pur di
averlo in squadra!
Lui rimane zitto, serrando
la bocca, e non risponde niente.
- Meglio pensare a riguardare
il problema, dai – gli dico scrollando le spalle - Però ti avverto, eh? Un po’
ero stanco, un po’ mia sorella mi stava fra i piedi, un po’ mica avevo tanta
voglia ….
- Va bene, dai, vediamo
che hai combinato: mica devi stare a giustificarti, eh? Non sono la maestra! - fa
allora lui e già mi sembra più rilassato.
Così abbiamo riguardato il
problema, che avevo ovviamente sbagliato, anche se Stefano è stato gentile e ha
detto che forse aveva esagerato a volermi far fare quell’esercizio in più.
Quando finalmente siamo
usciti da scuola, neanche a farlo apposta, ho intravisto Gennaro e i nostri
sguardi si sono incrociati per un momento, fra la confusione dei ragazzi. Mi è
sembrato che la sua espressione contenesse una domanda del tipo: “E allora
Anto’, come la mettiamo? Facciamo pace?” Ma quando l’ho ricercato con lo
sguardo, lui era già sparito. Mentre mi avviavo verso casa, una bici mi è
sfrecciata accanto a tutta velocità e, subito dopo avermi sorpassato, ha tirato
un’inchiodata. Non ho potuto fare a meno di voltarmi. La strada era bagnata, la
ruota davanti ha sbandato e la tipa ha fatto un bel volo per terra.
- Urca che botta! – ha esclamato,
mentre le volava via il cappello e il suo zaino si rovesciava, facendo cadere
rovinosamente tutti i libri e i quaderni in una pozza. Mi sono avvicinato per
aiutarla e l’ho riconosciuta. Ecco perché il cappello le era volato via: con
quella massa di capelli lanosi stile rasta, ci sarebbe voluto un cappello da
elefante per contenerli!
- Accidenti a te
caccoletta! – ha esordito, controllandosi il ginocchio – è tutto il giorno che
ti cerco. Dove diavolo ti eri cacciato?
- Come scusa?
- Come scusa? – mi ha
rifatto il verso con la bocca arricciata – din don … buongiorno! Sei sveglio?
Ho detto che è tutto il giorno che ti cerco. Pensavo andassi alla succursale
delle medie, e ho fatto diecimila giri prima di pensare che forse eri ancora
alle elementari … puah, che pivello! Uhm … però sei alto per la tua età … mica
sarai ripetente? Oddio, un po’ doddo sei, però …
- Hai finito o ti sei incantata?
– ho cominciato con rabbia, dopo essere stato investito dalle sue chiacchiere –
E così sarei doddo, eh? No dico, ma ti sei vista che in che condizioni vai a
giro? Con questi capelli assurdi e tutta vestita di nero, con tutti questi
braccialetti di gomma … ah … faccio guardando la roba che lei intanto sta
rimettendo nello zaino e notando un pacchetto di sigarette – fumi pure … alla
tua età, pensa un po’ da chi mi devo sentir dire che sono doddo! Puah! Chissà
che saporaccio hai in bocca!
- Ok ok pivello, sembri la
fotocopia di mia mamma … peace, va bene? – dice mostrandomi il dito indice e
medio a forma di V ed esagerando un sorrisone. - Comunque le siga non sono mie,
sono di quel tonto che ti ha fregato i soldi …
- Ah, già, il tuo ragazzo
… complimenti per la scelta! Scommetto che tua mamma ne è felice! – le dico in
tono ironico.
- Ex ragazzo, please … l’ho
mollato quello scemo. Ci stavo solo per fare rabbia a mia madre … - Poi mi dà
un’occhiata da sotto in su, davvero storta.
- Ero solo venuta a
riportarti questi, ma forse ho fatto male: sei un astioso insopportabile… - e
così dicendo tira fuori dalla tasca del giubbotto cinque euro e me li mette in
mano. - Li ho recuperati per te e volevo renderteli …-
- Ah, io …- ho risposto, non
riuscendo a trovare le parole. Improvvisamente mi ha spiazzato: dopo quel suo
tono superiore, ti viene fuori con un gesto così giusto … e poi come ha fatto a
recuperarli da quel mastino? Sembra leggermi nel pensiero.
- Oh, non stare a
preoccuparti, è stato un gioco da ragazzi …- fa con gesto noncurante.
- Beh, ma come …
- E’ solo un pagliaccio. Viaggio
sicura perché sa benissimo che mio padre è un poliziotto e se si azzarda a
torcermi anche un solo capello, beh, peggio per lui …
- Un poliziotto! Forte!
- Forte? Sì, di tanto in
tanto, quando l’incontro, non è niente male.
- Lavora molto, eh?
- Non so. Vive a Torino.
Figlia di genitori separati. Non fare quella faccia da “oh, ho fatto una
gaffe”. Ormai ci sono abituata, più o meno. Sei anche tu nel club?
- No, io … -
- Lucky you!
- Ma che è questa mania
dell’inglese?
- Oh, scusa, mi viene
fuori di tanto in tanto. E’ colpa del puzzle della mia famiglia. E’ pazzesco:
babbo italiano, mamma americana, un nonno spagnolo, una nonna francese. E’ incredibile
ma vero, in famiglia abbiamo uno spirito gitano. Parlo quattro lingue. La mamma
mi ha raccontato che fino a cinque anni non ho detto una parola, poi … crash! Il
big ben! Ho cominciato a parlare e non mi sono più fermata.
- Cavolo … sono senza
parole … ecco perché parli a mitragliatrice, come prima!
- Sì, beh, comunque per
parlare di lingua te ne serve una sola e non è detto che tu riesca a farti
capire lo stesso … vedi te per esempio … Sei a piedi? Vieni che ti accompagno a
casa in bici - ha concluso, prima che avessi potuto replicare qualcosa. Non ho
saputo ancora una volta cosa rispondere, così mi sono limitato a montare ritto
in piedi sul portapacchi. Il fatto è che mi sentivo così normale rispetto a lei,
che non sapevo proprio cosa avrei potuto dirle. Forse avrei potuto accennare dell’atletica
e dei miei ultimi record personali, ho pensato mentre lei si lanciava a tutta
velocità per la discesa. Siamo sfrecciati davanti ad un gruppetto di VB, fra i
quali c’era anche Valentina. Ho fatto appena in tempo a notare le sue
sopracciglia che si arcuavano, come a chiedersi chi era quella tipa in bici e
cosa ci facessi lì con lei. Ma è stato solo un attimo.
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