LO VOGLIO E ME LO PRENDO!
Siamo sull’autobus che si dirige a valle, scendendo i tornanti. Mi sento come in gita: elettrizzata. Fra poco sarò di nuovo in centro: rivedrò Erina e Davide e ritroverò il mio Trappolino che mi saluta con la zampa alzata.
Alla fine, dandomi un’occhiata allo specchio prima di uscire, il risultato finale non mi sembrava male. Il sole in questo periodo mi ha schiarito un po’ i capelli e sembra che abbia le mèche e, approfittando che la mamma era intenta a cucinare, sono sgattaiolata in bagno e mi sono messa il suo mascara. All’inizio mi ero sbavata tutto un occhio, così ho dovuto lavarmi il viso e strofinarmi bene, col risultato di arrossarmi tutte le guance. Poi ci ho riprovato, con maggior attenzione, ed è andata: mi sono venuti due fanali al posto degli occhi. Prima di uscire dal bagno ho provato due o tre sguardi per Davide. Poi sono uscita, perché non volevo mi beccassero a fare la scema davanti allo specchio.
Ora, sull’autobus, qualche ragazza mi guarda, non capisco se per invidia perché sono con uno come mio zio o perché le colpisco col mio sguardo spaziale. Comunque mi sento leggera e chiacchieriamo allegramente, mentre lo zio mi racconta qualche aneddoto delle sue vacanze. Via via che ci avviciniamo al luogo dell’appuntamento divento sempre più impaziente e quando finalmente imbocchiamo via Calzaiuoli non riesco più a trattenermi: i piedi sembrano volare verso la meta! Arriviamo davanti alla Rinascente, ma ancora Erina non c’è. Li per lì mi viene una punta d’ansia, ma non passano due minuti che la vedo arrivare di corsa. All star bianche e un vestitino corto azzurro, i lunghi capelli castani che le danzano sulle spalle. Super abbronzata. Mi vola addosso, abbracciandomi.
- Buon compleanno, Erina! Ehi, ma stai benissimo! Sembri Beyonce!
- Grazie! Anche tu stai bene, Clizia! Che maglina carina! Oh, buongiorno Dario – dice allo zio, abbassando un po’ gli occhi, dato che lo zio la mette sempre un po’ in soggezione. Lui le sorride.
- Ok ragazze, allora vi lascio. Non combinate disastri – ci dice scherzando e facendoci l’occhiolino – Clizia, quando finisce la festa fammi uno squillo sul cellulare e ti vengo a prendere.
- Perché non facciamo un giro alla Rinascente, prima? - mi chiede Erina - è così caldo, ed ancora è presto per la festa.
- Ok
- Ora che mi ci fate pensare, ho un’amica che lavora al reparto profumeria. Magari entro a salutarla.
- È la sua fidanzata, Dario? - gli chiede Erina, ridendo.
- Direi proprio di no. Sono ancora libero!
Entriamo tutti e tre e ci dirigiamo al banco profumeria. L’amica dello zio è al suo posto, truccata come un’attrice e fasciata in un abitino rosso fuoco. Mentre ci avviciniamo lei gli sorride e lo zio ci presenta.
- Rossella, sei bellissima! – le dice lo zio, galante.
- Grazie, ma ho i piedi distrutti! Questi tacchi mi stanno facendo morire. Per fortuna fra un’ora ho finito.
- Allora perché non vieni con me a vedere la mostra a palazzo Strozzi ? O forse con quelle scarpe non è il caso?
- Stai scherzando? Ho le scarpe da ginnastica nello spogliatoio! Mica me la perdo un’occasione così! – gli dice, strizzandogli l’occhio.
Dopo che Rossella ci ha spruzzato sui polsi un profumo agrumato buonissimo, li lasciamo lì a chiacchierare da soli, per non essere di troppo e riprendiamo a girellare qua e là. In ogni specchio mi dò una sbirciatina e accanto ad Erina mi vedo sempre come un lenzuolino di bucato. Alla fine glielo dico, sconsolata.
- Beh, ma basta un po’ di trucco! Vicino agli espositori ci sono sempre i pennelloni per i tester … ci diamo una spennellata e via! - mi dice, facendo la faccetta furba.
- Ma lo zio, però … i miei non vogliono che mi trucchi. Dicono che sono troppo piccola!
- Ma figurati! Tuo zio non fa certo caso a noi! Sta parlando con la sua amica. Ci trucchiamo e usciamo subito, così non lo incontriamo di nuovo e non se ne accorge. E poi stasera, prima che venga a prenderti, ti strucchi a casa mia.
Un’altra occhiata allo specchio mi convince a darle ragione. Su un espositore Erina trova una terra iridescente e se la passa sulle guance, che le diventano subito super brillantinose. Solo in quel momento mi accorgo che ha anche lo smalto alle unghie, dello stesso colore del vestito. Peccato non averci pensato anche io! Anche se avevo solo lo smalto trasparente, almeno avrei avuto delle unghie luminose.
- Vediamo cosa possiamo fare per te, mozzarellina mia! - mi dice, studiandomi con occhio critico.
Mi vengono in mente all’improvviso i pomeriggi a casa sua, quando eravamo piccole e giocavamo a truccarci con i trucchi della sua mamma: anziché essere più belle sembravamo dei clown! Lei sembra leggermi nel pensiero.
- Non guardarmi con quegli occhi preoccupati! Guarda che ho imparato a truccarmi, cosa credi?
- E quando avresti imparato? – le chiedo, perplessa.
- Mi ha insegnato Grazia! Chiaramente non sono al suo livello, ma me la cavo.
Non riesco a non provare una fitta di gelosia. Bella acuta, al centro del petto. Lei e Grazia? Che c’entra Grazia con lei? Erina è più piccola e fino a qualche tempo prima, quando andavamo in piazza Santa Croce insieme, Grazia ci considerava “le piccolette” e stava sempre a parlottare con quelli più grandi. Ma chissà, forse Grazia vuole arrivare a Davide tramite la sorellina …
- Allora?! Mi rispondi?
- Cosa?
- Ma mi ascolti? Sei lì, tutta imbambolata! Guarda che non abbiamo tanto tempo! Stavo dicendo che questo fondotinta mi sembra troppo scuro per te, va a finire che crea un effetto maschera. Forse è meglio questa tonalità chiara, che comunque ti dona un’abbronzatura lieve, cosa ne dici?
- Ok, fai pure - le rispondo con ansia, notando lo sguardo astioso di una commessa. Lei si mette a spalmarmi quella roba sul viso, usando le dita, ed io cerco di stare più ferma possibile, sperando che faccia un buon lavoro.
- Certo che sarebbe meglio avere una spugnetta per sfumarlo …
Mi guardo critica nello specchio: sicuramente meglio di prima. Ora però ci vorrebbe un lucidalabbra. Con sollievo della commessa ci spostiamo da uno stand ad un altro. Immediatamente ci si presentano davanti innumerevoli astuccini colorati: chiari, scuri, con brillantini, gloss, profumati …
- Guarda questo com’è figo – mi fa Erina, mostrandomi un rossetto arancio metallizzato – È spiritoso! Ti starebbe bene, con quelle lentiggini e la pelle più dorata … Per me invece questo – mi dice, facendo l’occhiolino – è un bronzo lucido da dea! Ce li compriamo?
Evito la domanda e prendo tempo.
- Massimo c’è alla festa?
- Sì, ma che c’entra? – mi fa lei, sorpresa – comunque non mi piace più.
- Sì, lo so che ora ti piace Fabio, quello del mare.
- Ah sì, vabbè, ma Fabio non sta a Firenze. Casomai lo ribecco il prossimo anno al mare. Invece ora mi sa che mi interessa Duccio. Sai quello di classe nostra? L’ho incontrato ieri al mercato centrale. Devi vedere come è diventato carino da quando si è fatto crescere i capelli! A proposito, gli ho proposto di andare con i nostri compagni di classe a mangiare la pizza una di queste sere, prima che ricominci la scuola. Dopo magari gli mandiamo un messaggio per proporgli una data. Tu pensi di venire?
- Uhm, boh – bofonchio.
- Dai! Anche se non sarai con noi quest’anno non ti farebbe piacere rivedere i nostri amici?
Mi sembra quasi che Erina non si renda conto della nuova situazione e mi infastidisce. Perché non capisce che non ho soldi da spendere? Rimango un attimo a fissare i piccoli e scintillanti rossetti negli espositori. Tutto ad un tratto quel tubettino arancione mi sembra la cosa più desiderabile al mondo.
- Senti Erina, perché invece di comprarli non ce li prendiamo e basta questi rossetti? – le chiedo, senza girarmi a guardarla. Erina ha un attimo di esitazione, ma sento il suo respiro che si fa più veloce. L’idea le piace, lo so.
- E come facciamo?
- Li prendiamo e poi usciamo subito – le dico, guardandomi intorno. Lei mi imita, il suo sguardo scruta con circospezione le persone vicine: nessuno sembra fare caso a noi. - Hai deciso quale vuoi? Va bene quello bronzo da dea o no?
- Si, voglio quello. E tu?
- Quello arancio, come hai detto tu. Hai preso il tuo?
- Ce l’ho già. E tu?
- A posto. Andiamo.
Lì per lì mi assale un attimo di esitazione e mi viene voglia di mollare. Ho paura, almeno un po’. Però da una parte mi sento una strana forza che mi spinge a farlo: mi piace, lo voglio e, dato che non ho soldi da spendere, me lo prendo. Non voglio sentirmi una sfigata. Voglio andare alla festa con un lucidalabbra da sballo. Potrei mettermelo di nascosto qui in negozio, ma lo voglio anche domani. E il giorno dopo. Voglio che sia mio. La commessa è occupata con un’anziana che la fa dannare chiedendole una crema antirughe davvero efficace: povera donna, non si rende conto di quanto è ridicola? Più che una crema, ci vorrebbe un miracolo! Tiro Erina per il vestito e ci dirigiamo svelte all’uscita. È strano: mi sento agitata, ma in fondo è stato anche facile. Bastano tre passi e saremo fuori, in piazza della Repubblica, sotto il sole afoso e con un rossetto nuovo di zecca in tasca. Sento il tubetto nella taschina della minigonna che preme sulla mia gamba. Erina apre la porta d’uscita, la seguo. Una mano pesante si posa sulla mia spalla, mi ferma. Il cervello mi si blocca. Non penso a niente mentre mi giro, mi si dipinge solo in faccia quell’espressione un po’ stupida che hanno i colpevoli. C’è un omone davanti a me.
– Lo scontrino? – mi chiede. Solamente due parole, senza tante cerimonie, tanto lo sa cos’è successo. È sicuro di sé. Cerco goffamente nelle tasche, quasi che lo scontrino possa materializzarsi come per magia. Lo guardo. Non ha nessuna espressione negli occhi. Forse solo una punta di biasimo. Sto per aprire bocca, forse solo per la sorpresa, perché non so cosa sto per dire.
- Eccomi ragazze! – la voce dello zio irrompe in quel silenzio irreale e la sua persona si frappone fra me e l’omone. Erina è già sul marciapiede. Mi sembra un gioco dell’oca, dove lei sta su una casella in salvo, mentre io sono all’imprevisto.
- Che succede, Clizia? – mi chiede lo zio. Vorrei avere una pala per scavare una buca profonda e scomparirci dentro, tanta è la vergogna.
- La signorina stava uscendo senza pagare il rossettino – risponde la guardia, che non è vestita da guardia, mannaggia a lui, ecco perché mi ha fregata. Il tono che usa per umiliarmi mi nausea, mi fa sembrare ancora più orrenda e sciocca e …
- Ho io lo scontrino delle signorine – risponde allora lui – La colpa è mia, mi ero attardato a chiacchierare con la commessa per avere un consiglio su un profumo. La signorina del banco 4 mi stava appunto dicendo …
- È tutto a posto, Vanni – gli dice Rossella, arrivando ticchettando sui suoi tacchi alti – il signore voleva acquistare un profumo, ma le ragazzine avevano fretta. Scusami, gli ho detto io che poteva pagare dopo avergli fatto sentire il tester. Le note di fondo si sentono meglio dopo qualche minuto: dopo aver spruzzato il profumo sul cartoncino l’ho mandato a pagare i lucidalabbra. Ho detto alle ragazzine che potevano andare. Mi dispiace che ti sia allarmato per niente.
- Rossella, lo sai che …
- Lo so, Vanni, scusami. Era che non trovavo il tester. Lo sai come fanno qui i clienti, mescolano sempre tutti i flaconi, un disastro! Loro dovevano andare e così … - gli dice sorridendo e stringendosi nelle spalle.
Lui prende comunque lo scontrino che gli porge lo zio e lo guarda. Lì per lì sembra quasi impacciato.
- Allora, se è tutto a posto ... – riprende, senza lasciare la sua aria accigliata. – Ma non è regolare, comunque. Quando si esce dal negozio il prodotto deve già essere pagato.
- Ha ragione. Signorina, la prego di perdonarmi se lo ho causato dei problemi col suo collega. Naturalmente è tutta colpa mia – riprende lo zio.
Rossella lancia uno sguardo irresistibile al suo collega Vanni, che finalmente distende il viso. E poi dicono che essere belle non serve a niente!
- I giovani: hanno sempre fretta! – conclude e, rivolgendo un sorriso a Rossella e un cenno allo zio, si allontana.
- Grazie – bisbiglia lo zio a Rossella – ripasso dopo a prenderti.
- Meglio di no. Ci troviamo davanti a Palazzo Strozzi. Non vorrei che Vanni mi vedesse con te, potrebbe insospettirsi …
- Giusto. Allora a dopo – risponde lo zio, prendendomi per un braccio. Mi spinge fuori dal negozio. Erina ci aspetta sull’angolo e sembra quasi che l’abbronzatura le sia sparita dal viso. Nessuno di noi dice una parola. Lo zio non mi guarda nemmeno. Tiene gli occhi fissi sulla giostra antica di cavalli della piazza. Preferirei un ceffone, piuttosto che questo silenzio. Improvvisamente, senza salutarmi, si avvia a grandi passi per via Calimala. Noi gli trottiamo dietro e facciamo fatica a stare al passo. Lui non si volta, e solo allora mi viene in mente che in fondo, prima di quest’idiozia, ci eravamo già salutati ed accordati per la sera. Forse non mi vuole parlare e vuole stare solo, ma non posso lasciare che vada via così. Arriviamo in silenzio, ma col fiatone, fino al Ponte Vecchio. Improvvisamente lo zio si ferma e si affaccia al parapetto, guardando l’Arno che scorre sotto di noi. Io mi avvicino e gli vado accanto, mentre Erina rimane un po’ in disparte.
- Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia! Cosa diavolo ti è preso, Clizia? – mi chiede, sempre senza guardarmi e tenendo gli occhi fissi sul fiume.
- Non lo so.
- Non lo sai! - risponde, con rabbia trattenuta - Però se non era per Rossella e per me, che vi tenevo d’occhio, adesso saresti in un ufficio ad aspettare il babbo e la mamma! Non hanno già abbastanza problemi in questo momento? Potevano denunciarti!
Rimango in silenzio, e sento un brivido improvviso che mi percorre la schiena. Ha ragione. Altro che festa. La serata si sarebbe conclusa amaramente.
- Chi sei, Clizia? – mi chiede allora. E finalmente si gira e mi guarda.
- Non lo so. Non so chi sono!
- Se non sai chi sei, prova a pensare a chi non sei, per prima cosa – risponde lui, prendendomi per le spalle - E tu non sei una ladra! Nei momenti di confusione, è scegliendo cosa non sei, che viene fuori pian piano quello che sei.
Chino gli occhi e mi sento spuntare le lacrime. Lo zio si fruga in tasca alla ricerca di un fazzoletto.
- Non ti conviene piangere. Ti colerebbe il mascara che ti sei messa di nascosto a casa.
- Oh, allora tu …
- Oh, allora non sono proprio così scemo.
- Non volevo dire questo!
- Non siete tagliate per essere delle piccole ladre: goffe, sprovvedute, troppo nervose. Il vostro atteggiamento richiamava l’attenzione. Pensate di sapere tutto e non sapete niente. Pensate di fregare il mondo e invece vi fregate da sole. Spero che vi serva di lezione! – fa una breve pausa, poi con un gesto eloquente mi invita a fargli vedere il lucidalabbra. Lo tiro fuori di tasca e glielo porgo. Lo guarda e se lo rigira fra le mani. Lì per lì penso che voglia buttarlo nel fiume. Poi mi mette davanti agli occhi quel tubetto luminoso.
- Ne valeva la pena? – mi chiede. Lo guardo. Improvvisamente non mi sembra più così desiderabile. Carino, sì, ma non fondamentale. E poi forse appiccica troppo le labbra. Me lo rende. Lo metto in tasca e mi sembra che mi pesi, quasi.
- Appena rientriamo a casa vai subito a lavarti la faccia. Ora vai, altrimenti va a finire che fate tardi.
Mi fa un sorrisino, ma ha gli occhi tristi e io vorrei prendermi a schiaffi da sola per il dispiacere. Mi allungo per dargli un bacino e poi mi volto in fretta e scappo via, con Erina che mi segue, di corsa, e chiama il mio nome. Ma non mi fermo, continuo a correre per mandar via quella strana elettricità che mi scorre dentro. La folla di turisti si apre al mio passaggio. Alla fine Erina mi raggiunge davanti al Caffè Rivoire.
- Ma che fai? Clizia! – rimaniamo un attimo a guardarci, col fiatone – Dai, adesso smettila, andiamo a casa. Fra poco inizia la festa. - Mi mette una mano su una spalla e ci incamminiamo per via Calzaiuoli - L’hai visto il tuo Trappolino? Piscia in Arno … -
- Allora stasera piove.
- Figurati!
- Trappolino non sbaglia mai!
Erina mi assesta una spallata e mi arruffa i capelli.
- Smetti di avere quell’aria imbronciata. Non ci pensare più, dai, è stata una cavolata! Mica abbiamo rapinato una banca! –
Poi mi prende per mano e camminiamo vicine vicine, come facevamo quando eravamo piccole. Ha un profumo buono e un’aria felice, così sorrido anche io.
Continua ...
"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone
Foto di Daniela Darone