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martedì 19 agosto 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 26

 



UNA GIORNATA PROPRIO STRANA!


La nonna ha scritto un bigliettino anche a me prima di partire. Deve avermelo lasciato sul comodino la mattina prestissimo, mentre stavo ancora dormendo. Nella busta c’erano anche 20 euro. Nella sua bella calligrafia tutta svolazzi mi ha scritto:

Se continui a guardare indietro e a sospirare su quello che hai lasciato, non potrai mai accorgerti di quello che hai davanti. Coraggio ma praline, guarda con entusiasmo al presente! Ti lascio una banconota da 20 euro: comprati una bella carta da lettera! Niente fogli strappati dai quaderni per la nostra corrispondenza! Ti abbraccio, Therese

Beh, in fondo ha ragione, penso, mentre mi avvio in biblioteca. Voglio dire, da casa della nonna Annalena (forse dovrei iniziare a dire “da casa mia”) alla biblioteca c’è pochissima strada da fare, eppure da quando sono qui non mi è mai venuto in mente che avrei potuto venirci. È vero che ho saccheggiato diversi libri dello zio, però venire in biblioteca poteva essere un modo per cercare di ambientarmi. Eccomi qui. Già arrivata. Entro.


La biblioteca è carina e fresca; tutti stanno con la testa tuffata dentro i libri, tranne alcuni ragazzi che digitano come forsennati sui cellulari e cercano di non sghignazzare. Comincio ad aggirarmi fra gli scaffali, dando occhiate qua e là e cercando di capire come hanno organizzato le sezioni. La mente, senza volere, vola alla mia vecchia biblioteca di via Tripoli. Due piani dedicati solo a libri per ragazzi, un mondo parallelo dove entravo e mi sentivo avvolta. Dalla strada suonavo un campanello, mi aprivano e contemporaneamente vedevo la testa di una delle due bibliotecarie affacciarsi per vedere chi era. Tutte le volte mi sembrava quasi che quel luogo fosse una società segreta, alla quale dovevo essere ammessa e subito, fatto il primo scalino, ero nella sala grande e potevo lanciare una sbirciatina alle panchine del giardino, per vedere se erano libere, in modo da poter leggere fuori, sotto le fronde del grande albero. Oppure potevo salire al piano di sopra, a leggere ai tavolini, alzando ogni tanto gli occhi sul campanile di Santa Croce che si vedeva dalla finestra ... Beh, meglio tornare al presente! Mi avvicino al banco per chiedere i libri che mi servono. C’è una ragazza giovane che sembra simpatica: i suoi occhialini vecchio stile spiccano su un viso che sprizza gioia. Gli occhi le ridono mentre mi chiede se può aiutarmi. Un punto a favore. Le porgo un foglietto sul quale ho scritto i titoli e lei li cerca al computer. Poi si alza e, bisbigliando, mi fa cenno di seguirla.

- Ti faccio fare un giro orientativo per farti vedere come è organizzata la biblioteca. Così magari puoi fermarti nelle sezioni che ti interessano di più e dare un’occhiata agli altri titoli che abbiamo … uhm, non ti avevo mai vista. Sei nuova?

- Sì, ci siamo trasferiti da poco.

- Ah, bene! Allora credo che ci vedremo spesso, a giudicare dalla lista che mi hai dato.

- Penso proprio di sì!

- Ottimo. Vieni allora, ti faccio vedere lo scaffale delle novità che sono arrivate a giugno. Del libro che hai chiesto abbiamo anche il seguito e, se vuoi, il dvd del film.

Questa qui mi è già simpatica. La seguo fra le sale e via via prendiamo i libri che le ho chiesto dagli scaffali. Si è segnata quei codici che usano i bibliotecari e va a colpo sicuro, borbottando quando trova qualche volume messo male e rimettendolo a posto nella giusta posizione.

- Sei anche stata fortunata, perché questo ce l’hanno riportato proprio stamani – conclude, porgendomi l’ultimo. Questo è quello che hanno regalato a Erina per il suo compleanno e se mi sbrigo a iniziarlo magari possiamo commentarlo via via insieme. Ringrazio ed esco con il prezioso carico sotto braccio, ma non ho voglia di tornare a casa. Mi va di andare un po’ a giro per Fiesole, passeggiare per queste strade e cercare di sentirle mie.
Decido di imboccare Via Gramsci per guardare qualche vetrina: ho in tasca i venti euro di Therese e potrebbe essere una buona idea non rimandare l’acquisto della carta da lettera. Noto una cartoleria e mi ci tuffo, prima di cambiare idea e spendere i soldi in qualcos’altro. Appena dentro, mi sembra di essere arrivata nel paese dei balocchi: lapis, pennine schiribillose, quaderni dalle copertine coloratissime, tracolle, porta cellulari e oggetti da regalo. Adoro le cartolerie! Per non cedere a inutili tentazioni, decido di chiedere subito al commesso. L’uomo dietro il banco sgrana gli occhi quando gli chiedo della carta da lettera.

- Uhm, dovremmo avere ancora qualcosa, da qualche parte. Cosa avevi in mente di preciso? Perché mi sa che ne abbiamo solo in stile fiorentino, non roba profumata o cose così ... sai, ormai le lettere non le scrive quasi più nessuno …

- Va benissimo.

Sparisce nel retro e poco dopo torna con la faccia di chi ha fatto la scoperta del secolo.

- Trovata! Che te ne pare?

- Ok – rispondo, lanciando un’occhiata ai ghirigori dorati e sbirciando il prezzo scolorito sull’adesivo.

- Tredici euro – mi chiede l’uomo.

Cavolini fritti! Pensavo meno! Beh, mi rimangono comunque sette euro.

- Magari facciamo dieci euro? In fondo era nel retro, non sapeva nemmeno di averla e come ha detto lei, chi scrive più? E poi il prezzo è pure scolorito …

Mi lancia un’occhiata incredula, ma sono io la prima a essere sorpresa, perché non mi è mai capitato di azzardarmi a contrattare il prezzo! È come se la voce mi fosse uscita da sola, senza che lo volessi!
Il tizio è spiazzato e credo che la spunterò, a giudicare dalla sua espressione.

- Dieci euro, e non uno di meno: sarà stata pure nel retro, ma è carta raffinata - risponde, e gli strappo un sorriso

- Buona fortuna! – mi dice l’uomo, quando sono sulla porta e sto già per chiudermela alle spalle. Strano saluto per uno strano acquisto.

Cammino per la strada con un senso di orgoglio per aver salvato qualche euro. Infilo la mano nella tasca dei jeans e sento la carta della banconota. Potrei comprarmi uno smalto. O un set di penne colorate? Vabbè, magari ci penso e per ora li tengo da parte. Se c’è una cosa che sto imparando è resistere alle tentazioni. Il trucco è sempre rimandare l’acquisto; di solito dopo qualche giorno me ne dimentico e quindi vuol dire che in fondo non mi interessava davvero!
Mentre torno verso casa mi domando dove siano i ragazzi che abitano qui e dove si incontrino. Sembra sempre che a giro ci siano solo adulti, neonati e stranieri.
Quando rientro a casa vado in camera mia, mi siedo sul letto e comincio a sfogliare i libri presi in prestito. Mentre mi faccio scorrere le pagine fra le dita, un cartoncino scappa fuori da un libro e cade sul tappeto. Mi sporgo un po’ dal letto. Sembra un segnalibro. Lo prendo. È un cartoncino lungo e stretto: da un lato ci sono disegnati dei fiori a china e subito sotto una scritta giapponese. Lo volto: altri ideogrammi e un disegno del sole e di una montagna. Deve essere stato lasciato dalla persona che ha letto il libro prima di me. Mi stendo e inserisco il segnalibro alla prima pagina. Chiudo e riapro il libro un sacco di volte. E dopo poco, senza pensarci, mi infilo i sandali ed esco di nuovo. Cerco di camminare più veloce che posso per arrivare alla biblioteca prima che chiuda. Mi sa che sia un’impresa impossibile ormai, e mi sento pure un po’ stupida. Arrivo lì davanti e mi appoggio al portone chiuso: era chiaro, avevo già visto prima di uscire di casa che ore fossero. Assurdo. Che fretta c’era? Una macchina esce dal parcheggio e mi passa accanto. Si accosta. Sussulto.

- Scusa, non volevo spaventarti!

- No, ero solo assorta – rispondo, riconoscendo la bibliotecaria.

- Ti serviva qualcosa? La biblioteca è chiusa in pausa pranzo.

- No, è solo che in un libro che ho preso in prestito ho trovato un segnalibro disegnato a china e così …

Sorride.

- Sai di chi è?

- Sì. Ma non preoccuparti, non se ne è dimenticata. A volte lo fa: li disegna e li lascia nei libri, per quelli che li prenderanno in prestito dopo di lei. Ce ne sono di bellissimi in biblioteca! Credo sia un suo hobby o un gesto gentile … - conclude, stringendosi nelle spalle.

- Mi potresti dire chi è?

- Sono sicura che non l’ha dimenticato, ma se vuoi puoi darlo a me e la prossima volta che verrà a prendere in prestito altri libri glielo restituirò.

- No! No … scusa … è che … insomma, io …

Si mordicchia un’unghia, pensosa.

- Sai che c’è la privacy e bla bla bla … beh, a mio parere sono tutte sciocchezze, però … insomma, va a finire che faccio tardi e si muore dal caldo dentro questo macinino … sai, non ho mica l’aria condizionata!

Continuo a tenere i miei occhi fissi dentro ai suoi e resto in silenzio. In una attesa ostinata.

- Oddio, sei impossibile! Si chiama Yukiko e sta a San Francesco. Contenta?

Incredibile, ma col cartoncino ancora in mano scappo via di corsa.

- Ma dove vai?

- Scusa! Non lo so!

Sento che riparte e mi passa accanto. Rallenta.

- Non dire che te l’ho detto io, piccola Sherlock Holmes!

Mi strizza un occhio e riparte strombazzando nella calura di quell’ora impossibile.

- Grazie! – mi fermo, la saluto con la mano e la vita mi sembra davvero strana.

Questa giornata è come se fosse racchiusa in una bolla misteriosa e non so nemmeno perché. Non so cosa sto facendo, perché lo faccio e quale sarà la mia prossima mossa.
Senza pensarci mi incammino verso casa, ma arrivata al bivio, anziché girare a destra, i miei piedi vanno a sinistra. Mi pare ovvio che andrò a San Francesco. Mi incammino per la salita lastricata e cerco di scacciare dalla mente il dialogo immaginario che penso di impostare con questa Yukiko, ammesso che riesca a trovarla. E poi chi sarà questa tizia? Una vecchietta rugosa e solitaria che si diverte a disegnare segnalibri? Uhm, può essere. Il negozio di pelletteria è ancora aperto. Magari potrei chiedere al proprietario, ma mi leverebbe il gusto dell’indagine solitaria. Dal parco lungo via San Francesco getto uno sguardo su Firenze, ma senza fermarmi, e proseguo fino alla chiesa. Il fatto è che qui di case ce ne sono poche e per ora i campanelli che ho sbirciato non mi hanno dato nessun indizio. Nessun cognome giapponese o comunque straniero. Comincia a sembrarmi tutto abbastanza senza senso. Visto che sono arrivata alla chiesa del convento decido di entrare, in cerca di un po’ di fresco, e subito dopo esco nel chiostro solitario e osservo le piccole aiuole, dove sono venuta tante volte con la nonna Annalena. Mi appoggio a un muretto all’ombra. Mi sento improvvisamente stanca, ma nello stesso tempo in pace, come fossi arrivata in un luogo che non mi chiede nulla, solo di stare. Una ragazza, protetta da un cappello di paglia, è china a sistemare i fiori delle aiuole, vicina al pozzo. Lavora accoccolata come una bambina, intenta. Immagino debba avere molto caldo, ma sembra che non se ne curi. Ogni gesto è preciso e calmo. Dopo un po’ si alza, raccoglie i suoi strumenti in un piccolo paniere e si volta. Il cappello le fa ombra sul volto, ma mentre si avvicina cerco di scrutarla, malgrado tenga il viso chino verso terra. Nel momento in cui si accorge dei miei piedi, alza il mento per rivolgermi un sorriso e si sofferma. Così la vedo. E in quel momento capisco che è lei.






Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone


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(dalla versione web)

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