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venerdì 2 maggio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" 😋 Gougère bourguignonne di Therese

Ecco le dosi per ottenere una ciambella per 6 persone:


150 grammi di groviera grattugiato

50 grammi di groviera a pezzetti

75 grammi di burro

1 bicchiere e mezzo di farina

3 uova

mezzo cucchiaino di sale

1 bicchiere e mezzo di acqua


In una pentola fate scaldare un bicchiere e mezzo di acqua, il sale e il burro a pezzetti. Quando il burro è sciolto, levate la pentola dal fuoco e buttateci la farina tutta insieme. Mescolate bene, rimettete sul fuoco e continuate a mescolare con un cucchiaio di legno. Quando vedete che la pasta non aderisce più, né al cucchiaio, né alla pentola, levate la pentola dal fuoco e aggiungete le uova, una alla volta, mescolando energicamente.

Aggiungete il groviera grattugiato.

Prendete una teglia tonda e imburratela e, a cucchiaiate, riempitela col composto che avete ottenuto: usate un cucchiaio da minestra e disponete una o più cucchiaiate una accanto all’altra. Spargete i pezzi di groviera sopra.

Adesso non vi resta che infornare nel forno già caldo a 220 gradi, per 20 minuti, e poi abbassare a 180 per altri 25 minuti.

Tenete conto che l’impasto è cotto quando, appoggiando il dito, lo sentirete sodo. Se è ancora morbido, prolungate la cottura di qualche minuto.

 

Se volete limitare la quantità di burro, anziché imburrare la teglia, penso che possiate ottenere lo stesso risultato rivestendo la teglia con la carta forno. Noi questa versione però non l’abbiamo mai provata, perché Therese adora il burro e lo usa in molte ricette! Dovreste sentire che gusto delizioso e che friabilità ha la sua Quiche Lorraine, nella preparazione della quale usa generose quantità di burro! La ricetta della Quiche però non ce l’ha lasciata, forse perché alla nonna Annalena il burro non piace molto …


Non vi resta che mettervi alla prova! A presto, Clizia

https://blookintreccinellarete.blogspot.com/2025/03/clizia-t-lo-spessore-dei-sogni.html

martedì 29 aprile 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" 🍮 Il dolce bretone di Therese



Per voi che avete già letto il diciottesimo capitolo di Clizia T. - lo spessore dei sogni (https://blookintreccinellarete.blogspot.com/2025/03/clizia-t-lo-spessore-dei-sogni.html). 

Forse vi va di assaggiare il dolce bretone di cui parlava Therese. Prima di partire la nonna ci ha lasciato la ricetta, ma era un po' di corsa, così l'ha scritta in francese. Qui di seguito ve la riporto in italiano: 

Scegliete materie prime di qualità, altrimenti il sapore verrà alterato.

Per 250 grammi di farina occorrono 1 litro di latte, 4 uova, 250 grammi di zucchero, 1 pizzico di sale, 1 cucchiaino di olio e delle prugne (o uvetta. Per la quantità, regolatevi un po' a occhio e a seconda dei vostri gusti. La nonna usa sempre le prugne, non l'uvetta). 

Passate le prugne nella farina, per evitare che "cadano" tutte in fondo alla teglia. Mescolate tutti gli ingredienti e versate il composto in uno stampo imburrato. 

Cuocete a temperatura media (così prevede la ricetta. Therese la cuoce in forno statico preriscaldato a 200 gradi per 1 ora). 

Vedrete, è un dolce buonissimo! Un abbraccio, Clizia

p.s. la prossima volta vi scrivo anche la ricetta della Gougère Bourguignonne di Therese. A presto! 

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventunesimo capitolo

 




PER FORTUNA ERO SOLO IO



A casa c’è mezza Santa Croce e i genitori di Erina mi accolgono facendomi un sacco di feste. In sala alcuni mobili sono stati spostati per far posto per ballare e c’è già una musica assordante. I vassoi con i panini e i dolci sono tutti allineati accanto alle bibite. Mi aggiro per casa come una di famiglia e ritrovo parecchi amici della Piazza e qualcuno di classe, ma di Davide nessuna traccia. Mi ricordo improvvisamente che non ho ancora dato il regalo ad Erina, così mi affretto a toglierlo dallo zainetto e la cerco in camera sua, seguendo la sua voce squillante e la sua risata. Mi affaccio ed eccoli lì: Erina, Davide e Massimo. Per un attimo mi manca il fiato e il cuore mi batte così forte che sento il rimbombo nelle orecchie.

- Ciao testa vuota! Ci stavamo proprio chiedendo dove fossi – esclama Davide venendo verso di me – dove siete andate a far danni, tu e mia sorella?

Lì per lì penso che Erina gli abbia raccontato di quanto è successo prima e le lancio un’occhiataccia, ma lei scuote la testa e mi rilancia uno sguardo che in codice significa “ma sei pazza? Acqua in bocca anche con mio fratello!”, quindi mi metto tranquilla e mi faccio abbracciare, sperando che Davide non mi molli tanto alla svelta. Anche Massimo mi accoglie, ma con una pacca sulle spalle da amico, magari perché a lui la cotta per Erina non gli è passata.

- Ragazzi, ma che fate? Di là ci sono i vostri amici che fanno tappezzeria – ci fa la mamma di Erina, entrando in camera – dai, andate a fare gli onori di casa.

- Ora non ti mettere a fare la mammina premurosa! – le fa Erina, sbuffando - Avevi promesso che ti confinavi da qualche parte.

- Carina, prima che io mi confini da qualche parte ne passeranno di anni! Me ne vado in camera, ma occhio: posso sempre arrivare all’improvviso per un’ispezione a sorpresa!

- Non ti preoccupare ma’, ci pensiamo noi alle bambine – le dice Davide, assumendo l’aria da fratello maggiore.

- Allora mi preoccupo davvero! Ricordati che tu e Massimo siete qui per aiutarmi a gestire problemi che spero non ci saranno, non per fare i galletti: ci siamo capiti? – conclude, lanciandogli un’occhiata d’intesa.

- Ma figurati! Siamo troppo grandi per le amiche di Erina! – esclama Davide. A quelle parole mi sento una pugnalata in pieno petto, però incasso, facendo finta di nulla e aggrappandomi alla luce che mandano i suoi occhi, che ridono in modo impertinente.

- Non fate i furbi! – intima la mamma, scomparendo dalla stanza.

Quando andiamo in salotto tutti si affrettano a dare i loro regali ad Erina, ma lei apre per prima il mio.

- Wow, Clizia! È fighissima, grazie! - e fila in bagno a provarsela, tornando in tempo record per farsi ammirare. Le sta bene: la maglietta è proprio carina e Erina stasera è ancora più bella del solito. Da quand’è che ha messo su quel seno? Può essere una terza? C’è qualcosa di diverso in lei, tanto che mi sembra di vederla per la prima volta.

- Allora? Che ne dici della musica? Massimo ha fatto un cd apposta per questa festa. È cotto, poveretto, anche se pensa che io non lo sappia. Peccato per lui, perché la mia sorellina ha preso il largo - mi sussurra Davide, avvicinandosi all’improvviso. Ridendo si porta il dito indice al naso, come per suggerirmi di stare zitta e mi abbraccia. - Balli?

In quel momento sta iniziando un brano di John Legend, romanticissimo, torcibudella e da ginocchia molli, e non ho ancora risposto, così presa alla sprovvista, che Davide mi mette le braccia intorno ai fianchi e comincia a ballare.

- Rilassati. Basta che mi metti le braccia intorno al collo e ti dondoli qua e là: niente di più semplice - mi dice sorridendo.

Io mi sento un paletto, tanto sono tesa, ma cerco di farmi trasportare dalla musica e mi concentro sulla canzone, sulle parole meravigliose che spero che un giorno qualcuno dirà anche a me. Piano piano mi rilasso, anche perché Davide inizia a chiacchierare di non so cosa. Un po’ non riesco a sentire perché la musica è troppo alta, un po’ sono confusa ed emozionata: è il mio primo lento, e non me l’aspettavo. Ogni tanto Davide avvicina la testa ai miei capelli e mi sento un brivido che mi corre lungo tutta la schiena. Il tempo passa troppo velocemente e la musica cambia, si fonde in un ritmo più veloce. Il lento è finito. Davide si allontana un poco.

- Grazie di questo ballo, signorina – mi dice, simulando un comportamento d’un ragazzo d’altri tempi. Sta per allontanarsi, così io potrò svenire senza che mi veda, quando si riavvicina, aggrottando la fronte.

- Clizia, scusa, ma … hai mangiato le polpette? – mi sussurra.

Rimango senza parole, confusa e interdetta. La mente corre a casa: cosa diavolo ho mangiato prima di uscire? Ma cosa … ah già, le crocchette di verdura della mamma!

- Sì … cioè no, ho assaggiato delle crocchette di verdure – oddio, forse avevo l’alito che sapeva di aglio? Ma mi sono lavata i denti come un’ossessa prima di uscire e ho usato un litro di collutorio!

- Si sente! I tuoi capelli sanno di fritto! T’immagini se dovevi uscire con un ragazzo? Ricorda: mai fare il fritto, prima di un appuntamento ... altrimenti sei fritta! Per fortuna questa volta ero solo io …- e mi strizza l’occhio, ridendo, prima di allontanarsi.

Mi sento una gran rabbia che mi sale dentro, che si mescola all’imbarazzo e all’umiliazione.

- Beh? Perché questa faccia? – mi fa Erina, arrivando tutta allegra – sbaglio o hai appena ballato un lento con mio fratello?

- Lasciamo perdere! Mi ha appena detto che i miei capelli puzzano di fritto!

- Oh … - Erina si avvicina di più per annusarmi ed io mi ritraggo un po’– beh, però ha ragione: vuoi lavarteli? Guarda che non c’è problema, vai un attimo in bagno, ti presto il phon e …

- No, grazie. Se da una distanza di sicurezza non si sente nulla, vuol dire che sarà stato il mio primo e ultimo lento, almeno per oggi! Però che carogna tuo fratello, sembra che lo faccia apposta a mettermi in imbarazzo!

- Dai, non te la prendere, lo sai che quelli carini sono così. Senti, volevo dirti una cosa – continua Erina, prendendomi per mano e portandomi un attimo in camera sua – non te l’avevo ancora detto, ma … sai, alla fine della scuola mi sono venute … - arrossisce un po’ e abbassa gli occhi.

Lì per lì non capisco, sono ancora arrabbiata con quello scemo di Davide.

- Cosa vuoi dire?

- Le mestruazioni – fa lei, serrando la bocca e alzando le spalle, con un gesto di ovvietà – oddio, lo sai che mi fa schifo pronunciare quella parola! È una parola orrenda. Dovrebbero levarla dal vocabolario e inventarne una nuova. Comunque, quelle …

- Oh, quelle …

- E a te?

- No, non ancora. Mi sa che sono rimasta l’ultima ritardataria! Sai, prima ti guardavo e mi sembravi diversa e non capivo cosa fosse. Deve essere per quello che sei diventata così.

- Così come?

- Così bella. Sembri di colpo una ragazza grande e quelli di classe nostra sembrano dei bambini. Lo sai che piaci a Massimo? Me l’ha detto Davide.

Lei ride, con una risata piena e soddisfatta.

- Lo so, lo so! Mi guarda con certi occhi che se ne è accorta pure la mamma. Ma a me non piace più.

- Come cambiano le cose, eh? Due mesi fa ti batteva il cuore solo se lo intravedevi fra la folla di Santa Croce …

- Due mesi fa sono preistoria, Clizia. Dai, andiamo di là.

Come torniamo in sala, Massimo si avvicina a Erina e la invita a ballare. Lei accetta e mi strizza un occhio, mentre si dirige con lui al centro della stanza. Intanto mi guardo intorno: le vacanze hanno cambiato alcuni di classe, mentre altri sembrano i soliti di sempre: più rassicuranti, almeno per me. Chissà che effetto faccio a loro, come mi trovano. Mi avvicino a un gruppetto e mi inserisco nelle loro chiacchiere, lanciando ogni tanto delle occhiate alla pista, per vedere se Erina si sgancia da Massimo. Principalmente sono venuta per stare con lei. Mi manca, perché prima ci vedevamo quasi ogni giorno e spesso, dopo scuola, ci telefonavamo. Ora invece a Fiesole, tutte le volte che sento il bisogno di parlarle, sono costretta per un motivo o per un altro a mandarle solo dei messaggi o a farle telefonate lampo. Penso a tutto questo mentre la osservo ballare con lui: a prima vista sembra che sia contenta e che lo tratti con amicizia ma, a guardarla bene, pare che ci sia dell’altro, che abbia un modo di fare strano. Finalmente vedo che gli dice qualcosa all’orecchio e poi si allontana. Viene verso di me.

- Sicura che Massimo non ti piaccia più, Erina?

- Sicura.

- Allora perché facevi la scema mentre ballavi?

- Cosa? Io non facevo la scema …

- Sì, la facevi … sembrava di no, ma a guardarti bene, Erina, io che ti conosco …

- Clizia, non mi interessa più. Davvero. Solo che mi piace come mi guarda. Mi piace piacergli. Mi fa sentire grande.

- Però forse lui può capire qualcosa di diverso, se fai così … può pensare che ti interessi.

Lei alza le spalle.

- E allora? Che problema c’è? È solo un gioco, Clizia.

Lancio un’occhiata a Massimo, che la sta ancora guardando con un’aria inebetita: da un lato mi fa pena, dall’altro mi fa quasi rabbia. Per un attimo penso che forse anche io guardo Davide come lui guarda Erina. Sono due spietati fratelli rubacuori, anche se so benissimo che Erina non ha mai baciato un ragazzo. Come me, del resto.

- Magari però è meglio se la smetti di fare la donna fatale.

- Ma che dici, Clizia?

- Falla finita, Massimo può restarci male. Ne so qualcosa io, con quello scemo di tuo fratello.

- Devi smettere di pensare a Davide, Clizia. È tempo perso.

- Grazie. Ora che mi hai pugnalata mi sento molto, molto meglio!

Dopo un po’ sentiamo suonare alla porta. Sono le teglie di pizza a domicilio che ha ordinato la mamma di Erina. Tutti si fiondano al tavolo, facendo la caccia ai tranci più conditi, mentre Davide e Massimo accendono la Wii per giocare a Just dance.

Alle undici non c’è quasi più nessuno e Erina accompagna alla porta gli ultimi ritardatari, mentre i genitori sono giù al portone e ogni tanto scampanellano per sollecitare i figli a raggiungerli. Finalmente la porta si chiude dietro l’ultimo irriducibile ed Erina fa il broncio, venendo verso di me.

- Ora andrai via pure tu, e il mio compleanno sarà già finito! L’ho aspettato un secolo e se ne è andato in un soffio!

Già. Dovrei chiamare lo zio e dirgli di venire a prendermi. Davide e Massimo sono in camera a strimpellare le loro chitarre.

- Vorrei poter restare ancora qui! Però è stato divertente, dai! E poi tanto ci vediamo fra qualche giorno, no?

- Ma a me dispiace se vai via! Resta ancora, dai!

All’improvviso un lampo le passa negli occhi.

- Che c’è?

- Ho appena avuto un’idea geniale!


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Matheus Bertelli, da pexels

lunedì 14 aprile 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventesimo capitolo

 


LO VOGLIO E ME LO PRENDO!


Siamo sull’autobus che si dirige a valle, scendendo i tornanti. Mi sento come in gita: elettrizzata. Fra poco sarò di nuovo in centro: rivedrò Erina e Davide e ritroverò il mio Trappolino che mi saluta con la zampa alzata.

Alla fine, dandomi un’occhiata allo specchio prima di uscire, il risultato finale non mi sembrava male. Il sole in questo periodo mi ha schiarito un po’ i capelli e sembra che abbia le mèche e, approfittando che la mamma era intenta a cucinare, sono sgattaiolata in bagno e mi sono messa il suo mascara. All’inizio mi ero sbavata tutto un occhio, così ho dovuto lavarmi il viso e strofinarmi bene, col risultato di arrossarmi tutte le guance. Poi ci ho riprovato, con maggior attenzione, ed è andata: mi sono venuti due fanali al posto degli occhi. Prima di uscire dal bagno ho provato due o tre sguardi per Davide. Poi sono uscita, perché non volevo mi beccassero a fare la scema davanti allo specchio.

Ora, sull’autobus, qualche ragazza mi guarda, non capisco se per invidia perché sono con uno come mio zio o perché le colpisco col mio sguardo spaziale. Comunque mi sento leggera e chiacchieriamo allegramente, mentre lo zio mi racconta qualche aneddoto delle sue vacanze. Via via che ci avviciniamo al luogo dell’appuntamento divento sempre più impaziente e quando finalmente imbocchiamo via Calzaiuoli non riesco più a trattenermi: i piedi sembrano volare verso la meta! Arriviamo davanti alla Rinascente, ma ancora Erina non c’è. Li per lì mi viene una punta d’ansia, ma non passano due minuti che la vedo arrivare di corsa. All star bianche e un vestitino corto azzurro, i lunghi capelli castani che le danzano sulle spalle. Super abbronzata. Mi vola addosso, abbracciandomi.

- Buon compleanno, Erina! Ehi, ma stai benissimo! Sembri Beyonce!

- Grazie! Anche tu stai bene, Clizia! Che maglina carina! Oh, buongiorno Dario – dice allo zio, abbassando un po’ gli occhi, dato che lo zio la mette sempre un po’ in soggezione. Lui le sorride.

- Ok ragazze, allora vi lascio. Non combinate disastri – ci dice scherzando e facendoci l’occhiolino – Clizia, quando finisce la festa fammi uno squillo sul cellulare e ti vengo a prendere.

- Perché non facciamo un giro alla Rinascente, prima? - mi chiede Erina - è così caldo, ed ancora è presto per la festa.

- Ok

- Ora che mi ci fate pensare, ho un’amica che lavora al reparto profumeria. Magari entro a salutarla.

- È la sua fidanzata, Dario? - gli chiede Erina, ridendo.

- Direi proprio di no. Sono ancora libero!

Entriamo tutti e tre e ci dirigiamo al banco profumeria. L’amica dello zio è al suo posto, truccata come un’attrice e fasciata in un abitino rosso fuoco. Mentre ci avviciniamo lei gli sorride e lo zio ci presenta.

- Rossella, sei bellissima! – le dice lo zio, galante.

- Grazie, ma ho i piedi distrutti! Questi tacchi mi stanno facendo morire. Per fortuna fra un’ora ho finito.

- Allora perché non vieni con me a vedere la mostra a palazzo Strozzi ? O forse con quelle scarpe non è il caso?

- Stai scherzando? Ho le scarpe da ginnastica nello spogliatoio! Mica me la perdo un’occasione così! – gli dice, strizzandogli l’occhio.

Dopo che Rossella ci ha spruzzato sui polsi un profumo agrumato buonissimo, li lasciamo lì a chiacchierare da soli, per non essere di troppo e riprendiamo a girellare qua e là. In ogni specchio mi dò una sbirciatina e accanto ad Erina mi vedo sempre come un lenzuolino di bucato. Alla fine glielo dico, sconsolata.

- Beh, ma basta un po’ di trucco! Vicino agli espositori ci sono sempre i pennelloni per i tester … ci diamo una spennellata e via! - mi dice, facendo la faccetta furba.

- Ma lo zio, però … i miei non vogliono che mi trucchi. Dicono che sono troppo piccola!

- Ma figurati! Tuo zio non fa certo caso a noi! Sta parlando con la sua amica. Ci trucchiamo e usciamo subito, così non lo incontriamo di nuovo e non se ne accorge. E poi stasera, prima che venga a prenderti, ti strucchi a casa mia.

Un’altra occhiata allo specchio mi convince a darle ragione. Su un espositore Erina trova una terra iridescente e se la passa sulle guance, che le diventano subito super brillantinose. Solo in quel momento mi accorgo che ha anche lo smalto alle unghie, dello stesso colore del vestito. Peccato non averci pensato anche io! Anche se avevo solo lo smalto trasparente, almeno avrei avuto delle unghie luminose.

- Vediamo cosa possiamo fare per te, mozzarellina mia! - mi dice, studiandomi con occhio critico.

Mi vengono in mente all’improvviso i pomeriggi a casa sua, quando eravamo piccole e giocavamo a truccarci con i trucchi della sua mamma: anziché essere più belle sembravamo dei clown! Lei sembra leggermi nel pensiero.

- Non guardarmi con quegli occhi preoccupati! Guarda che ho imparato a truccarmi, cosa credi?

- E quando avresti imparato? – le chiedo, perplessa.

- Mi ha insegnato Grazia! Chiaramente non sono al suo livello, ma me la cavo.

Non riesco a non provare una fitta di gelosia. Bella acuta, al centro del petto. Lei e Grazia? Che c’entra Grazia con lei? Erina è più piccola e fino a qualche tempo prima, quando andavamo in piazza Santa Croce insieme, Grazia ci considerava “le piccolette” e stava sempre a parlottare con quelli più grandi. Ma chissà, forse Grazia vuole arrivare a Davide tramite la sorellina …

- Allora?! Mi rispondi?

- Cosa?

- Ma mi ascolti? Sei lì, tutta imbambolata! Guarda che non abbiamo tanto tempo! Stavo dicendo che questo fondotinta mi sembra troppo scuro per te, va a finire che crea un effetto maschera. Forse è meglio questa tonalità chiara, che comunque ti dona un’abbronzatura lieve, cosa ne dici?

- Ok, fai pure - le rispondo con ansia, notando lo sguardo astioso di una commessa. Lei si mette a spalmarmi quella roba sul viso, usando le dita, ed io cerco di stare più ferma possibile, sperando che faccia un buon lavoro.

- Certo che sarebbe meglio avere una spugnetta per sfumarlo …

Mi guardo critica nello specchio: sicuramente meglio di prima. Ora però ci vorrebbe un lucidalabbra. Con sollievo della commessa ci spostiamo da uno stand ad un altro. Immediatamente ci si presentano davanti innumerevoli astuccini colorati: chiari, scuri, con brillantini, gloss, profumati …

- Guarda questo com’è figo – mi fa Erina, mostrandomi un rossetto arancio metallizzato – È spiritoso! Ti starebbe bene, con quelle lentiggini e la pelle più dorata … Per me invece questo – mi dice, facendo l’occhiolino – è un bronzo lucido da dea! Ce li compriamo?

Evito la domanda e prendo tempo.

- Massimo c’è alla festa?

- Sì, ma che c’entra? – mi fa lei, sorpresa – comunque non mi piace più.

- Sì, lo so che ora ti piace Fabio, quello del mare.

- Ah sì, vabbè, ma Fabio non sta a Firenze. Casomai lo ribecco il prossimo anno al mare. Invece ora mi sa che mi interessa Duccio. Sai quello di classe nostra? L’ho incontrato ieri al mercato centrale. Devi vedere come è diventato carino da quando si è fatto crescere i capelli! A proposito, gli ho proposto di andare con i nostri compagni di classe a mangiare la pizza una di queste sere, prima che ricominci la scuola. Dopo magari gli mandiamo un messaggio per proporgli una data. Tu pensi di venire?

- Uhm, boh – bofonchio.

- Dai! Anche se non sarai con noi quest’anno non ti farebbe piacere rivedere i nostri amici?

Mi sembra quasi che Erina non si renda conto della nuova situazione e mi infastidisce. Perché non capisce che non ho soldi da spendere? Rimango un attimo a fissare i piccoli e scintillanti rossetti negli espositori. Tutto ad un tratto quel tubettino arancione mi sembra la cosa più desiderabile al mondo.

- Senti Erina, perché invece di comprarli non ce li prendiamo e basta questi rossetti? – le chiedo, senza girarmi a guardarla. Erina ha un attimo di esitazione, ma sento il suo respiro che si fa più veloce. L’idea le piace, lo so.

- E come facciamo?

- Li prendiamo e poi usciamo subito – le dico, guardandomi intorno. Lei mi imita, il suo sguardo scruta con circospezione le persone vicine: nessuno sembra fare caso a noi. - Hai deciso quale vuoi? Va bene quello bronzo da dea o no?

- Si, voglio quello. E tu?

- Quello arancio, come hai detto tu. Hai preso il tuo?

- Ce l’ho già. E tu?

- A posto. Andiamo.

Lì per lì mi assale un attimo di esitazione e mi viene voglia di mollare. Ho paura, almeno un po’. Però da una parte mi sento una strana forza che mi spinge a farlo: mi piace, lo voglio e, dato che non ho soldi da spendere, me lo prendo. Non voglio sentirmi una sfigata. Voglio andare alla festa con un lucidalabbra da sballo. Potrei mettermelo di nascosto qui in negozio, ma lo voglio anche domani. E il giorno dopo. Voglio che sia mio. La commessa è occupata con un’anziana che la fa dannare chiedendole una crema antirughe davvero efficace: povera donna, non si rende conto di quanto è ridicola? Più che una crema, ci vorrebbe un miracolo! Tiro Erina per il vestito e ci dirigiamo svelte all’uscita. È strano: mi sento agitata, ma in fondo è stato anche facile. Bastano tre passi e saremo fuori, in piazza della Repubblica, sotto il sole afoso e con un rossetto nuovo di zecca in tasca. Sento il tubetto nella taschina della minigonna che preme sulla mia gamba. Erina apre la porta d’uscita, la seguo. Una mano pesante si posa sulla mia spalla, mi ferma. Il cervello mi si blocca. Non penso a niente mentre mi giro, mi si dipinge solo in faccia quell’espressione un po’ stupida che hanno i colpevoli. C’è un omone davanti a me.

– Lo scontrino? – mi chiede. Solamente due parole, senza tante cerimonie, tanto lo sa cos’è successo. È sicuro di sé. Cerco goffamente nelle tasche, quasi che lo scontrino possa materializzarsi come per magia. Lo guardo. Non ha nessuna espressione negli occhi. Forse solo una punta di biasimo. Sto per aprire bocca, forse solo per la sorpresa, perché non so cosa sto per dire.

- Eccomi ragazze! – la voce dello zio irrompe in quel silenzio irreale e la sua persona si frappone fra me e l’omone. Erina è già sul marciapiede. Mi sembra un gioco dell’oca, dove lei sta su una casella in salvo, mentre io sono all’imprevisto.

- Che succede, Clizia? – mi chiede lo zio. Vorrei avere una pala per scavare una buca profonda e scomparirci dentro, tanta è la vergogna.

- La signorina stava uscendo senza pagare il rossettino – risponde la guardia, che non è vestita da guardia, mannaggia a lui, ecco perché mi ha fregata. Il tono che usa per umiliarmi mi nausea, mi fa sembrare ancora più orrenda e sciocca e …

- Ho io lo scontrino delle signorine – risponde allora lui – La colpa è mia, mi ero attardato a chiacchierare con la commessa per avere un consiglio su un profumo. La signorina del banco 4 mi stava appunto dicendo …

- È tutto a posto, Vanni – gli dice Rossella, arrivando ticchettando sui suoi tacchi alti – il signore voleva acquistare un profumo, ma le ragazzine avevano fretta. Scusami, gli ho detto io che poteva pagare dopo avergli fatto sentire il tester. Le note di fondo si sentono meglio dopo qualche minuto: dopo aver spruzzato il profumo sul cartoncino l’ho mandato a pagare i lucidalabbra. Ho detto alle ragazzine che potevano andare. Mi dispiace che ti sia allarmato per niente.

- Rossella, lo sai che …

- Lo so, Vanni, scusami. Era che non trovavo il tester. Lo sai come fanno qui i clienti, mescolano sempre tutti i flaconi, un disastro! Loro dovevano andare e così … - gli dice sorridendo e stringendosi nelle spalle.

Lui prende comunque lo scontrino che gli porge lo zio e lo guarda. Lì per lì sembra quasi impacciato.

- Allora, se è tutto a posto ... – riprende, senza lasciare la sua aria accigliata. – Ma non è regolare, comunque. Quando si esce dal negozio il prodotto deve già essere pagato.

- Ha ragione. Signorina, la prego di perdonarmi se lo ho causato dei problemi col suo collega. Naturalmente è tutta colpa mia – riprende lo zio.

Rossella lancia uno sguardo irresistibile al suo collega Vanni, che finalmente distende il viso. E poi dicono che essere belle non serve a niente!

- I giovani: hanno sempre fretta! – conclude e, rivolgendo un sorriso a Rossella e un cenno allo zio, si allontana.

- Grazie – bisbiglia lo zio a Rossella – ripasso dopo a prenderti.

- Meglio di no. Ci troviamo davanti a Palazzo Strozzi. Non vorrei che Vanni mi vedesse con te, potrebbe insospettirsi …

- Giusto. Allora a dopo – risponde lo zio, prendendomi per un braccio. Mi spinge fuori dal negozio. Erina ci aspetta sull’angolo e sembra quasi che l’abbronzatura le sia sparita dal viso. Nessuno di noi dice una parola. Lo zio non mi guarda nemmeno. Tiene gli occhi fissi sulla giostra antica di cavalli della piazza. Preferirei un ceffone, piuttosto che questo silenzio. Improvvisamente, senza salutarmi, si avvia a grandi passi per via Calimala. Noi gli trottiamo dietro e facciamo fatica a stare al passo. Lui non si volta, e solo allora mi viene in mente che in fondo, prima di quest’idiozia, ci eravamo già salutati ed accordati per la sera. Forse non mi vuole parlare e vuole stare solo, ma non posso lasciare che vada via così. Arriviamo in silenzio, ma col fiatone, fino al Ponte Vecchio. Improvvisamente lo zio si ferma e si affaccia al parapetto, guardando l’Arno che scorre sotto di noi. Io mi avvicino e gli vado accanto, mentre Erina rimane un po’ in disparte.

- Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia! Cosa diavolo ti è preso, Clizia? – mi chiede, sempre senza guardarmi e tenendo gli occhi fissi sul fiume.

- Non lo so.

- Non lo sai! - risponde, con rabbia trattenuta - Però se non era per Rossella e per me, che vi tenevo d’occhio, adesso saresti in un ufficio ad aspettare il babbo e la mamma! Non hanno già abbastanza problemi in questo momento? Potevano denunciarti!

Rimango in silenzio, e sento un brivido improvviso che mi percorre la schiena. Ha ragione. Altro che festa. La serata si sarebbe conclusa amaramente.

- Chi sei, Clizia? – mi chiede allora. E finalmente si gira e mi guarda.

- Non lo so. Non so chi sono!

- Se non sai chi sei, prova a pensare a chi non sei, per prima cosa – risponde lui, prendendomi per le spalle - E tu non sei una ladra! Nei momenti di confusione, è scegliendo cosa non sei, che viene fuori pian piano quello che sei.

Chino gli occhi e mi sento spuntare le lacrime. Lo zio si fruga in tasca alla ricerca di un fazzoletto.

- Non ti conviene piangere. Ti colerebbe il mascara che ti sei messa di nascosto a casa.

- Oh, allora tu …

- Oh, allora non sono proprio così scemo.

- Non volevo dire questo!

- Non siete tagliate per essere delle piccole ladre: goffe, sprovvedute, troppo nervose. Il vostro atteggiamento richiamava l’attenzione. Pensate di sapere tutto e non sapete niente. Pensate di fregare il mondo e invece vi fregate da sole. Spero che vi serva di lezione! – fa una breve pausa, poi con un gesto eloquente mi invita a fargli vedere il lucidalabbra. Lo tiro fuori di tasca e glielo porgo. Lo guarda e se lo rigira fra le mani. Lì per lì penso che voglia buttarlo nel fiume. Poi mi mette davanti agli occhi quel tubetto luminoso.

- Ne valeva la pena? – mi chiede. Lo guardo. Improvvisamente non mi sembra più così desiderabile. Carino, sì, ma non fondamentale. E poi forse appiccica troppo le labbra. Me lo rende. Lo metto in tasca e mi sembra che mi pesi, quasi.

- Appena rientriamo a casa vai subito a lavarti la faccia. Ora vai, altrimenti va a finire che fate tardi.

Mi fa un sorrisino, ma ha gli occhi tristi e io vorrei prendermi a schiaffi da sola per il dispiacere. Mi allungo per dargli un bacino e poi mi volto in fretta e scappo via, con Erina che mi segue, di corsa, e chiama il mio nome. Ma non mi fermo, continuo a correre per mandar via quella strana elettricità che mi scorre dentro. La folla di turisti si apre al mio passaggio. Alla fine Erina mi raggiunge davanti al Caffè Rivoire.

- Ma che fai? Clizia! – rimaniamo un attimo a guardarci, col fiatone – Dai, adesso smettila, andiamo a casa. Fra poco inizia la festa. - Mi mette una mano su una spalla e ci incamminiamo per via Calzaiuoli - L’hai visto il tuo Trappolino? Piscia in Arno … -

- Allora stasera piove.

- Figurati!

- Trappolino non sbaglia mai!

Erina mi assesta una spallata e mi arruffa i capelli.

- Smetti di avere quell’aria imbronciata. Non ci pensare più, dai, è stata una cavolata! Mica abbiamo rapinato una banca! –

Poi mi prende per mano e camminiamo vicine vicine, come facevamo quando eravamo piccole. Ha un profumo buono e un’aria felice, così sorrido anche io.

Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Daniela Darone 

giovedì 20 marzo 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Diciannovesimo capitolo

 




BUON COMPLEANNO ERINA!



È tutto stabilito. La festa di compleanno sarà dalle diciotto in poi. Il babbo mi accompagnerà in centro e io e Erina ci incontreremo davanti alla Rinascente in Piazza della Repubblica.

La mamma non fa che spadellare in cucina per esercitarsi e con le due nonne hanno buttato giù un menu settimanale ad hoc per casa Felicità: adesso abbiamo un freezer stracolmo di cibi cucinati dalla mamma. Mangiare tutto è impossibile e quindi siamo a posto con le scorte per un bel po’!

Ieri sera sono stata alzata come al solito fino a tardi: quando c’è la nonna Therese il coprifuoco è abolito. Ho aiutato la mamma a prendere appunti, mentre lei cucinava e le nonne supervisionavano. È stato pure divertente, con la mamma che sembrava una scolaretta desiderosa di imparare! Quando sono andata a letto, poco dopo è arrivata pure la nonna Annalena. Doveva essere distrutta, perché come ha toccato il cuscino si è addormentata di botto e ha iniziato a russare con il solito “fischietto da treno”. Mi è toccato ricorrere ai tappi per le orecchie anche ieri!

Stamani mattina c’è stato un attimo di panico quando la signora Patrizia ha telefonato per precisare che sarebbe stata felice che alla spesa pensasse la mamma, almeno poteva organizzarsi come meglio credeva per il menu. Poi ha accennato quasi distrattamente che Gioia è vegetariana. “Non è mica un problema per te, vero?”, ha chiesto Patrizia. “Oh no, assolutamente”, ha risposto la mamma in tono convinto, quando appena cinque minuti prima aveva asserito con le nonne, per farsi coraggio, “alle brutte butto due bistecche sulla griglia e accontento tutti!”. In fretta e furia hanno rivisto i menu stabiliti e la nonna Annalena ha avuto l’idea luminosa di proporre le sue crocchette vegetariane ricotta e patate. Così adesso la mamma è in cucina, che esegue come un soldato le istruzioni della nonna. Io invece sono qui davanti all’armadio che piange: sul letto giacciono un sacco di vestiti arruffati. Alcune fra le cose più carine che avevo non mi stanno più ormai e non so proprio cosa mettermi. Quando Erina mi ha telefonato ieri sera ero così contenta di chiacchierare con lei che lì per lì non mi è venuto in mente di chiederle come aveva intenzione di vestirsi. Mi sa che alla fine mi metterò i sandali infradito, una minigonna e un top … forse potrei chiedere alla nonna se si inventa qualcosa anche stavolta con i suoi foulard, ma ora non posso proprio disturbarla! D’altra parte un’opzione potrebbe essere anche un saccheggio dall’armadio della mamma … Mentre sono ancora aggrovigliata in questi pensieri, suonano alla porta: lunghe scampanellate impazienti. Che urto! Odio quando suonano così!

- Cliziaaaaaaa – mi sento chiamare dalla cucina. È il segnale in codice che devo andare io ad aprire! Sbuffando mi dirigo alla porta, pronta a dirne quattro a questo maleducato. Apro e mi trovo sollevata di peso da un abbraccio colossale.

- Zio! – esclamo ridendo, mentre lui mi fa girare intorno – ma non eri da qualche parte, sperduto nel nulla, con un camper scassato? Come mai sei già qui?

- L’hai detto! Il camper cadeva a pezzi e pensavamo di non farcela nemmeno a tornare. Abbiamo anticipato qualche giorno saltando una tappa sulla strada del rientro. Uhm, allora non sei contenta di vedermi, eh?

- Ma che dici?

- Ah bene, altrimenti non ti davo questo – risponde, nascondendo dietro di sé qualcosa che non vuol farmi vedere.

- Cos’è? Cos’è? – gli chiedo, saltellandogli attorno incuriosita.

- Sorpresa! Un regalo per te! Spero ti piaccia.

Scarto in fretta l’involucro, di semplice carta bianca.

- Sai che è il contenuto che conta … - mi dice, strizzandomi un occhio - non ho fatto in tempo a confezionarti un bel pacchettino, Clizia, mi dispiace!

- Una maglietta, zio! Ne avevo proprio bisogno! – gli dico, ammirando il disegno stilizzato e i colori forti a contrasto. L’unico problema è che il fondo è bianco. È deliziosa, girocollo e a occhio deve essere una slim fit, ma è proprio bianca come me. Avessi avuto un’abbronzatura da sfoggiare sarebbe stata perfetta, però è davvero originale e credo sia dipinta a mano, il che la rende unica. Bene, la indosserò per la festa: problema risolto.

Lo zio mi fa un cenno d’intesa per farmi capire che vuole fare una sorpresa alle donne di famiglia.

- C’è ancora Therese? – mi chiede sussurrando.

- Sì, e sta dormendo nella tua camera … mi sa che ti toccherà il divano, zietto!

- Nessun problema – risponde, alzando le spalle – mi piace Therese, sono contento che non sia già ripartita - bisbiglia.

- Ma zio! Allora è per questo che non ti sistemi! Ti piacciono le vecchiette! Ecco perché le sventolone che ti fanno il filo ricevono il due di picche!

Lo zio sospira.

- Che ti devo dire, Clizia? Non mi innamoro. Le ragazze mi sembrano tutte uguali, mentre a me invece piacerebbe di più una donna particolare, diversa da tutte le altre … - mi dice pensieroso, ma con gli occhi che ridono – e poi dovrebbe essere intelligente, simpatica, una buona conversatrice, amare la natura e le camminate … cos’altro? Oh, dovrebbe amare il cinema e il teatro, la letteratura, la buona cucina e …

- Ma se fosse brutta?

- Se fosse brutta, ma con tutte queste qualità, me ne innamorerei perdutamente: non è il contenitore, Clizia, è il contenuto!

- Ma tu sei bello, zio!

- Sì, è vero – risponde, facendo finta di pavoneggiarsi – me lo dicono in molte …

Gli assesto una manata e sghignazziamo fino a che non sentiamo borbottare dalla cucina “ma insomma, Clizia, chi era?”. Mi eclisso in camera mia e lascio lo zio al suo scherzo. Dopo pochi minuti le esclamazioni e le risate erompono. Peccato che il babbo non sia in casa: due risate avrebbero fatto bene anche a lui. Proprio in quel momento squilla il telefono, ma non mi muovo. Questa volta tocca a qualcun altro fare gli onori di casa! Poco dopo lo zio si affaccia in camera.

- Allora, come ti sei sistemata?

- Così - dico semplicemente, mostrando con un gesto della mano le mie cose qua e là.

Lui annuisce sorridendo, senza dire niente. Sembra pensarci un po’ su, prima di continuare.

- Ha telefonato il babbo. Dice che è in ritardo.

Non riesco a mascherare il disappunto.

- Ho pensato che potrei accompagnarti io in centro – si affretta a precisare lo zio – Credo che siano gli ultimi giorni della mostra dedicata a Galileo, a Palazzo Strozzi: potrei vederla e aspettarti per la fine della festa. Così torniamo insieme.

- Ma sei appena tornato! Non sei stanco?

- Per te mi farei in quattro, lo sai! Allora, cosa ne pensi?

- Che sei mondiale, zietto! – gli dico abbracciandolo e ritrovando subito il buonumore – Via di qui allora! – gli intimo, spingendolo fuori di camera – mi devo preparare!

- Ok, nel frattempo vado a papparmi qualche crocchetta calda della mia sorellina. Hai visto mai che diventi una cuoca decente! Sembra di essere in una friggitoria!

- Non la deprimere, zio! – gli dico ridendo, ma facendogli gli occhiacci – si sta impegnando molto!

Lui esce facendo un gesto solenne per promettermi che si comporterà da bravo fratello e mi lascia indaffarata fra i miei vestiti arruffati.

Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Marcus Aurelius su pexels

venerdì 7 marzo 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Diciottesimo capitolo

 


DOVE È LA SIGNORA DI IERI?

 

Eccoci qui davanti alla villa della famiglia Felicità. Strano, ma il cancello è aperto, e così saliamo i gradini, pensando sia meglio suonare direttamente all’ingresso principale. Non passano che pochi attimi che la porta si apre di colpo e una signora tutta scarmigliata e sudata ci appare all’improvviso. Ci mettiamo qualche secondo a realizzare che si tratta di Patrizia! Beh, una bella differenza dalla signora elegante e raffinata di ieri. Quella che ci sta di fronte adesso è una donna abbrutita: spettinata, con un prendisole tutto appiccicato addosso dal sudore, dei brutti guanti di gomma, gli occhi cerchiati da una probabile notte insonne, il rigo del kajal sbavato. Forse sarebbe stato meglio avvertire del nostro arrivo, penso, mentre, nonostante non sia mia intenzione, arriccio il viso in un moto di stupore.

Lei, lo capirebbe chiunque, è in un clamoroso imbarazzo. Probabilmente ha aperto perché aspettava qualcuno ed era sicura che fosse lui. Beh, qualcuno autorizzato a vederla in quello stato!

- Buongiorno, cara! – comincia la mamma in tono pimpante, come se non avesse notato l’aspetto di Patrizia - Abbiamo trovato il cancello aperto e così abbiamo pensato di salire. Io e Clizia volevamo solo portarti questi fiori, per ringraziarti della bella serata.

La signora sembra accorgersi delle rose solo in quel momento.

- Oh … siete veramente gentili, io … aspettavo Andy veramente, che mi aveva detto che sarebbe tornato a breve … lui si dimentica sempre le chiavi, sapete, così ho pensato che … oh, mi dispiace farvi stare sulla porta! Vi prego, entrate.

- No no, siamo passate solo per i fiori. Avrai tante cose da fare e quindi ce ne andiamo. Ma ci vediamo un’altra volta, magari un giorno potresti venire a prendere un tè da noi.

La signora Patrizia se ne sta lì, appoggiata alla porta, con in mano il nostro mazzo di rose e un’espressione sconsolata. Si porta la mano alla fronte con gesto stanco, poi se la passa sugli occhi. La mamma si acciglia.

- Ti senti bene, Patrizia?

- Io … no, veramente penso di no … mi gira tutto.

La mamma, sollecita, le si fa accanto e la sorregge.

- Vieni Patrizia, ti accompagno in casa, ti stendi un attimo e vedrai che ti sentirai subito meglio.

Così entriamo tutte e tre e la mamma, guidata più dai cenni di Patrizia che dalle parole, la fa stendere su un divanetto.

- Il fatto è che ho la pressione bassa e questo caldo peggiora le cose … e poi ieri sera …

- Tranquilla - le sussurra dolcemente la mamma, come se curasse una bambina. Le sfila le infradito, le solleva i piedi e glieli appoggia su un cuscino. - Ti prendo un bicchiere d’acqua.

- No, ci dev’essere del tè alla menta, per favore, lì nella caraffa - mormora lei, indicando col dito la zona cucina. La mamma si avvia, sicura, sembra che sia sempre stata lì e riesce perfino a trovare un bicchiere. In un attimo ritorna vicino a Patrizia e la aiuta a sollevarsi un po’ per bere, mentre io osservo la scena da una delle poltroncine e non trovo niente da fare per rendermi utile.

- Scusate, sono terribilmente imbarazzata – mormora Patrizia, cercando di riprendersi un po’.

- Ma figurati! - risponde la mamma sorridendole, comprensiva.

Tanto per non mettere Patrizia ancora di più in difficoltà, cerco di non fissarla e così mi guardo un po’ intorno e vedo che in cucina c’è un grande caos: un sacco di stoviglie, bicchieri e piattini sono nel lavello, tutti sporchi. Almeno una ventina di flûte sono allineati come soldatini su un ripiano, sporchi anche quelli. Non so come abbia fatto la mamma a trovare un bicchiere pulito. In effetti, sembra una devastazione completa.

- Se almeno ci fossero state Gaia o Serena potevi stare con loro, Clizia. Ma Serena è andata a trovare la sua insegnante di danza e Gaia è al maneggio con Andy. Allegra è con Gioia e temo che l’unica rimasta a casa sia Letizia. Troppo piccola per te … Era così stremata dalla giornata di ieri che sta ancora dormendo!

Quasi come l’avesse evocata, eccotela fare capolino dalla porta con un libro di figure sottobraccio.

- Mammina! – la saluta, correndole incontro e saltandole addosso. È stata così rapida che la mamma non riesce a placcarla e a Patrizia non rimane che assorbire il colpo.

- Tesoro, mammina ha un po’ di mal di testa – le dice, cercando di staccarsela di dosso.

Gli occhi della piccola si intristiscono, per poi posarsi insistentemente su di noi.

- Perché siete venute? – ci chiede, senza vergogna.

- Abbiamo portato delle rose alla tua mamma e, già che siamo qui, penso proprio che potrei prepararti anche una bella colazione se la tua pancina ha fame, cosa ne pensi?

- Oddio, mi dispiace – mormora Patrizia, reclinando di nuovo la testa all’indietro e chiudendo gli occhi - ma mi sa che dovrò approfittare della tua gentilezza, Giorgia. Non finirò più di vergognarmi … è solo che … mi sento così sola! – sussurra in un soffio, mentre una lacrima le scende sulla guancia. Con un gesto fulmineo e arrabbiato se la asciuga, ma sia io che la mamma ce ne siamo accorte. Letizia per fortuna è corsa al frigo e non ha notato nulla.

- Allora piccola, burro e marmellata può andare come colazione? Con un bel bicchiere di latte? – chiede la mamma con un tono allegro.

- … e cacao, però! Io adoooro la cioccolata!

- E latte e cacao sia! Perché intanto non fai vedere a Clizia il tuo libro di figure?

- Potresti fare colazione sotto il pergolato, Letizia, qui è tutto in disordine … non c’è posto nemmeno per appoggiare uno spillo! – sussurra Patrizia – Giorgia, ti indico dove ….

- Resta sdraiata lì e non ti muovere; se ho bisogno di qualcosa te lo chiedo. Vediamo un po’: una volta riflettevo che le case in fondo si somigliano un po’ tutte … i posti dove riponiamo le cose, all’incirca, sono sempre gli stessi, quindi tirerò un po’ ad indovinare, eh? Parto da quello facile … burro: in frigo. Ta-daa – e lo mostra sorridendo a Patrizia – e wow, un colpo di fortuna, qui c’è pure la marmellata … l’avrei cercata in dispensa … pane …

- È finito, c’è solo quello a cassetta … da qualche parte là a giro, l’abbiamo usato ieri sera.

- Ok, trovato! E latte e cacao, trovati anche loro … sono brava, eh? Però lo zucchero … ok, però non vale! Chi ha messo lo zucchero in frigo? – domanda, strabuzzando gli occhi e strappando un sorriso a Patrizia.

- Ah, deve essere stato Andy! Ha sempre la testa fra le nuvole quando si tratta delle faccende di casa!

Io e Letizia siamo sedute vicino alla vetrata, quindi dalla parte opposta a quella di Patrizia e la mamma, ma mi sono praticamente svitata un orecchio lanciandolo vicino a loro per cercare di non perdermi i loro discorsi. Più che altro è la mamma che parla a raffica, e non è nemmeno una cosa che le riesca bene, perché lei di solito parla con calma, è difficile sentirla con questo tono da dj. A me sembra pure un po’ in difficoltà, perché Patrizia si è lasciata andare inaspettatamente e si capisce che non ne ha potuto fare a meno. La mamma la vuole aiutare fingendo di non essersi accorta di niente, o forse vuole semplicemente che non se ne accorga la piccola. Mi sa che la signora Patrizia ha avuto un crollo, o qualcosa del genere, insomma quella roba lì di quando hai qualcosa dentro di troppo peso e anche una parola magari ti fa venire da piangere. Però, ecco, non è che sia il massimo lasciarsi andare con degli sconosciuti … uno lo fa da solo, di solito, quando non ha nessuno fra i piedi, solo che a volte è proprio inevitabile e allora …. Nel frattempo Patrizia ha offerto anche a me qualcosa da mangiare, e anche se ho già fatto colazione ho accettato un succo di frutta. La mamma si guarda intorno, con fare un po’ indeciso, ma poi, all’improvviso, la vedo che comincia a radunare tutte le cose sporche da lavare. Patrizia socchiude gli occhi, a sentire i rumori della cucina.

- Giorgia, ma cosa fai? – le chiede, allarmata.

- Oh, che vuoi che sia, volevo solo mettere la roba nella lavastoviglie, almeno cominciamo a riordinare qualcosa. Ti do una mano.

- Oh, cara, non pensarci nemmeno! E poi, purtroppo, la lavastoviglie non funziona, è piena di piatti sporchi. Ho dato il via al ciclo ma si è bloccata, il display mi dà un errore strano, non so dove sia il manuale di istruzioni e ….

Miseria, ma dove è la signora scintillante di ieri sera? La ricciolina bionda super elegante con un abito da paura eccetera eccetera?

- Oh, ma allora oggi è la giornata della roba rotta! A noi si è rotta la macchina, a te la lavastoviglie! Beh, cosa importa? Possiamo sempre lavare a mano … anche se potrebbe essere solo il filtro da pulire … Beh, lasciamo stare, infiliamo tutto nel lavello: che vuoi che sia? In fondo non c’è tanta roba, dai …

Prima che Patrizia abbia potuto aprire bocca, la mamma ha già inforcato i guanti trovati nello sportello della cucina e afferrato con decisione la spugnetta per i piatti. Il liquido verde del detersivo cola sulla spugna e la mamma comincia a strofinare di buona lena.

- Clizia, perché non mi aiuti? Potresti sciacquare, almeno facciamo un lavoro più veloce!

- Non pensarci nemmeno! – urla quasi Patrizia, a quanto pare inorridita all’idea – non posso assolutamente permetterlo! Laverò tutto io, Giorgia, ti prego, lascia stare!

- Non ho niente da fare stamani ed è l’ora della mia buona azione quotidiana. Se non faccio questa, dovrò impegnarmi a trovarne un’altra. Mi piace lavare, è come buttar via anche i pensieri neri, le preoccupazioni … alé, una bella strusciata e ciao allo sporco … magari fosse sempre così facile … però in qualche modo è terapeutico, ti assicuro. Ok, ti lascerò sciacquare, Patrizia, visto che mi sembra che tu ti senta meglio. Clizia potrà stare con Letizia. Perché non andate in giardino dopo, visto che Letizia ha quasi finito di fare colazione?

- Ok mamma – la rassicuro, sperando che la piccola mangiucchi qualcos’altro. Chi se la vuole perdere la chiacchierata di quelle due? Il clima è da “mi sto preparando per dare il via allo sfogo”, quindi mi fingo occupatissima a guardare con Letizia il suo libro e cerco di farla parlare, ascoltandola con un orecchio solo, tentando di origliare i discorsi della mamma e di Patrizia.

- Che lavoro fai, Giorgia? Ieri non te l’ho nemmeno chiesto, tutta presa a mostrarti il laboratorio.

- Tenevo la contabilità in una ditta tessile, fino a poco tempo fa.

- Oh, numeri! Ti ammiro: non ci ho mai capito molto in matematica! E ora invece? Non lavori più?

- La ditta ha chiuso. Sono stata licenziata … non ce la facevano più ad andare avanti, sai, con la crisi e tutto il resto …

- Mi dispiace! Vedrai che troverai presto un altro lavoro, ne sono sicura – si affretta ad aggiungere Patrizia.

- Beh, veramente ho spedito non so più quanti curriculum ed ho fatto anche qualche colloquio, però mi hanno detto che sono in un’età difficile … pensavo di averla passata già da un po’ l’età difficile – dice la mamma, cercando di scherzare e, maledizione, arrossisce. Come se fosse colpa sua il fatto di essere rimasta senza lavoro! Lì per lì si crea un silenzio imbarazzante e l’unico rumore è quello dell’acqua e il tintinnare dei bicchieri e delle stoviglie. Poi Patrizia si ferma di colpo e si volta a guardare la mamma.

- Scusa cara, ma non ci hai detto ieri che anche tuo marito lavora nel tessile? Non nella stessa ditta, vero?

- Purtroppo sì. Anche lui sta facendo dei colloqui, ma non è facile …

- Ma è terribile!

- Sì, beh, diciamo che abbiamo visto giorni migliori. Ma ce la caveremo: non può andare tutto male, no? È un momento, poi si sistemerà tutto, basta non scoraggiarsi.

Gli occhi di Patrizia corrono nella mia direzione a scrutarmi, ma faccio in tempo a distogliere lo sguardo. Mica mi va di farle pena. Comincio a sentirmi un po’ sulle spine. Per fortuna la mamma svia il discorso.

- Se vuoi, dopo possiamo dare un’occhiata alla lavastoviglie. Magari è una sciocchezza. Proviamo a pulire il filtro e vediamo se è quello il problema. Poi, con calma, cercate il libretto di istruzioni o alle brutte chiamate un tecnico, se proprio non c’è niente da fare.

Patrizia tira un sospirone.

- Macché Giorgia, non so dove sono i libretti di istruzione, e a dirti la verità non ho mai pulito il filtro della lavastoviglie … non so nemmeno dove stia questo filtro!

- Oh, capisco, è Andy che sistema queste cose, vero?

- Figuriamoci! Lui pensa solo al maneggio. La gestione delle nostre figlie è sempre stato lavoro mio, al cento per cento, e non credere che sia facile! La casa invece la seguiva Conchita, la nostra preziosa domestica tuttofare. Ma, sfortunatamente per noi, mentre era in vacanza a Valencia dalla sua famiglia, si è innamorata! Mi ha chiesto un periodo di riflessione e gliel’ho concesso: non sa se restare a Valencia o tornare in Italia. Il peggio è che quella sciocca mi ha avvisata solo due giorni prima del suo previsto rientro ... Andy me ne ha dette di tutti i colori quando l’ha saputo! Senza Conchita, che pensa sempre a tutto, ci sentiamo persi! Io non sono mai stata una donna di casa: non mi parlate di pulire e cucinare, non è roba per me!

Nel frattempo la piccola si è accorta che non seguo proprio tutte le sue chiacchiere, così mi tira per la maglietta e mi tocca seguirla in giardino. Ci avviciniamo alla cancellata e lei si mette a giocare con la ghiaia, cantando una canzoncina. Poi si fa seria, indica col ditino grassoccio la nostra casa e mi fa cenno di avvicinarmi.

- Quella è una casina incantata - mi sussurra, sgranando gli occhioni - Lo sai che lì ci sta un giullare matto?

- Quella è la casa dove abito io! – le rispondo stupita, aggrottando la fronte – e mio zio non è un giullare matto!

- No! – risponde ridendo – il giullare matto è quello col furgoncino tutto colorato, il tuo zio è il mago.

- È un professore, non un mago!

- Ha gli occhiali: è un mago per forza!

- No che non lo è!

- Sì invece! Lo sanno tutti che i maghi hanno gli occhiali! E tu sei il piccolo elfo.

- Un elfo? Sono una femmina!

- Occhi grandi, visino pallido uguale elfo. Lo sanno tutti che …

- Ok ok, ho capito. E tu allora saresti la principessa del castello?

- Di solito sì, di solito no!

Mi metto a ridere, perché la piccolina è proprio buffa e fantasiosa. Poi vedo la mamma che si affaccia alla portafinestra e mi chiama. Ha una faccia strana e mi sorride. Corro da lei.

- Dobbiamo andare, Clizia! Devo occuparmi di alcune cose.

Vedo che anche Patrizia ha riacquistato un aspetto decisamente migliore. Le due si guardano, quasi di sottecchi e sembrano entrambe soddisfatte e eccitate per qualcosa che, al momento, mi sfugge, ma continuano a chiacchierare del più o del meno e la piccolina insinua la sua manina sudaticcia nella mia. Mentre usciamo dal giardino, Patrizia ci fa ciao con la mano.

- A presto, Giorgia! – esclama con allegria.

Siamo appena uscite dal cancello che vedo la mamma che mi lancia un’occhiata felice. Mi prende la mano, mentre attraversiamo la strada e me la stringe, ma non dice nulla. Entriamo in casa e ci affacciamo subito in sala, dove ci sono le nonne che chiacchierano, sedute al lungo tavolo da pranzo. La mamma prende un bel respiro e con un sorriso raggiante esclama:

- Non ci crederete, ma ho appena trovato lavoro!

Io spalanco la bocca per la sorpresa e rimango senza parole, mentre le nonne invece le si fanno intorno, fra mille domande ed esclamazioni di gioia. La mamma solleva allora le mani, mentre non riesce a smettere di sorridere, cercando di far capire che vuoterà il sacco appena la ascolteranno. Così le nonne rimangono in silenzio e la mamma racconta dell’incontro con Patrizia, con tutti i dettagli. Non capiamo dove voglia andare a parare, ma poi all’improvviso la mamma conclude: “e così, mentre parlavamo, Patrizia a un tratto si è bloccata di botto, come se le fosse venuta in mente un’idea clamorosa e mi ha offerto di lavorare per lei. Beh, almeno fino a quando tornerà Conchita … però potrebbe pure non tornare, no? E così avremmo risolto almeno in parte i nostri problemi, che dite? Non è fantastico?"

- Scusa, ma tu cosa dovresti fare di preciso? – chiede la nonna Annalena.

- Oh, beh, diverse cose, veramente. Fare le faccende di casa, stirare, cucinare … insomma, io mi occuperò della casa, lei delle figlie: dividiamo il peso della gestione della famiglia. Ma soprattutto mi ha chiesto di cucinare.

- Tu? – fa la nonna Annalena, aggrottando la fronte, perplessa.

- Sì, io!

La nonna fa una smorfia con la faccia e si gratta il collo, pensierosa.

- Beh, che c’è?

- Guarda, Giorgia – inizia, schiarendosi la voce e cercando di dosare bene le parole - Ammirevole da parte tua non fossilizzarti a cercare un lavoro da impiegata, ma vorrei farti notare che sai cucinare quattro piatti in croce, fai le lavatrici più azzardate che abbia mai visto in vita mia, non sei un granché a stirare e non mi sei mai sembrata una gran donna di casa. Senza offesa, tesoro, ognuno è quello che è … come pensi di risolvere questi piccoli particolari?

- Sì, non credere che non ci abbia pensato … però lì per lì ho preso la palla al balzo, mica potevo rifiutare un lavoro servito su un piatto d’argento. Vuol dire che imparerò a cucinare e diventerò un’esperta casalinga. Tu, mamma, sei un’ottima padrona di casa e potresti insegnarmi.

- Va bene – mormora la nonna, aggrottando la fronte – vuoi vedere che a più di quarant’anni mi diventi bravina? Solo, in quante lezioni dobbiamo prepararci al nuovo lavoro?

La mamma fa un sorriso stiracchiato e si torce le mani, un po’ nervosa.

- Facciamo oggi e domani? Un’immersione totale?

- Stai scherzando?! – esclama la nonna.

- Non c’è un minuto da perdere, mamma! Dov’è il tuo Artusi? Ah, ma c’era anche quel libro che mi avevi regalato quando mi sono sposata, quello più moderno … ma dove può essere andato a finire? Sai quello che comprammo al mare su quella bancarella? – fa la mamma tutta agitata, mentre corre su e giù, prendendo carta e penna per segnarsi le cose fondamentali che le vengono in mente, svolazzando da un lato all’altro della libreria, grattandosi il mento pensierosa e infossando la ruga fra gli occhi.

- È nella libreria, Giorgia, scaffale in basso – mormora la nonna, scuotendo la testa – almeno hai detto a Patrizia che sei una principiante?

- Scherzi?! Vuoi che mi siluri da sola? Ha assaggiato la torta di mele, le è piaciuta e ha pensato che fossi una brava cuoca e una brava padrona di casa. Insomma, una che le poteva risolvere il problema! Oh mamma! Sapessi com’era felice quando le ho detto di sì! Che ci vuole a preparare qualcosa per cena?

- Hai sempre cucinato per voi tre, tesoro, mentre loro sono in sette. E ti pagano per questo. Si aspettano che tu sappia fare ciò per cui sei pagata.

Lì per lì la mamma ha un gesto di sconforto, sospira e si lascia cadere pesantemente su una poltrona.

- Vuol dire che prima di partire ti insegnerò a fare la mia gougère bourguignonne – le dice Therese, facendole l’occhiolino - Sono sicura che diventerai una cuoca sopraffina! Che bello avere a che fare con il cibo, invece che con quei numeri antipatici e senza cuore!

La mamma alza gli occhi su di lei con gratitudine e le viene da ridere.

- Grazie Therese, sei unica!

- E naturalmente non ci faremo mancare nemmeno quell’ottimo dolce bretone alle prugne che ti piaceva tanto, che è semplice e fa un figurone.

- E tu, mamma? Che mi dici?

- Che ti ho trovato l’Artusi e l’altro libro che cercavi – risponde la nonna, mostrando i due volumi che ha recuperato dalla libreria - e che bisogna andare a fare la spesa, se vuoi cogliere l’occasione per esercitarti a fare qualche piatto. Meglio iniziare da lì, dopotutto pulire la casa è più semplice e già ti arrangi.

Poi tutte e tre realizzano di colpo di essersi dimenticate di me.

- Beh, Clizia? Non sei contenta? Non corri ad abbracciarmi? – mi chiede la mamma, di nuovo caricata a molla e piena di buona volontà.

Vado da lei e la stringo forte.

- Brava mamma - le dico, schioccandole un bacio sulla guancia.

- A proposito, me ne stavo quasi scordando – fa allora lei, dandosi un colpetto sulla fronte – fra qualche giorno non è il compleanno di Erina? Cosa avevi intenzione di comprarle? Hai bisogno di un anticipo sulla tua paghetta?

- No mamma, grazie. Sono a posto.

Sinceramente non mi va di approfittarmi del momento di euforia della mamma, perché so già che tempo una settimana perderà di nuovo il lavoro. Quelli si aspettano qualcosa che la mamma non ha imparato a fare in più di dieci anni! Un po’ secondo me non le piace, un po’ non c’è proprio tagliata. È un’impiegata modello, ma ai fornelli … Vado in camera e tiro fuori la maglietta che mi ha comprato la mamma l’anno scorso e che ha ancora il cartellino attaccato. Mi stava grande e volevamo cambiarla, poi ci passò di mente e la accantonammo per quando fossi cresciuta un altro po’. Me la presento davanti allo specchio: carina, e quest’anno mi starebbe perfetta. A Erina andrà sicuramente bene e sono sicura che le piacerà. E poi questo colore starà meglio a lei che a me, visto che sarà tutta abbronzata. La piego e vado a cercare qualcosa per incartarla e un cartoncino colorato per farle un bigliettino artigianale, dove potrei disegnare quegli omini buffi che mi riescono così bene e che le piacciono tanto. Fra qualche giorno c’è la festa di Erina. E rivedrò così anche quello scemo di Davide. E non so ancora cosa mettermi!


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"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Sixteen Miles Out su Unsplash

martedì 18 febbraio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Diciassettesimo capitolo




GRUGNITI A COLAZIONE


- Mon Dieu, sono uno straccio, tesori miei – ci fa nonna Therese, presentandosi in giardino dove stiamo facendo tutti colazione in un silenzio piuttosto peso – si è risvegliata la cervicale e ho un mal di testa coi fiocchi … com’è andata ieri, Pietro? – chiede al babbo, che sorseggia il suo caffè in silenzio.

Il babbo non risponde, limitandosi ad un grugnito e ad un gesto della mano, come a voler rimandare l’argomento.

- Sai cosa pensavo stanotte? Nel frattempo potresti impegnare proficuamente il tempo dando ripetizioni di francese: in fondo sei madrelingua! Ci sarà pure qualche alunno svogliato che ha bisogno di qualche lezione.

- Therese, sono un perito tessile, non un maestro.

- Uh, lo dici come se ti avessi proposto di fare il bovaro, o la transumanza del bestiame.

- Therese, com’è che nei discorsi riesci sempre a mettere tutte queste r arrotolate?

- È un’arte che si apprende, tesoro adorato … a proposito, fra qualche giorno riparto.

Si alza un coro di proteste. Sembra che l’annuncio della nonna abbia un po’ scosso ciascuno dalle sue preoccupazioni, e ora ci dispiace di averle fatto trovare un’atmosfera così tesa. Il fatto è che da quanto ho origliato stamani mattina, deve essere nato fra i miei genitori uno stupido battibecco. Mi sono messa in ascolto dietro la porta quando li ho sentiti bisticciare.

- Sei solo arrabbiato e deluso perché l’incontro di ieri è andato male! – diceva la mamma.

- Non è stata certo colpa mia! – ha replicato lui, stizzito.

- E chi ha detto che era colpa tua? Non si può aprire bocca, prendi tutto storto!

- E poi non è andato male … la faccenda è solo in sospeso, come sempre!

- Uhm, quando è in sospeso, di solito non se ne fa nulla; solo non hanno avuto il coraggio di dirti le cose chiaramente … non voglio che ti faccia delle speranze per poi rimanere deluso!

- Forse però un po’ di incoraggiamento non guasterebbe! – ha risposto il babbo con voce amara.

- Guarda che sono anch’io nella tua situazione! Fra l’altro, Pietro, dobbiamo pensare a comprare i libri di scuola per Clizia: sarà il solito salasso! – ha concluso la mamma sospirando.

A quel punto mi sono allontanata in punta di piedi. Avevo pensato di chiedere alla mamma di darmi qualcosa per comprare un regalo ad Erina, ma ci ho rinunciato. Allora quello sguardo della mamma di ieri, pieno di qualcosa di strano che non sapevo decifrare esattamente, ma che avrei detto speranza, era solo un'illusione? Sarà meglio che mi concentri di nuovo sulla conversazione del momento, invece di stare a ripensare a stamani.

- Mica sarà perché ritorna Dario, vero Therese? Sono sicura che sarebbe felice di dormire sul divano! – assicura nonna Annalena.

- Tesoro, nessuno è felice di dormire sul divano! Ma no, non è per quello. Devo tornare a casa: prima di tutto questo trambusto avevo organizzato un viaggio e vorrei andarci. Ma ovviamente mi piacerebbe anche stare con voi … oh, la vita è sempre un andare e venire, un lasciarsi e ritrovarsi. Come mi piacerebbe a volte essere nata con uno spirito stanziale! Beh, d’altra parte tornerò quando meno ve lo aspetterete - conclude col suo solito umore ottimista, mentre comincia a sorseggiare il suo tè.

- E dove vai questa volta? – chiede il babbo, ritrovando la parola, più rassegnato che sorpreso.

- Oh, chéri, vado in Francia, nel Périgord.

Il babbo si agita un po’ sulla sedia, come tutte le volte in cui sente parlare della Francia.

- Sarebbe, nonna?

- Sud-ovest della Francia, praline. Faremo un giro partendo da Collonges-la-Rouge.

Io mi incanto alla pronuncia della nonna, e mi faccio rotolare in bocca quel nome che non conosco, mentre il babbo sembra invece interessato più alla frase in senso grammaticale di Therese.

- Hai detto faremo? Quindi non sei sola? – chiede il babbo, accigliandosi in un’espressione sorpresa.

La nonna, incredibile ma vero, sembra una scolaretta colta in fallo e arrossisce, mentre si finge impegnatissima ad imburrare il suo panino.

- Non ho mai detto che sarei andata da sola …

- Oh – commenta il babbo. Non so come mai, ma verso nonna Therese ha questo atteggiamento di gelosia. Sembra che la voglia proteggere e tenerla tutta per sé. La mamma reprime un gesto di insofferenza verso il comportamento del babbo e non dice niente, limitandosi a serrare la bocca.

- È stata una bella festa, Giorgia? – le chiede allora Therese, per sviare il discorso.

- Oh, sì, fantastica. La casa è stupenda e arredata in modo molto particolare. Mi sembra una famiglia simpatica … Patrizia è molto alla mano, pensavo fosse una di quelle riccone snob e invece ... Ci ha fatto anche due regali!

- Meno male che qualcuno riesce ancora a farvi dei regali! – commenta il babbo, acido, alzando gli occhi dal suo giornale di annunci pieno di fregacci rossi – Comunque mi sembrava di aver capito da Clizia che la festa non fosse poi questo granché …

- Pietro, ti prego, sei nervoso stamani – comincia la mamma, accigliandosi e infossando la sua ruga fra gli occhi – perché non porti Clizia e Therese a fare un bel giro in campagna, nel Chianti? Potreste andare verso Greve e …

- Certo, come no? Andarsene a giro a buttare via soldi in benzina … ah, e poi l’ultima novità non la sai … stamani devo recuperare la macchina.

- Cosa è successo alla macchina?

- Che diavolo ne so! Si è fermata a San Domenico, mentre tornavo da Empoli.

- Perché non hai telefonato? Come hai fatto a tornare a casa? L’autobus a quell’ora non passa più …

- Me la sono fatta a piedi, per schiarirmi le idee.

- Magari potreste sentire Franco - interviene la nonna Annalena – forse è una cosa da niente e si può aggiustare.

- Ce l’abbiamo da sedici anni, mamma! Non credo sia una cosa da niente, come dici tu.

- Beh, comunque c’è sempre la macchina di Dario se avete bisogno di andare da qualche parte.

Il babbo si limita ad un grugnito come risposta e ricala il silenzio peso di prima. Non sono abituata a questo clima. Non dico che il babbo e la mamma non abbiano mai discusso; è successo, come in qualsiasi famiglia. Però ora sento che è diverso e mi fa paura.

- Tesoro, perché non vai con nonna Annalena a cogliere delle rose da portare a Patrizia? E poi vestiti, così appena sei pronta andiamo.

- Posso venire con voi? – chiede Therese – se resto ancora qui a sedere finirò questa marmellata deliziosa e il mio dottore non sarebbe d’accordo! - alzandosi mi mette un braccio attorno alle spalle e ci avviamo verso il roseto, mentre nonna Annalena va a prendere le cesoie.

- Sai, praline, i miei genitori non litigavano mai, eppure c’era un gran brutto clima in casa … gelido, direi. Forse è meglio quando qualche volta si litiga, perché significa che c’è ancora la voglia di confrontarsi, mentre il silenzio è una brutta malattia … - mi sussurra Therese.

La guardo senza sapere che dire. Non ha mai fatto nemmeno un cenno alla sua famiglia, non so assolutamente niente dei miei bisnonni. 

– Chissà, forse era anche per questo che Annie non vedeva l’ora di andarsene di casa - riprende lei, lasciandomi a bocca spalancata per la sorpresa – ma non l’ha mai detto chiaramente. Anche lei era una persona chiusa, che non faceva trapelare quasi niente di sé.

Mentre parla lascia vagare lo sguardo, senza nessuna meta, con un’espressione neutra. Se soffre, a dirmi queste cose, non lo lascia vedere. La stringo a me in un abbraccio muto. Lei mi guarda, la testa reclinata da un lato e il sorriso più dolce, e mi restituisce l’abbraccio.



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"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Daniela Darone