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giovedì 2 ottobre 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 29




FINALMENTE SABATO!

Sabato mattina. Sto cercando di studiare per non dover fare i compiti anche domani, ma ci hanno dato un pozzo di roba da fare! Non è che riesca a concentrarmi molto, perché qui non ho una camera tutta mia per studiare e così mi arrangio in salotto. 
In casa c’è un gran fermento, perché finalmente è tornato dai suoi giri il mitico Cipolla! Continua a sembrarmi troppo strano chiamarlo così, ma a lui fa piacere se lo chiamiamo col suo nome d’arte. Non so come siano andati i suoi spettacoli itineranti, perché mi sembra parecchio magro e sciupacchiato, ma lui mi ha fatto capire che è stato benissimo e che non vede l’ora di provare dei nuovi numeri di giocoleria che gli sono venuti in mente e che ha visto da dei colleghi qua e là in giro per l’Europa. Ora è in giardino, intento ad incendiare delle palline legate a delle corde.

- Nonna, scusa, ma cosa sta facendo Cipolla?

- Guarda Clizia – risponde la nonna, scuotendo la testa – finora sono rimasta a guardarlo a bocca aperta, perché faceva un numero fantastico con una sfera di cristallo! Sembrava che la sfera non avesse peso e che fluttuasse in aria. Dovevi vederlo! Dovresti chiederglielo, sono sicura che sarà felice di mostrartelo, ma ora … è lì che armeggia col fuoco e secondo me va a finire che ci incendia la casa … sono preoccupata: che vorrà fare? Ma proprio qui deve provare? In uno sterrato dove non c’è niente e nessuno non andava meglio?

- Sei tu nonna che gli permetti di esercitarsi qui … probabilmente sa cosa sta facendo … o no? Guarda nonna, comincia a far roteare le palle … ops!

- Oh mamma! Che succede?

- Niente, forse solo due o tre peli del braccio di Cipolla bruciacchiati … i rischi del mestiere!

- Volete fare silenzio per favore? Non riesco a concentrarmi così! Non mi riesce niente con questo chiacchiericcio! – interviene la mamma, china su un pentolino.

Guardo la nonna con un punto interrogativo negli occhi e lei mi bisbiglia “sta facendo la crema”.

“Ahi!”, mormoro. L’ultima volta che ci ha provato è venuta fuori una roba granulosa e troppo liquida. Così china sul pentolino mi sembra di vederle uscire del fumo dagli orecchi!

- Dai mamma, rilassati! Non può essere così terribile! Basta seguire scrupolosamente la ricetta.

- Se bastasse seguire, come dici tu, scrupolosamente la ricetta, chiunque con un buon libro di cucina sarebbe uno chef! Non basta seguire la ricetta, bisogna avere la mano felice … non è che la crema riesca a tutti, perché c’è una giusta consistenza da ottenere e devi capire quando fermarti, quando fa il famoso “velo” sul mestolo, perché sennò va a finire che la crema impazzisce a buonanotte e quindi, Clizia … oh mamma, oh mamma! - comincia a dire, saltando su tutta eccitata - la crema! La crema!

Guardiamo dentro il pentolino e vediamo una bella crema gialla, a occhio di una consistenza perfetta e con un profumo decisamente invitante. Le prendo il mestolo di mano, ci soffio un po’ sopra e assaggio.

- Ecco, vedi mamma, forse bastava non pensarci troppo.

- Come è?

- È buonissima - le sorrido, alzando il dito pollice in segno di vittoria.

- Bene! Adesso basterebbe saper fare una frolla decente. Oggi è il compleanno della piccolina e vuole la torta di crema ai frutti di bosco. La frolla comunque sarà per un altro giorno. Oggi ne uso una già pronta.

- Il babbo?

- È al maneggio con Andy. L’altro giorno, per caso, Andy ha visto il babbo che riparava in giardino il tavolo della nonna. Così si è affacciato alla rete del giardinetto e hanno cominciato a chiacchierare. Sembra che abbia bisogno di qualcuno al maneggio per fare dei piccoli lavoretti di riparazione. Sai che il babbo è un aggeggione e quindi ha detto di sì. È via da stamani, per fortuna! Non si regge quando gira qui intorno come un animale in gabbia.

- Nessuna novità per il suo lavoro?

- No, Clizia – risponde la mamma con una smorfia – ma ieri si è finalmente deciso a far circolare voce che è disponibile per delle ripetizioni di francese. Ha borbottato un po’ perché, come dice lui, “figurati se devo guadagnarmi da vivere con la lingua di mia madre”, alludendo ovviamente ad Annie …

- E tu?

- Gli ho risposto di considerarlo come una sorta di regalo inconsapevole di sua madre. Lui, puntiglioso com’è, ha tenuto a precisare che è stata Therese a insegnargli a parlare! Beh, non ha torto.

- Mamma, stasera posso andare da Erina?

Lei lancia uno sguardo ai miei libri aperti sul tavolo. La mamma è fissata sul fatto di andare bene a scuola.

- Uhm, direi di sì … basta che ti organizzi con i compiti … puoi sentire se lo zio ti dà un passaggio.

- Veramente vorrei andar via presto, verso le due … magari meglio se prendo l’autobus.

- Le due, Cli? Ma non ce la facciamo a pranzare in tempo! Devo prima finire la torta!

- Non importa mamma. Mi faccio un panino, cosa ne dici?

- Ok, solo che ora …

- Me lo preparo da sola: guardo cosa c’è in frigo.

Lei mi guarda e mi sorride.

- Brava la mia bambina - mormora, dandomi un buffetto.

Un ululato viene dal giardino e ci voltiamo tutti di scatto.

- Nonna! Cassettina del pronto soccorso! A occhio e croce serve una pomata per le bruciature! – esclamo, vedendo Cipolla che saltella in giardino, reggendosi il braccio.

La nonna trotta via scuotendo la testa e borbottando.

- Va a finire che mi tocca chiamare i pompieri, mi tocca …


Continua ...


"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone 
Foto di Jack Lucas Smith su Unsplash

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martedì 16 settembre 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 28



TERZO BANCO, LATO FINESTRA

Cara nonna,

oggi è cominciata la scuola. Ieri sera sono stata un secolo davanti all’armadio per decidere il look giusto. Pensavo a dei jeans e a una polo rossa, ma alla fine ho realizzato che fosse un colore troppo vistoso: non volevo farmi notare (quasi impossibile, visto che sono nuova. Avrò tutti gli occhi puntati su di me e tu sai che non mi piace essere al centro dell’attenzione). Altra opzione: dei leggins e una maxi maglia; il problema è che quello che era maxi l’anno scorso ora non lo è più … alla fine ho rubato una maglietta nell’armadio della mamma e ho ottenuto un risultato decente.

Qui è ancora caldo e quindi ho deciso di farmi accompagnare a scuola dallo zio in moto, anziché andare a piedi come avevo pensato all’inizio. Sarebbe stata davvero una scarpinata e non volevo arrivare sudata marcia.

Quando sono arrivata nel piazzale della scuola c’era tantissima gente, dato che i tre edifici comprendono la materna, le elementari e le medie. Lo zio per fortuna doveva scappare subito perché aveva scuola anche lui, alla seconda ora, così non ho fatto la figura della bambocciona accompagnata. Mi sono piazzata al lato del cancello delle medie e me ne sono stata lì davanti, fingendo indifferenza, ma onestamente, nonna, mi sentivo parecchio agitata. Per fortuna poco dopo è arrivata Serena e abbiamo iniziato a chiacchierare, ma purtroppo è arrivata quasi subito dopo Francesca, la sua amica storica asilo-elementari-medie e quella con la quale starà di banco insieme, come mi sembra logico. Quindi che dire, non che Serena non sia stata carina, ma dopo un po’ si sono messe a parlare di un sacco di cose e persone di cui non avevo idea, quindi non mi è rimasta altra scelta che star lì ad ascoltare, fingendo interesse. Quando finalmente è suonata la campanella siamo entrati in mandria e le ho seguite fino in classe. Siamo state le prime a entrare e solo lì per lì ho realizzato che non avevo pensato a quale banco fosse meglio scegliere. In una frazione di secondo ho considerato che la prima fila sarebbe stata da saccente, l’ultima da svogliata. Alla fine, prima che arrivassero gli altri, ho scelto la terza fila, lato finestra. Via via sono arrivati tutti, ma la sedia accanto a me continuava a rimanere vuota, anche perché Serena, che aveva promesso di introdurmi, era impegnata nei saluti di rito a tutta la classe. Ho finto di essere occupatissima a controllare qualcosa nello zaino. Alla fine è arrivata la prof. e la porta si è chiusa dietro di lei. Ok, sono sola, ho realizzato. Fantastico. Classe dispari. La sfigata solitaria. Avevo appena finito di pensarci quando si è sentito bussare e poco dopo è entrato un ragazzo con un cesto di capelli castano scuro, zaino sulla spalla, look un po’ trasandato della serie “mi sono alzato cinque minuti fa”.

- Scusi prof.

- Non fa niente, solo non farla diventare un’abitudine – ha tenuto subito a mettere le cose in chiaro lei.

Il ragazzo si è guardato un po’ in giro, ha individuato l’unico posto libero accanto a me e si è messo a sedere, occupando un’infinità di spazio. Ora, non è che voglia mettermi a fare la pignola, ma sedendosi ha storto il banco e mi è immediatamente venuta in mente Erina quando mi diceva, prendendomi in giro, “finché non c’è il banco diritto, per Clizia non c’è verso di cominciare”. In più è sconfinato nella mia linea immaginaria di metà banco e si è girato verso di me.

- Ciao, sono il Vile.

Nonna, ti giuro, sono rimasta di sasso: non sapevo che dire. Il Vile? In che senso? Come soprannome o come cognome o … “Stimati fra”, ho pensato, ma ovviamente la mia bocca ha articolato altro.

- Ok, ciao … ehm … Vile … io mi chiamo Clizia.

- Ragazzi! – ci ha subito ripresi la prof – invece di presentarvi fra voi e basta, visto che siete nuovi, penso che sarebbe meglio vi presentaste a tutta la classe e smetteste di chiacchierare. Coraggio!

Così ho fatto subito un’impressione negativa alla prima prof entrata in classe e direi che se mi ha bollata come una chiacchierona lo devo solo al mio compagno di banco! Uno alla volta ci siamo alzati e abbiamo detto giusto due parole: il nome, la scuola da cui venivamo, lo sport che facevamo. Grandi cose non mi sono venute in mente, perché ero molto agitata e mi batteva forte il cuore, sentendo tutti quegli occhi puntati su di me. Così ho saputo che il Vile (che si chiama Federico, in realtà … mi fa impressione chiamarlo in quel modo …) era già in quella scuola ed è in classe nostra perché l’anno scorso è stato bocciato. Poveretto, mi sa che sia avvilente pensare a tutti i suoi compagni in prima superiore e lui ancora qui fra noi marmocchi. Mi dirai che ha solo un anno più di noi, nonna, ma ti giuro che dimostra a occhio sedici anni, perché ha proprio un’aria a “grande”. In classe, rispetto all’anno scorso, siamo pochi: solo venti. Undici maschi e nove femmine. Oggi ho conosciuto le prof. di italiano, religione, matematica, inglese e l’unico prof. maschio (almeno per ora): insegna spagnolo, è madrelingua e si chiama Victor Delgado Castillo. Ovviamente hanno già tutti un soprannome, ma la più tartassata è quella di inglese, di cui però ti racconterò la prossima volta. Non ci crederai, ma devo già studiare. Domani, tanto per gradire, abbiamo una verifica di ingresso di matematica. La professoressa ha detto che non terrà conto delle eventuali insufficienze … mah, non so cosa aspettarmi dall’occhialuta. Ha un po’ l’aspetto vecchio stile: crocchia e occhialetti con montatura improponibile, calze spesse da vene varicose … nonna, non sto scherzando, in confronto tu sembri sua figlia!

Adesso devo andare a studiare, ma prima telefonerò a Erina, perché questo primo giorno di scuola senza di lei mi ha fatto un po’ effetto, non lo nego.

Speriamo tutti di ricevere tue notizie al più presto. Ti rendi conto che ancora non ci hai spedito nemmeno una cartolina dalla Francia?  Immagino che ti stia divertendo e che tu sia troppo stanca la sera per trovare il tempo di scriverci.

                                               Un mega bacio nonna, la tua Clizia






- E allora? Che tipi hai in classe?

- Mah … non li ho ancora inquadrati. Stamani più che altro ho parlato con il mio compagno di banco, Serena e Francesca.

- Senti, perché invece di stare a chiacchierare al telefono non prendi l’autobus e vieni da me? Facciamo un giro e andiamo in piazza.

- Mi dispiace, ma devo già studiare! Mi hanno piazzato una verifica di mate per domani.

- E dai! Di già?

- Uhm … e lo sai che non è proprio la mia materia preferita. Vorrei cercare di non fare subito brutta impressione!

- Che secchia! Non ti manco neanche un po’ allora?

- Scema! Lo sai che verrei di volata, se potessi, ma a quest’ora passerei più tempo sull’autobus che con te. Dimmi tu piuttosto, com’è andata stamani?

- Bene. Abbiamo chiacchierato delle vacanze e dei programmi che svolgeremo quest’anno, niente di che.

- E di banco con chi sei?

- Con Vanessa. È stata lei a chiedermi se poteva prendere il tuo posto.

- Già – mormoro, e subito dopo mi scappa un sospirone – quando ricominci judo?

- Domani. Vanessa verrà a fare una lezione di prova con me.

- Oh, è decisa davvero a sostituirmi in tutto!

- Clizia! Lei ci prova, ma chi ce la fa a sostituirti? A proposito, tu hai trovato una palestra per continuare judo?

- No – rispondo, un po’ secca. Mi dà fastidio che Erina continui a non capire la mia nuova situazione. Eppure non è chiara? – in questo momento non voglio chiedere ai miei di spendere dei soldi … qualcosa farò … la scuola è abbastanza lontana e la strada tutta in salita: se anche vado e torno a piedi è un bell’allenamento!

- Beh, pensavo ti dispiacesse smettere judo, dopo tutti gli anni passati a imparare le basi forse ora arrivava la parte più divertente.

- Sì … boh, forse lo facciamo pure da troppo … non so se, anche potendo, avrei continuato. Magari mi sarebbe anche piaciuto cambiare sport.

C’è un attimo di silenzio dall’altra parte. Forse sono stata acida.

- Ok Clizia, allora ti lascio andare a studiare.

- Già. Salutami tutti. Mi mancate un botto, lo sai, vero?

- Lo so. Anche tu ci manchi. Fila a studiare! 

Forse avrei potuto andare, penso subito dopo aver attaccato. Se invece di telefonarle prendevo l’autobus risparmiavo tempo e potevo stare un po’ con Erina e gli altri … magari vedere Davide … oh, al diavolo! Penso a Vanessa, ai suoi capelli biondi e lunghi come spaghetti, gli occhioni verdi. Ce le vedo di banco insieme: Erina ha un carattere più forte di lei e quindi sarà il capo, e Vanessa la gregaria. Senza dubbio, però, le ragazze più carine della classe. Faranno strage di cuori anche in palestra. Lo sguardo mi vaga per la stanza. Non penso a niente in particolare, sto solo lì a sentire un vago disagio che mi cammina addosso. Magari ci vediamo sabato, così le racconto di Yukiko e qualcosa di divertente che sicuramente succederà in classe in questi giorni. Ora bisogna mi concentri o la Prof. Barzi mi farà a pezzettini domani alla verifica.


Continua ...


"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone 
Foto di Riccardo Fraccarollo da pexels
Foto di RDNE Stock project da pexels

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venerdì 5 settembre 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 27

  



HAI MAI LETTO UN HAIKU?



La ragazza, dopo un breve sguardo al segnalibro che sto ancora tenendo in mano, fa come per andare oltre.

- Sei Yukiko?

Si ferma, come se l’avessi catturata con un invisibile lazo. Si volta con grazia e rimane a guardarmi, tenendo il paniere con entrambe le mani, con un accenno di sorriso. Sembra proprio la ragazzina di un manga.

- Non mi sembra di conoscerti, mi dispiace.

- Non ci conosciamo infatti. Ho trovato questo cartoncino fra le pagine di un libro che ho preso in biblioteca e allora … insomma, mi sa che è tuo … forse te lo sei dimenticato.

Rimane a guardarmi, sempre con quell’idea di sorriso, ma lo sguardo è incerto e sbigottito: non capisce come abbia fatto a trovarla e a sapere che quel segnalibro l’ha fatto lei!

- Sei stata molto gentile a darti tanto disturbo. Dammi il tempo di lavarmi le mani, così poi possiamo parlare.

La seguo senza dire più una parola, perché mi sembra impossibile averla trovata, così per caso, e ho proprio tanta paura di svegliarmi e capire che tutta questa strana giornata è stata solo un sogno. Immagino che, quando si sarà lavata le mani, aprirà qualche porticina e ci troveremo in un mondo parallelo, invece dal chiostro usciamo semplicemente fuori dal convento e ci troviamo davanti al sagrato.

- Abito qui vicino. Se non ti dispiace potresti accompagnarmi. Posso chiederti come fai a sapere che ho disegnato io il segnalibro? – mi domanda, accennando col mento al cartoncino.

- Oh, beh … ci sono degli ideogrammi e un disegno tipico … uh … giapponese appunto, e così, chiedendo qua e là …

- Comunque non l’ho dimenticato: l’ho lasciato nel libro per farlo trovare alle persone che lo leggeranno dopo di me.

Intanto siamo arrivati davanti ad un piccolo portoncino verde, che non avevo notato venendo su e che comunque, come vedo ora, non ha un campanello col cognome giapponese, quindi non mi avrebbe dato nessun indizio. Apre il portoncino e si volta verso di me.

- Puoi tenere il segnalibro, se ti piace, o se preferisci puoi lasciarlo nel libro quando lo restituirai.

- In questo caso credo proprio che lo terrò. Sei davvero bravissima! Solo … – mi mordicchio un po’ il labbro – magari, dato che sono qui, potresti dirmi cosa c’è scritto!

A questo punto si scioglie un po’ dalla sua compostezza e ride, coprendosi la bocca con la mano.

- Forse è meglio se entri. Posso offrirti un tè freddo. I tuoi genitori sanno che sei venuta a cercarmi?

- Ma certo! – mento spudoratamente, scacciando l’immagine della mamma che mi intima di non fidarmi mai degli sconosciuti.

- Va bene, allora entra pure – mi invita, con un piccolo inchino grazioso.

Dentro, la casa è proprio piccolissima. È una stanza sola, quadrata, con pochissimi mobili e oggetti, molto ordinata. L’ambiente è luminoso e addolcito da un parquet chiaro. Mi chiedo dove dorma, dato che non c’è neanche un letto!

- Mi dispiace, ma non ho delle sedie - mi spiega, arrossendo – io uso i cuscini.

Mi inginocchio su uno dei cuscini poggiati accanto ad un basso tavolinetto e subito dopo mi accorgo che Yukiko è scalza, mentre io ho ancora i miei sandali: non pensavo di doverli togliere! Mi sa che i giapponesi usano togliersi le scarpe, penso, ricordando qualche cartone animato visto in tv ... forse ho fatto una figuraccia … improvvisamente mi sento a disagio e non so cosa dire. Lei intanto versa il tè in delle tazzine minuscole di porcellana, con decori floreali. Un angolino di Giappone a Fiesole. Oltre quella porta chiusa c’è l’Occidente, qui dentro sembra di essere stati trasportati in un altro mondo.


- È bello qui – comincio, un po’ titubante – c’è così … uh … spazio.

Sorride senza mostrare i denti, quasi fra sé.

- L’ordine e lo spazio mi rilassano: il vuoto, per me, è un elemento d’arredo.

- Scusa, magari ti sembro sfacciata, ma dove dormi?

- Su un futon. Forse li avrai visti in qualche film. Durante il giorno lo arrotolo e lo metto nell’armadio, e lo preparo di nuovo la sera, prima di andare a dormire: così nella stanza c’è molto più spazio e posso usarla in modo diverso.

- Hai mantenuto tutte le usanze giapponesi!

- Sì. Sono anche riuscita a trovare un tatami, la stuoia rivestita di giunco, per poggiare il futon.

- Sei qui da tanti anni? Studi o lavori?

- Oh … sono qui da … abbastanza. Lavoro in un vivaio e progetto spazi verdi: sono una garden designer.

- Deve essere divertente! Io invece devo fare la terza media, qui a Fiesole … già … non conosco nessuno e sono tipo … terrorizzata – rido nervosamente – perché sai, prima non abitavo qui, stavo in centro, nel quartiere di Santa Croce, non so se lo conosci … oh, ma che dico? Certo che lo conosci! Insomma, chi è che non lo conosce? – oddio, ora penserà che sono un’invasata, una di quelle che è sicura di stare nella città più bella del mondo, mentre io non so nemmeno di dove sia lei: ma perché non gliel’ho chiesto?! - … ma insomma, sai, poi è successo un casino, perché i miei hanno perso il lavoro e allora siamo venuti a stare qui, da mia nonna e mio zio, per dividere le spese e anche perché loro stanno in una casa grande … anche se non sono ricchi, eh … no, perché insomma, lo erano un tempo … non ricchi sfondati, ma stavano bene, ma poi c’è stata l’alluvione e puf! Dalle stelle alle stalle! Sì, siamo un po’ abituati a farci prendere dagli imprevisti … già … però, insomma, non mi lamento, mi sto … tipo … abituando, ecco!

Probabilmente sto andando a fuoco, perché mi sento la faccia scarlatta e lei, poverina, mi sembra tramortita da questo diluvio di parole, perché mi sa che non è tanto abituata a stare con gli altri: deve essere un’anima solitaria. Però sembra simpatica, ma di sicuro a forza di stare con le piante non è che si sia allenata molto a parlare, almeno non con gli esseri umani.

- E insomma, sono proprio curiosa di sapere cosa c’è scritto sul segnalibro, perché mi piace un sacco l’idea degli ideogrammi.

- Sono haiku.

- Oh.

- Conosci gli haiku?

- Uhm … direi di no.

- Sono poesie: solo tre versi, diciassette sillabe in tutto. Solo poche parole per parlare della natura e dei sentimenti.

- Facili da imparare!

- Sono sintesi … come un’emozione che ti colpisce, un tuffo al cuore, una rivelazione improvvisa …

- E questo l’hai scritto tu?

- No, sono due haiku di Bashō, un poeta molto famoso. Questo dice: “Steli di iris si aggrovigliano ai miei piedi come lacci di sandali”. E questo invece: “Profumo di fiori di pruno: sorge improvviso il sole sul sentiero di montagna”. E poi ho illustrato queste poesie, perché mi piace disegnare.

- Infatti sei bravissima! Sono disegni stupendi. E anche le poesie, ovvio. Mi sembrano così semplici, ma potenti e ... - rimango senza parole, cercando di esprimermi e non trovando le parole mi sento un po’ stupida e infantile – voglio dire che a volte nel tanto trovi poco e invece, in questo caso, nel poco trovi tanto.

Annuisce.

- Se leggerai molti haiku, comincerai a far caso a cose che prima non avevi considerato. Ma non è così immediato … - dice lei ridendo e coprendosi la bocca con la mano. Intanto si alza e prende un libro da uno scaffale – perché non provi a leggere questi?

Così dicendo mi porge un piccolo volume.

- “Il libro degli haiku” di Jack Kerouac.

- Sì, sono haiku scritti da un americano: conosci Kerouac?

- Uhm …. Mi sa che ne ho sentito parlare …

Sorride comprensiva, mentre mi sento una stupida marmocchia.

- Beh, adesso mi sa che è meglio che vada – le dico, riporgendole il libro.

- Oh no, ti prego, tienilo.

Sgrano gli occhi, sorpresa.

- No, io …

- Per favore, per favore tienilo. Sono felice di regalartelo. Puoi metterci il segnalibro dentro!

Un sorriso grande mi illumina il viso.

- Allora grazie.

- Prego – risponde, con un piccolo inchino. Mi accompagna alla porta ed esco di nuovo in occidente. Il sole si allunga sulla discesa, come a indicarmi la strada del ritorno a casa.

- Torna a trovarmi, se vuoi – mi dice sorridendo, mentre chiude la porta.

E io volo a casa, giù per la discesa, con il rischio di inciampare e farmi male, con un regalo inaspettato che stringo in una mano e un senso di possibilità che mi riempie il petto. Sul portone di casa mi scontro quasi con lo zio Dario che sta uscendo.

- Ma dov’eri? Ti cercavano tutti! La nonna era preoccupata.

- Sono andata a San Francesco.

- Oh no, Clizia! Ancora un pellegrinaggio per dare un’occhiata dall’alto a Santa Croce?

- Beh, passando una sbirciatina l’ho data … ma in realtà sono andata al convento.

Mi guarda, aggrottando la fronte.

- Lascia stare, zio … conosci questo tipo? – gli chiedo, mostrandogli la copertina del libro.

- Questo tipo?! Clizia, questo è Jack Kerouac: un importante scrittore americano del ventesimo secolo.

- È un bel ragazzo, no? Un po’ ti assomiglia – dico, considerando la foto della copertina.

- L’hai preso in biblioteca?

- No.

- E allora chi te l’ha dato?

- Non stai facendo tardi, zio?

- Sì, è vero, ma ne riparleremo! – mi minaccia scherzoso col dito, mentre lo spingo fuori – Perché sarei rimasto volentieri a parlare con te di Jack, ma ho un appuntamento e non si fanno aspettare le signorine.

- Un appuntamento galante?

- Potrebbe. Ma sai che, purtroppo, non mi innamoro mai – risponde, alzando le spalle.

Sembra dispiaciuto. Richiudo la porta dietro di me. Povero zio! Così tante spasimanti, ma tutte senza speranza. Mi chiedo se non senta la mancanza di una moglie, o di una fidanzata. A volte anche a me piacerebbe che qualcuno fosse innamorato di me, per capire l’effetto che fa.



Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone
"Dal convento", foto di Daniela Darone
Interno di stanza, foto di Kouji Tsuru su Unsplash


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martedì 19 agosto 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 26

 



UNA GIORNATA PROPRIO STRANA!


La nonna ha scritto un bigliettino anche a me prima di partire. Deve avermelo lasciato sul comodino la mattina prestissimo, mentre stavo ancora dormendo. Nella busta c’erano anche 20 euro. Nella sua bella calligrafia tutta svolazzi mi ha scritto:

Se continui a guardare indietro e a sospirare su quello che hai lasciato, non potrai mai accorgerti di quello che hai davanti. Coraggio ma praline, guarda con entusiasmo al presente! Ti lascio una banconota da 20 euro: comprati una bella carta da lettera! Niente fogli strappati dai quaderni per la nostra corrispondenza! Ti abbraccio, Therese

Beh, in fondo ha ragione, penso, mentre mi avvio in biblioteca. Voglio dire, da casa della nonna Annalena (forse dovrei iniziare a dire “da casa mia”) alla biblioteca c’è pochissima strada da fare, eppure da quando sono qui non mi è mai venuto in mente che avrei potuto venirci. È vero che ho saccheggiato diversi libri dello zio, però venire in biblioteca poteva essere un modo per cercare di ambientarmi. Eccomi qui. Già arrivata. Entro.


La biblioteca è carina e fresca; tutti stanno con la testa tuffata dentro i libri, tranne alcuni ragazzi che digitano come forsennati sui cellulari e cercano di non sghignazzare. Comincio ad aggirarmi fra gli scaffali, dando occhiate qua e là e cercando di capire come hanno organizzato le sezioni. La mente, senza volere, vola alla mia vecchia biblioteca di via Tripoli. Due piani dedicati solo a libri per ragazzi, un mondo parallelo dove entravo e mi sentivo avvolta. Dalla strada suonavo un campanello, mi aprivano e contemporaneamente vedevo la testa di una delle due bibliotecarie affacciarsi per vedere chi era. Tutte le volte mi sembrava quasi che quel luogo fosse una società segreta, alla quale dovevo essere ammessa e subito, fatto il primo scalino, ero nella sala grande e potevo lanciare una sbirciatina alle panchine del giardino, per vedere se erano libere, in modo da poter leggere fuori, sotto le fronde del grande albero. Oppure potevo salire al piano di sopra, a leggere ai tavolini, alzando ogni tanto gli occhi sul campanile di Santa Croce che si vedeva dalla finestra ... Beh, meglio tornare al presente! Mi avvicino al banco per chiedere i libri che mi servono. C’è una ragazza giovane che sembra simpatica: i suoi occhialini vecchio stile spiccano su un viso che sprizza gioia. Gli occhi le ridono mentre mi chiede se può aiutarmi. Un punto a favore. Le porgo un foglietto sul quale ho scritto i titoli e lei li cerca al computer. Poi si alza e, bisbigliando, mi fa cenno di seguirla.

- Ti faccio fare un giro orientativo per farti vedere come è organizzata la biblioteca. Così magari puoi fermarti nelle sezioni che ti interessano di più e dare un’occhiata agli altri titoli che abbiamo … uhm, non ti avevo mai vista. Sei nuova?

- Sì, ci siamo trasferiti da poco.

- Ah, bene! Allora credo che ci vedremo spesso, a giudicare dalla lista che mi hai dato.

- Penso proprio di sì!

- Ottimo. Vieni allora, ti faccio vedere lo scaffale delle novità che sono arrivate a giugno. Del libro che hai chiesto abbiamo anche il seguito e, se vuoi, il dvd del film.

Questa qui mi è già simpatica. La seguo fra le sale e via via prendiamo i libri che le ho chiesto dagli scaffali. Si è segnata quei codici che usano i bibliotecari e va a colpo sicuro, borbottando quando trova qualche volume messo male e rimettendolo a posto nella giusta posizione.

- Sei anche stata fortunata, perché questo ce l’hanno riportato proprio stamani – conclude, porgendomi l’ultimo. Questo è quello che hanno regalato a Erina per il suo compleanno e se mi sbrigo a iniziarlo magari possiamo commentarlo via via insieme. Ringrazio ed esco con il prezioso carico sotto braccio, ma non ho voglia di tornare a casa. Mi va di andare un po’ a giro per Fiesole, passeggiare per queste strade e cercare di sentirle mie.
Decido di imboccare Via Gramsci per guardare qualche vetrina: ho in tasca i venti euro di Therese e potrebbe essere una buona idea non rimandare l’acquisto della carta da lettera. Noto una cartoleria e mi ci tuffo, prima di cambiare idea e spendere i soldi in qualcos’altro. Appena dentro, mi sembra di essere arrivata nel paese dei balocchi: lapis, pennine schiribillose, quaderni dalle copertine coloratissime, tracolle, porta cellulari e oggetti da regalo. Adoro le cartolerie! Per non cedere a inutili tentazioni, decido di chiedere subito al commesso. L’uomo dietro il banco sgrana gli occhi quando gli chiedo della carta da lettera.

- Uhm, dovremmo avere ancora qualcosa, da qualche parte. Cosa avevi in mente di preciso? Perché mi sa che ne abbiamo solo in stile fiorentino, non roba profumata o cose così ... sai, ormai le lettere non le scrive quasi più nessuno …

- Va benissimo.

Sparisce nel retro e poco dopo torna con la faccia di chi ha fatto la scoperta del secolo.

- Trovata! Che te ne pare?

- Ok – rispondo, lanciando un’occhiata ai ghirigori dorati e sbirciando il prezzo scolorito sull’adesivo.

- Tredici euro – mi chiede l’uomo.

Cavolini fritti! Pensavo meno! Beh, mi rimangono comunque sette euro.

- Magari facciamo dieci euro? In fondo era nel retro, non sapeva nemmeno di averla e come ha detto lei, chi scrive più? E poi il prezzo è pure scolorito …

Mi lancia un’occhiata incredula, ma sono io la prima a essere sorpresa, perché non mi è mai capitato di azzardarmi a contrattare il prezzo! È come se la voce mi fosse uscita da sola, senza che lo volessi!
Il tizio è spiazzato e credo che la spunterò, a giudicare dalla sua espressione.

- Dieci euro, e non uno di meno: sarà stata pure nel retro, ma è carta raffinata - risponde, e gli strappo un sorriso

- Buona fortuna! – mi dice l’uomo, quando sono sulla porta e sto già per chiudermela alle spalle. Strano saluto per uno strano acquisto.

Cammino per la strada con un senso di orgoglio per aver salvato qualche euro. Infilo la mano nella tasca dei jeans e sento la carta della banconota. Potrei comprarmi uno smalto. O un set di penne colorate? Vabbè, magari ci penso e per ora li tengo da parte. Se c’è una cosa che sto imparando è resistere alle tentazioni. Il trucco è sempre rimandare l’acquisto; di solito dopo qualche giorno me ne dimentico e quindi vuol dire che in fondo non mi interessava davvero!
Mentre torno verso casa mi domando dove siano i ragazzi che abitano qui e dove si incontrino. Sembra sempre che a giro ci siano solo adulti, neonati e stranieri.
Quando rientro a casa vado in camera mia, mi siedo sul letto e comincio a sfogliare i libri presi in prestito. Mentre mi faccio scorrere le pagine fra le dita, un cartoncino scappa fuori da un libro e cade sul tappeto. Mi sporgo un po’ dal letto. Sembra un segnalibro. Lo prendo. È un cartoncino lungo e stretto: da un lato ci sono disegnati dei fiori a china e subito sotto una scritta giapponese. Lo volto: altri ideogrammi e un disegno del sole e di una montagna. Deve essere stato lasciato dalla persona che ha letto il libro prima di me. Mi stendo e inserisco il segnalibro alla prima pagina. Chiudo e riapro il libro un sacco di volte. E dopo poco, senza pensarci, mi infilo i sandali ed esco di nuovo. Cerco di camminare più veloce che posso per arrivare alla biblioteca prima che chiuda. Mi sa che sia un’impresa impossibile ormai, e mi sento pure un po’ stupida. Arrivo lì davanti e mi appoggio al portone chiuso: era chiaro, avevo già visto prima di uscire di casa che ore fossero. Assurdo. Che fretta c’era? Una macchina esce dal parcheggio e mi passa accanto. Si accosta. Sussulto.

- Scusa, non volevo spaventarti!

- No, ero solo assorta – rispondo, riconoscendo la bibliotecaria.

- Ti serviva qualcosa? La biblioteca è chiusa in pausa pranzo.

- No, è solo che in un libro che ho preso in prestito ho trovato un segnalibro disegnato a china e così …

Sorride.

- Sai di chi è?

- Sì. Ma non preoccuparti, non se ne è dimenticata. A volte lo fa: li disegna e li lascia nei libri, per quelli che li prenderanno in prestito dopo di lei. Ce ne sono di bellissimi in biblioteca! Credo sia un suo hobby o un gesto gentile … - conclude, stringendosi nelle spalle.

- Mi potresti dire chi è?

- Sono sicura che non l’ha dimenticato, ma se vuoi puoi darlo a me e la prossima volta che verrà a prendere in prestito altri libri glielo restituirò.

- No! No … scusa … è che … insomma, io …

Si mordicchia un’unghia, pensosa.

- Sai che c’è la privacy e bla bla bla … beh, a mio parere sono tutte sciocchezze, però … insomma, va a finire che faccio tardi e si muore dal caldo dentro questo macinino … sai, non ho mica l’aria condizionata!

Continuo a tenere i miei occhi fissi dentro ai suoi e resto in silenzio. In una attesa ostinata.

- Oddio, sei impossibile! Si chiama Yukiko e sta a San Francesco. Contenta?

Incredibile, ma col cartoncino ancora in mano scappo via di corsa.

- Ma dove vai?

- Scusa! Non lo so!

Sento che riparte e mi passa accanto. Rallenta.

- Non dire che te l’ho detto io, piccola Sherlock Holmes!

Mi strizza un occhio e riparte strombazzando nella calura di quell’ora impossibile.

- Grazie! – mi fermo, la saluto con la mano e la vita mi sembra davvero strana.

Questa giornata è come se fosse racchiusa in una bolla misteriosa e non so nemmeno perché. Non so cosa sto facendo, perché lo faccio e quale sarà la mia prossima mossa.
Senza pensarci mi incammino verso casa, ma arrivata al bivio, anziché girare a destra, i miei piedi vanno a sinistra. Mi pare ovvio che andrò a San Francesco. Mi incammino per la salita lastricata e cerco di scacciare dalla mente il dialogo immaginario che penso di impostare con questa Yukiko, ammesso che riesca a trovarla. E poi chi sarà questa tizia? Una vecchietta rugosa e solitaria che si diverte a disegnare segnalibri? Uhm, può essere. Il negozio di pelletteria è ancora aperto. Magari potrei chiedere al proprietario, ma mi leverebbe il gusto dell’indagine solitaria. Dal parco lungo via San Francesco getto uno sguardo su Firenze, ma senza fermarmi, e proseguo fino alla chiesa. Il fatto è che qui di case ce ne sono poche e per ora i campanelli che ho sbirciato non mi hanno dato nessun indizio. Nessun cognome giapponese o comunque straniero. Comincia a sembrarmi tutto abbastanza senza senso. Visto che sono arrivata alla chiesa del convento decido di entrare, in cerca di un po’ di fresco, e subito dopo esco nel chiostro solitario e osservo le piccole aiuole, dove sono venuta tante volte con la nonna Annalena. Mi appoggio a un muretto all’ombra. Mi sento improvvisamente stanca, ma nello stesso tempo in pace, come fossi arrivata in un luogo che non mi chiede nulla, solo di stare. Una ragazza, protetta da un cappello di paglia, è china a sistemare i fiori delle aiuole, vicina al pozzo. Lavora accoccolata come una bambina, intenta. Immagino debba avere molto caldo, ma sembra che non se ne curi. Ogni gesto è preciso e calmo. Dopo un po’ si alza, raccoglie i suoi strumenti in un piccolo paniere e si volta. Il cappello le fa ombra sul volto, ma mentre si avvicina cerco di scrutarla, malgrado tenga il viso chino verso terra. Nel momento in cui si accorge dei miei piedi, alza il mento per rivolgermi un sorriso e si sofferma. Così la vedo. E in quel momento capisco che è lei.






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"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone


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(dalla versione web)

mercoledì 30 luglio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Venticinquesimo capitolo

 




LA LETTERA DI THERESE



Rientro a casa in un lago di sudore. Mi sono piccata che sarei andata fino a scuola a piedi, ma non sono esattamente due minuti di strada e per di più è quasi tutta in salita. Comunque in segreteria mi hanno confermato che sarò in classe con Serena: III A. Lista dei libri presa. Ora non mi resta che fare un salto in Via San Gallo al negozio di libri usati.
Rientrando trovo il babbo, d’umore neutro, e la mamma seduta al tavolo che prende appunti da un libro di cucina. Mi ricordo improvvisamente della busta di Therese e vado a prenderla. Il babbo ha un moto di sorpresa e mi scruta come se dovesse carpirmi chissà quale segreto. Gli restituisco uno sguardo in codice che dice “non so nulla di particolare: è solo una busta” e vado dalla mamma.

- Allora? L’hai sfangata? – le chiedo. Chissà perché, ma da quando li vedo fragili, mi sento più un’amica che una figlia.

Alza gli occhi: sembra stanca, dubbiosa e pure un po’ impaurita.

- Mah, è avanzata un sacco di roba: o mangiano poco, oppure ho fatto una schifezza! Tu che dici?

- Ma col menu differenziato di Gioia?

- Verdure grigliate e formaggio alla piastra: abbastanza facile.

- Gli altri?

- Carne ai ferri, verdure grigliate anche a loro. Niente primo. Macedonia e sorbetto al limone comprato già fatto. Patrizia mi ha detto che potevo fare quello che mi pareva, scegliendo fra primi e secondi. Non fanno pasti composti da tutte le portate, per fortuna! Forse non sono così interessati al cibo … beh, eccetto Gaia e Letizia: loro sì che mangiano! Per fortuna che in frigo avevano dei budini di cioccolato. Comunque oggi sono libera. Andy sarà al maneggio tutto il giorno e poi ha una cena con degli amici, Patrizia e le figlie hanno impegni vari e non ci sarà nessuno a casa. Mi hanno detto che per cena si arrangiano. Non è che non hanno il coraggio di dirmi che l’esperimento è andato male?

- Ma no, mamma! Dai, studiati qualcosa di buono per domani. Se dovevano darti una brutta notizia te l’avrebbero già data, no?

- Grazie, Clizia. Vi siete divertite al balletto ieri?

- Oh, sì, molto. Peccato solo che la nonna sia ripartita.

- Già … è dispiaciuto molto a tutti, come sempre ... cos’è quel foglio?

- La lista dei libri di scuola. Credo che la troverai deprimente: quando andiamo a cercare i libri usati?

La mamma aggrotta le sopracciglia.

- Suppongo che potremmo farlo stasera. La nonna mi ha preparato un sughetto ai fiori di zucca per la pasta che farò domani. Lo nasconderò in un tegamino e lo tirerò fuori come un coniglio dal cilindro!

- Mamma! Questo è barare!

- Macché! Ho seguito attentamente il procedimento mentre la nonna lo preparava e la prossima volta sarò in grado di farlo anche io. Vedi? Ho pure il mio quadernino degli appunti … dai, vai a prepararti! Ma perché non sei andata in moto con lo zio a scuola? Ti saresti risparmiata la sudata!

- Me la volevo cavare da sola.

- Però! – mi fa la mamma, senza riuscire a nascondere un’aria compiaciuta. Solo allora diamo un’occhiata al babbo. Ha letto il messaggio di Therese ed ora è davanti alle vetrate della sala e scruta attentamente il panorama. Io e la mamma ci guardiamo interrogative. Tiene la busta stretta, serrandola con forza.

- Vieni con noi, Pietro? – gli chiede la mamma. C’è una pausa e la risposta tarda ad arrivare.

- No … io … devo andare a riprendere la macchina dal meccanico – conclude velocemente, prima di uscire dalla stanza. Dopo un attimo rientra, con un sorriso strano.

- Beh, siamo una famiglia e ci siamo sempre detti tutto. Penso che dovreste leggere anche voi queste righe di Therese.

Ci porge la busta e la mamma, con un cenno, mi fa capire che devo prenderla. Non so cosa aspettarmi, perché il babbo sembra commosso e colpito da quello che ha letto. Il biglietto nella busta è un semplice foglio piegato a metà, dove Therese ha scritto poche righe nella sua bella calligrafia. Nel foglio piegato ci sono dei soldi.



Mio caro Pietro,

mi conosci, sai che sono una donna di molte azioni e pochi sermoni. Ricordi quando da ragazzo me lo cantilenavi per prendermi in giro? Non cambierò certo ora, che sono vecchia. Ho affidato a Clizia questa lettera, in modo che te la consegnasse quando fossi partita, altrimenti non l’avresti mai presa. Lo so come sei fatto. Nella busta ci sono dei soldi. Accettali. Non sono un prestito, né un regalo. Sono tuoi, e basta. Dimenticavo, il conto del meccanico è saldato!

Ti abbraccio amore mio. Mamma Therese



Mamma Therese. Mamma Therese. Di tutte le parole, queste due sono quelle che mi danzano nella testa, sembrano fare un grand jeté, un’arabesque, poi una piroetta, e finire in un plier …. Mamma Therese. Queste due parole mi fanno commuovere fino alle lacrime. Rimaniamo tutti e tre ammutoliti e con gli occhi lucidi. Non sappiamo cosa dirci. Ogni cosa sembra stupida. Alla fine io e la mamma ci avviciniamo al babbo e ci stringiamo, per un attimo. Corrente di calore umano. Bello.

- Andiamo tutti e tre a riprendere la macchina. Poi vi accompagno fino in Piazza della Libertà, così se trovate i libri almeno non fate il viaggio di ritorno cariche di pesi.

- Clizia, perché non chiami Erina? Potete fare un giro in centro insieme. Io e il babbo potremmo sbrigare delle commissioni e tornare a prenderti dopo.

Faccio spallucce.

- Forse è meglio di no. Insomma – continuo velocemente, vedendo gli sguardi dubbiosi dei miei – magari non troviamo subito tutti i libri al primo negozio e dobbiamo fare un salto da qualche altra parte … poi in fondo ci siamo viste alla festa. Mi farebbe più piacere, dopo essere stati in centro, tornare qui e andare in biblioteca a cercare dei libri. Serena mi ha detto che per le vacanze estive le avevano dato da leggere due libri di Calvino. Dovrei leggerli anche io, dato che saremo nella stessa classe. La professoressa potrebbe voler fare una verifica all’inizio della scuola: se non li leggo, come faccio?

- Beh, a questo non avevo pensato. Brava Clizia! – mi dice la mamma, osservandomi compiaciuta. Non avessi avuto la coscienza sporca, forse non avrei fatto parola di Calvino con i miei! 

- Oh, la nonna ti ha regalato la sua coccinella! Ma come hai fatto a convincerla? – mi chiede la mamma, notando la catenina che porto al collo.

- Mah! Si vede che alla fine si è decisa! – rispondo, arrossendo un po’.

Dopo la parte che mi ha fatto lo zio e il discorso serio della nonna, ora mi tengo fissa questa coccinella al collo per ricordarmi della promessa che ho fatto a me stessa: basta cavolate. Sono cresciuta. Voglio aiutare i miei. Voglio conquistarmi quello che mi piace, impegnarmi. Essere coraggiosa. Inventarmi modi per essere contenta. E sentirmi questa collanina al collo mi ricorda che devo filare dritta, o la nonna racconterà tutto ai miei e loro si infurieranno e probabilmente sarò in punizione per tutta la vita. Amen. La nonna, alla fine, più che regalarmi una collanina, mi ha messo un collare anti-scemenza … wow! Astuta Annalena!


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"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Markus Spiske su Unsplash


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sabato 14 giugno 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventiquattresimo capitolo

 




HAI MAI VISTO “GISELLE”?



Nonostante il balletto non sia una delle mie massime aspirazioni, l’atmosfera carica di emozione e attesa che pervade il Teatro Romano riesce a contagiare anche me: il palco è allestito in modo suggestivo ed è impossibile rimanere indifferenti. Serena non smette di allungare il collo verso il proscenio, forse con la speranza di intravedere qualche volto a lei noto. Quando ho chiesto alla nonna perché avesse deciso di portarci proprio a un balletto, mi ha risposto che, non avendone io mai visto uno, era ora che colmassi questa lacuna. Quindi eccoci qui per assistere a “Il lago dei cigni”.

La nonna, prima di uscire di casa, mi ha raccontato tutta la storia di Odette. Ha aggiunto qua e là un paio di informazioni tecniche che ha “rubato” da Internet, tanto per non farmi rimanere come una babbea se Serena mi parlerà del balletto e poi, strizzandomi un occhio, ha detto che era un’ottima occasione per passare del tempo con Serena su un terreno a lei caro. Ok, strategicamente non ho niente da obiettare: Serena, infatti, è al massimo dell’eccitazione! Le brillano gli occhi e continua a parlarmi dello spettacolo che ha visto al Teatro Antico a Taormina il mese scorso: Roberto Bolle con i ballerini del Metropolitan. Non ho capito se è stato prima o dopo Malta … beati loro!

- Oddio, Clizia, non puoi capire l’emozione che ho provato! Vedevo i ballerini librarsi in aria come sorretti da fili invisibili! E che grazia, che energia interpretativa!

Mentre cerco di annotarmi mentalmente nomi ed osservazioni, giusto per “entrare nel personaggio”, come dice Therese, vedo che Serena non smette di torcersi le mani mentre parla, e le nocche addirittura le si sbiancano.

- Sai, io non sono molto brava nei salti – riprende, facendo una smorfia - la mia insegnante dice che non ho abbastanza spinta e concentrazione. Il fatto è che saltare, nella danza, richiede una coordinazione impressionante: il peso del corpo, la posizione delle braccia, la velocità, la posizione della testa e mille altri dettagli … hai mai visto “Giselle”?

Assumo un’espressione meditabonda e accenno un movimento d’assenso con la testa: non ho idea di chi sia questa Giselle, ma preferisco non dirglielo! Lei comunque riprende subito a spiegare.

- Il pubblico deve immaginare che tu stia fluttuando in aria e in questo caso devi saltare in modo totalmente diverso da quello che faresti per un balletto moderno, dove il salto è molto più veloce, meno romantico ... – conclude, arricciando la bocca, chiaramente insoddisfatta dei suoi risultati.

- Beh, se sai dove devi migliorare, sai anche dove devi esercitarti di più!

- Oh, certo, la volontà non mi manca – e, mentre mi risponde, ammicca verso il basso. Il mio sguardo segue il suo, e sgrano gli occhi quando Serena, con una piccola smorfia, si sfila la scarpa, mostrandomi i piedi con il sangue a fior di pelle. Aggrotto la fronte.

- Ti fanno molto male?

Per tutta risposta solleva le spalle, in un gesto di noncuranza.

- Quando si indossano le punte è inevitabile procurarsi ferite, vesciche, calli … anche se ci sono dei cerotti e delle bende specifiche, non sono mai abbastanza. Molto dipende dalla sudorazione dei piedi. Comunque, ogni volta che finisci la lezione, se ti va bene ti trovi con i piedi arrossati e doloranti, e quando ti va peggio, con vesciche o ferite sanguinanti. Quindi mi tocca usare chili di mercurio cromo, cicatrene, creme all'ossido di zinco. Alla fine ti vengono dei piedi callosi e davvero brutti! Ma il dolore non finisce comunque! – sospira - Non è una strada facile, ma se vuoi diventare una ballerina professionista devi lavorare sodo. La passione, comunque, ti fa superare tutto, credimi!

Rimango senza parole. Mi colpisce la determinazione di Serena. Devo ammettere che un po’ mi fa pena, con quel piede rovinato e l’ansia di non essere abbastanza brava, ma l’ammiro anche, perché per rimanere così focalizzata sull’obiettivo deve avere molto carattere.

In quel momento le luci sul palcoscenico si accendono e inizia la musica. I ballerini entrano in scena. Scende un silenzio bellissimo e tutto il pubblico si concentra su di loro. Serena beve alla fonte del sapere: è raggiante e concentrata, sembra che studi ogni singolo movimento, ogni gesto. Ogni tanto la nonna si piega verso di me per un’occhiata, un’osservazione, quasi a voler sottolineare i momenti più significativi del balletto. Cara nonna, mi sa che il tuo impegno sia tutta fatica sprecata. Mi sto rendendo conto che io e Serena non diventeremo mai le classiche amiche del cuore che escono e studiano insieme, mangiano schifezze ai fast food o roba del genere. Mi sa che Serena la maggior parte del suo tempo lo passerà con persone diverse da me. Alla mamma forse basterà farle un piatto di insalata con una fettina ai ferri, dato il fisico che sfoggia: ha un corpo asciutto, muscoloso ma aggraziato, e una pelle perfetta da due litri d’acqua al giorno!

Quando rientriamo a casa dormono tutti. Lo zio, relegato in sala per cedere il letto a Therese, ha lasciato le persiane aperte e la luce della luna gli illumina il volto. In mano ha un libro aperto che adesso poggia sul suo petto. Deve essersi addormentato mentre leggeva.

- Quel beau jeune homme – dice Therese, guardando lo zio con un sorriso tenero sul volto, e distrattamente mi porge una busta – praline, vorresti darla al babbo domani mattina? Non perderla, eh?

- Va bene, nonna. Ma non puoi dargliela tu?

- Partirò molto presto, Clizia. Lo sai che i saluti mi fanno piangere.

- Ma il babbo non ti accompagna alla stazione?

- Con la macchina rotta?

- Oh, cavolini fritti! È vero!

- Bien bien, tutto si ripara, ma praline. Un taxi andrà benissimo.

- Pagherai un occhio della testa, nonna …

- Preferisco così, Clizia. Bonne nuit, chérie.

Mi viene un groppo in gola e mi metto a piangere, singhiozzando. Mi aggrappo al collo della nonna come se volessi ancorarmi a lei. Perché Therese non può stare sempre con noi? È il raggio di sole che rischiara le mie giornate, mi capisce, conserva un cuore giovane da ragazzina. Come sempre mi rendo conto che avrei voluto stare di più con lei, e invece …

- Non vorrai far piangere una vecchia signora, Clizia ... fila a letto! Tornerò presto a trovarvi. Solo … invece delle solite telefonate, non vorresti scrivermi, qualche volta? Potresti farmi sapere come va la scuola, qualcosa sui nuovi amici e come se la passano Pietro e Giorgia …

- D'accord, mamie. Ti scriverò delle mail …

- Mi piacerebbe di più alla vecchia maniera: lettere scritte a mano, su una bella carta … mi piace immaginarti mentre attacchi il francobollo ed esci per andare a impostare … e poi questa lettera che si mette in viaggio verso di me … e la gioia di vederla nella cassetta … aprire la busta, piano, per non lacerarla e spiegare il foglio, leggere e rileggere vedendo la tua calligrafia … toccare quel foglio che hai toccato tu, su cui hai scritto per me … non ti sembra molto più bello di una mail? Per la corrispondenza sono rimasta una romantica, con il gusto dell’attesa.

Sorrido con dolcezza.

- Se ti piace di più, farò così. Solo dovrai avere pazienza: la mail sarebbe stata più veloce!

- Oh, Clizia, la pazienza non mi manca … niente è mai stato subito.

Rimango un attimo a guardarla, me la imprimo bene nella mente e mi profondo in un abbraccio stritolatore. Poi le poggio un bacino sulla guancia e scappo via. La nonna è una rondine, penso, ma una rondine che ha perso la bussola. Migra dove c’è freddo per portare in regalo il calore che ha dentro di sé.


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"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Kazuo ota su Unsplash

martedì 27 maggio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventitreesimo capitolo

 




IL CUORE STRETTO DA UN LACCIO

Qualcosa di morbido mi centra in piena faccia. Paf! Apro gli occhi: Erina mi sorride. Scosto il cuscino che mi ha tirato e mi metto seduta.

- Sveglia, dormigliona! Ti sei addormentata come un angioletto! Aveva ragione mio fratello!

Ecco, sì, meno male che dovevo chiudere gli occhi solo un attimo! Sarà che in tutti questi giorni sono sempre andata a letto tardi, rimanendo sveglia a chiacchierare in giardino con nonna Annalena e nonna Therese. Sarà che ieri praticamente mi sono buttata giù dal letto all’alba, dato che c’era una confusione in casa che sembrava di essere al mercato …

- Beh, potevate pure svegliarmi.

Erina fa spallucce.

- Dai, avevamo capito che non ti andava di vedere quel film.

- Com’era?

- Mah … bello, credo.

- Cioè bello come? Qualcosina in più?

- Finisce male, o forse bene … non so … insomma, alla fine non sono più amiche, succede un casino … se vuoi te lo presto, ma forse non è una buona idea … insomma, vedi tu … poi, ora che ti ho detto il finale … magari hai fatto meglio tu ad addormentarti!

Mi mordo il labbro. Non so perché mi sento un po’ a disagio: è assurdo essere a disagio con Erina, è una cosa impossibile. In lei c’è un tono allegro, ma un po’ nervoso: mi sembra quasi di veder andare il suo umore in altalena. C’è qualcosa che la infastidisce e che cerca di scacciare. Forse è rimasta male perché mi sono addormentata. Prendo la custodia del DVD e rimango a fissare queste due coi piercing.

- Ok, se non ti scoccia lo prendo. Mi dispiace però: è un regalo di compleanno!

- Tanto l’ho visto ieri, mica lo riguardo in questi giorni! – risponde Erina alzando le spalle – e poi mi eviti il problema di doverlo nascondere.

- Beh, non basta metterlo qui sullo scaffale, insieme ai libri?

- Figurati! La mamma come lo vede si mette a ficcare il naso, vuole sapere cos’è, magari lo guarda … poi se si ricorda il titolo parte un interrogatorio sul perché l’ho visto, dato che lei mi aveva detto che non era adatto a me!

- E allora?

- Non è un film da genitori, poi entrano in paranoia e cominciano a stressare. È un po’ forte …

- Forse invece, da una parte … - comincio io, mentre la aiuto a riordinare la stanza devastata.

- Da quale parte, Clizia? Lo sai che non si può parlare di certe cose coi genitori. Non sono preparati, farfugliano, elimini problemi a tutti se eviti di affrontare temi imbarazzanti …. Gli adulti non vogliono sapere, preferiscono pensare che i problemi, casomai, riguardino i figli degli altri. È inutile. Meglio parlarne con gli amici.

Oh, ecco. Zac. Una frase banale, però un colpettino me l’ha dato. Meglio parlarne con gli amici, ha detto. Non ha detto “meglio parlarne con te, Clizia”. Forse ne parlerà con Grazia. Lei è più grande, può darle un punto di vista diverso. O con suo fratello.

- Ma forse potresti dare una chance ai tuoi, no? Voglio dire, nessuno ha la loro esperienza. Se ne parli con gli amici e basta, cosa vuoi che ti dicano di nuovo? Secondo me va a finire che continui a specchiarti nei soliti discorsi, perché nessuno ha le idee chiare.

- Certo, può essere, specie se un’opinione non te la vuoi fare.

- Che vuoi dire?

- Ma niente, dai – mormora, scuotendo la testa – è una scemenza.

- Allora dimmelo, se non è niente.

- È che insomma, pure tu ieri ti sei messa a fare un po’ la difficile. In fondo era il mio compleanno, avrò avuto il diritto di decidere come passarlo, no?

- E non l’hai fatto?

- Sì, ma si vedeva che a te non andava di vedere il film, e alla fine mi hai guastato un po’ l’atmosfera. Era tanto che lo volevo vedere, credevo fossi contenta pure tu, e invece hai preferito addirittura addormentarti! Messaggio chiaro, no?

- Non l’ho fatto apposta! Ero solo stanca.

- O non volevi che il film ti portasse sulla cattiva strada … guarda che alla fine pure tu ieri hai rubato un lucidalabbra … e poi ti metti a fare quella che si fa problemi per vedere un film!

- Guarda che l’hai rubato anche tu!

- Certo, ma di chi è stata l’idea? Anche Tracy ruba nel film, ma solo per imitare Evie!

Altro cazzotto. Mi arriva bello forte allo stomaco. Forse è così potente perché è la verità. Erina smette un attimo di riordinare la stanza e mi guarda, attirata dal mio silenzio. Ha la faccia preoccupata e tesa. Capisco che le dispiace. Non voleva farmi male.

- Clizia … scusa. Mi sento uno schifo, scusa. È che non ho dormito bene stanotte: quando è finito il film ero agitata e ora sono un po’ nervosa – mormora. Si avvicina, mi abbraccia. Scusa, scusa, scusa, continua a mormorare sui miei capelli.

- Non fa niente. Hai ragione. Scusa tu. Ho fatto proprio una cavolata ieri. E l’ho fatta fare anche a te. Bell’amica che sono! E poi tu non avevi nemmeno bisogno di rubarlo. Scommetto che i soldi per comprarlo ce li avevi!

Mica è così che mi ero immaginata questo compleanno. Non è così che volevo che andasse.

- E Grazia? Gli altri? – chiedo, per rompere il silenzio. Erina sembra si sia ripresa e sia decisa a cambiare umore. Mi sorride.

- Massimo e mio fratello sono a fare colazione. Grazia è andata via: aveva da fare. Sono le nove, principessa! Anche i miei sono già usciti per andare al lavoro. Che fai, rimani con noi anche oggi? Ci mangiamo un panino a pranzo e andiamo in giro: ho giusto i soldi del regalo di compleanno dei nonni da spendere.

- No, mi dispiace, ma devo tornare a casa. La nonna partirà a breve e voglio stare un po’ con lei. Chissà poi quando la rivedrò!

- Salutala da parte mia. Dai, andiamo a fare colazione e poi chiami quel bel tipo.

Rotea gli occhi spazientita a vedere la mia faccia perplessa.

- Intendevo tuo zio!

- Erina! Ma è vecchio! Mica ti piace?

Lei sorride maliziosa e non risponde nulla.

A mezzogiorno, dopo esserci spalmate litri di latte detergente per togliere via tutto il mascara e il trucco, siamo giù in strada, e mentre aspettiamo lo zio il cielo si fa improvvisamente scuro. Poco dopo il classico temporale estivo ci costringe a rintanarci dentro al portone. Lo sapevo che Trappolino non sbaglia mai: se fa pipì in Arno vuol dire che piove. L’acqua picchia violenta sull’asfalto e schizza i passanti frettolosi e i poveretti in motorino. Ogni tanto mi affaccio a vedere se lo zio sta arrivando e infatti, dopo poco, lo scorgo all’angolo. Cammina frettoloso, a testa china, un grosso ombrellone nero lo ripara. Mentre si avvicina non è che abbia proprio l’espressione delle grandi occasioni, ma forse non dipende da noi, dipende dal tempo. Erina scuote la testa e fa ondeggiare i suoi capelli, gli sorride con un sorriso fra il timido e il festoso. Sembra un sorriso nato da labbra indecise.

- Buongiorno ragazze.

- Ciao – diciamo quasi in coro io e Erina.

- Andiamo?

Mi affretto ad abbracciare Erina, dandogli due bacini sulle guance.

- Ci vediamo presto – le bisbiglio. Mi sento un po’ stupida, perché fingo un’allegria che in realtà non provo. Ho il cuore stretto da un laccio che non fa troppo male, ma nemmeno bene. Mi piacerebbe poter dire qualcosa o vedere sul viso di Erina qualcosa di preciso, ma non so cosa. Non mi resta che sorriderle, e andare via così. A mezzo. Come una cosa lasciata a mezzo. Penso al DVD che ho finto di dimenticarmi sul tappeto. Che strano, in due giorni questa è la seconda volta che mi sento a disagio con due persone con le quali sono sempre stata affiatata. Prima con Erina, ora con lo zio. Non so cosa dire, come riallacciare la cosa, riafferrare quel filo che ieri mi è sfuggito di mano.

- Erina è cambiata – fa lo zio, rompendo il silenzio, con voce neutra, come constatasse che sta piovendo.

- Già! Hai visto come è cresciuta?

- Non intendevo quello … intendevo dire che mi sembra cambiata.

Aggrotto le sopracciglia.

- Figurati, zio! In tre secondi pensi di aver già capito tutto!

Mi lancia un’occhiata e rimane zitto.

- Forse era meglio se ti levavi tutto quel trucco dalla faccia con più attenzione, prima di uscire di casa … sono rimaste delle tracce qua e là.

Wow. Se fa così con i ragazzi ai quali insegna, immagino debba essere un prof. molto, molto amato!

Come torniamo a Fiesole, l’acquazzone finisce e spunta un sole promettente.

La mamma è andata al lavoro, il babbo è intento a riparare un rubinetto che perde e le nonne sembrano distrutte, mentre riordinano la cucina.

- La mamma ha voluto cucinare un po’ di tutto in questi giorni – mi fa la nonna, sorseggiando un digestivo - Abbiamo congelato un sacco di roba da mangiare, il che potrebbe essere anche una buona notizia, visto che stasera torna Cipolla, ma il fatto è: sarà davvero commestibile?

- Che esagerata, Annalena! Mais certainment!

- Il tuo solito ottimismo, Therese. Clizia, ti va una fetta di torta di pesche? Ti avviso che noi non l’abbiamo assaggiata … - mi fa la nonna, continuando a bere il digestivo.

- È andata proprio così male? – mormoro io, aggrottando le sopracciglia.

- Tesoro mio, non si diventa cuochi in due giorni! In più Gioia è vegetariana, e questo complica le cose: si tratta di gestire due menu differenziati. Mi spiego? – mi chiede la nonna, sollevando il sopracciglio in gesto d’intesa.

- Giorgia sera très bonne! Ah … ho una sorpresa per te, praline. Stasera andiamo a vedere un balletto al Teatro Romano. Sono riuscita a trovare tre biglietti: ho invitato Serena a venire con noi, così passate un po’ di tempo insieme e fate amicizia prima che inizi la scuola! A proposito, ma non dovevi andare con lei in segreteria per sapere in quale sezione sarai?

- Peccato che Serena sia sempre occupata con le lezioni di danza!

- Uhm … e com’è andata ieri sera?

- Bene – rispondo, lanciando furtive occhiate allo zio, che sta assaggiando la torta di pesche.

- Bien bien – risponde la nonna – e credo ci sia anche stata una seduta di manicure - conclude, prendendomi le mani per ammirare l’opera di Grazia. Lo zio mugugna e io ho una gran paura che abbia tutte le intenzioni di vuotare il sacco. Non so come chiedergli se spiattellerà tutta la faccenda. Meglio non pensarci e cercare di essere il più accomodante possibile.

- Che ne dite se apparecchio? Visto che avete lavorato in cucina fino a ora, sarete distrutte. Perché non vi riposate un po’? Nonna, pensi che potremo mangiare in giardino?

- Oh no, Clizia! Con tutta l’acqua che è venuta, meglio di no. Apparecchiamo in sala.

- Ok – e mi dirigo svelta alla piattaia, per impilare le scodelle necessarie e prendere la tovaglia dal cassetto.

- Aspetta, Clizia – mi dice nonna Annalena – vieni qui, aiutami a tirar fuori il servito dal mobile.

Aggrotto la fronte. Il servito, per la nonna, è il mitico Richard Ginori dell’anno del Signore 1960, come dico sempre io prendendola in giro. Il “servito buono”, quello che tira fuori per Natale e forse in qualche altra ricorrenza speciale per “pranzare in pezzi di antiquariato”, come sostiene la nonna. Cos’è questa idea di usarlo oggi? Mi porge i piatti con un’attenzione degna di un cerimoniale. Li appoggio sul mobile in attesa di istruzioni. Siamo davvero sicuri che li vorrà mettere in tavola?

- Eh, già, un’altra cosa … la tovaglia … la tovaglia del mio Augusto …

- Scusa nonna, mica cerchi la tovaglia ricamata, quella del fidanzamento?

- Quella, quella …

- Ma cosa festeggiamo? Mi sono persa qualcosa?

La nonna interrompe la sua ricerca e tira fuori la testa dall’anta del mobile. Mi guarda da sotto in su, prende un bel respiro ed espira rumorosamente.

- Festeggiamo che siamo insieme, in salute … e Therese … e il ritorno del mio Dario dalle vacanze … e il nuovo lavoro di Giorgia … quanto chiacchieri bambina, datti da fare! Mi è venuto in mente che è nell’armadio, in camera nostra. Via, sorti di torno, fammi passare.

Va via trotterellando e mi fa cenno di seguirla. Quando arriviamo in camera, si sofferma vicino al cassettone e passa una mano su una scatolina di lacca. Mi fermo dietro di lei. Non so cosa dire, perché sento che c’è qualcosa nell’aria. Si volta a guardarmi e apre la scatolina. Solleva delicatamente, fra due dita, una lunga catenina d’oro con un ciondolino a forma di coccinella. È d’oro bianco e giallo e la piccola coccinella smaltata sembra faccia l’altalena racchiusa in un cerchietto. Mi è sempre piaciuta e la nonna lo sa: quando ero piccola ogni tanto io e la nonna, quando venivo a trovarla d’estate, andavamo sul letto a riposarci dopo pranzo e lei mi mostrava il contenuto delle scatoline che teneva sul cassettone. Prima che possa aprire bocca, mi aggancia la catenina al collo. Sono sorpresa. Gliel’avevo chiesta più di una volta e non aveva mai voluto regalarmela.

- Ecco qui. Spero ti piaccia ancora. Ho pensato che fosse arrivato il momento di dartela.

- Ma nonna … - mormoro.

Sospirando fa un passo indietro per vedere come mi sta.

- Ti sta bene, Clizia, ma ricorda che è molto fine, la devi trattare con riguardo, altrimenti si romperà e la perderai. E sarebbe un vero peccato.

- Ma nonna … - ripeto, aggrottando la fronte, un po’ preoccupata – mi dici cosa sta succedendo? Prima il Richard Ginori, poi la tovaglia del nonno, ora la collanina …

- Lo zio mi ha detto che ieri hai rubato, Clizia.

Mi sento arrossire d’un botto dalla radice dei capelli e l’imbarazzo mi blocca la lingua. Lei abbassa gli occhi, che prima teneva fissi su di me: mi sta concedendo una tregua. Non c’è giudizio nel suo sguardo, ma nemmeno comprensione. È uno sguardo neutro, che mi spiazza.

- E siccome ho … - mi si inceppa la voce, ma poi continuo buttando giù un groppo di saliva - … rubato, tu tiri fuori il Richard Ginori e tutto il resto … - concludo, con un vago gesto della mano, non capendo.

- Sì. Ieri sera, quando Dario è tornato a casa, io ero sveglia e ho visto subito dalla sua faccia che aveva un rospo da sputare. Non credere sia stato facile farlo parlare, ma alla fine me l’ha detto … solo a me, però. E se posso levarti dalle spine, ti dico subito che non diremo niente a nessuno. A meno che tu non ci costringa, Clizia, se continuerai ad avere un comportamento stupido come quello di ieri. Però …

La nonna tiene quel “però” come una cantante virtuosa, lo fa durare un secolo.

- … però allo stesso modo ho capito che è stato un gesto di rabbia. O di paura. Non è un momento facile e stai vedendo tutto nero. Ti senti … Dio mi perdoni ... “povera” … è una vergogna anche pronunciare questa parola per rispetto a chi è povero davvero, ma è così che ti senti. E la serata dalle sorelle Felicità non è che ti abbia aiutato, anzi! Hai sentito ancora di più il divario fra te e loro. Questo mi ha fatto pensare che tutti noi abbiamo una scorta di “ricchezze” impensate e inutilizzate e stipandole in questo modo forse non facciamo che offendere il loro valore … a che pro, poi, mi domando – continua, quasi parlando a se stessa, e facendo una piccola pausa. - Ora quindi ho deciso che avrei tirato fuori quelle che sono le mie “ricchezze”, affinché tu potessi goderne e rasserenare il tuo cuore. Il bello intorno a noi eleva, in qualche modo, anche lo spirito. Ma quello che mi preme che tu scopra è il bello dentro di te, le infinite possibilità che hai dentro, la forza e il coraggio di lavorare duro per cambiare quello che non va nella tua vita. Senza che per forza siano babbino e mammina a “salvarti”. Hai quasi quattordici anni, Clizia! Forse dovresti svegliarti un po’. Fatti venire in mente qualcosa di meglio che rubare per ottenere quello che ti manca! Io alla tua età ero già apprendista da una sarta … oh, non fare quella faccia, so già quanto urtano, a voi giovani, questi discorsi …

- No, è solo che io e te, nonna, siamo poco paragonabili … insomma, hai tanti anni più di me e il mondo è cambiato parecchio.

- Sicuramente, ma forse non quanto pensi tu. Ora basta chiacchierare. Aiutami con la tovaglia del nonno: la fece cucire con una delle stoffe più belle che aveva in negozio.

- Ok nonna, ma come spiegherai tutti questi cambiamenti al babbo e alla mamma … e a nonna Therese …

- Alla mia età non ho bisogno di spiegare proprio niente a nessuno, cara mia. Andiamo.

Senza altri discorsi mi spinge fuori dalla camera con la tovaglia fra le braccia e capisco che oggi mi toccherà fare proprio la brava: apparecchiare, sparecchiare con la massima cura e poi aiutare a rimettere a posto il grande disordine che ha fatto la mamma in cucina. Già, la mamma … chissà come se la sta cavando?


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Mark Boss da unsplash.com