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venerdì 5 settembre 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 27

  



HAI MAI LETTO UN HAIKU?



La ragazza, dopo un breve sguardo al segnalibro che sto ancora tenendo in mano, fa come per andare oltre.

- Sei Yukiko?

Si ferma, come se l’avessi catturata con un invisibile lazo. Si volta con grazia e rimane a guardarmi, tenendo il paniere con entrambe le mani, con un accenno di sorriso. Sembra proprio la ragazzina di un manga.

- Non mi sembra di conoscerti, mi dispiace.

- Non ci conosciamo infatti. Ho trovato questo cartoncino fra le pagine di un libro che ho preso in biblioteca e allora … insomma, mi sa che è tuo … forse te lo sei dimenticato.

Rimane a guardarmi, sempre con quell’idea di sorriso, ma lo sguardo è incerto e sbigottito: non capisce come abbia fatto a trovarla e a sapere che quel segnalibro l’ha fatto lei!

- Sei stata molto gentile a darti tanto disturbo. Dammi il tempo di lavarmi le mani, così poi possiamo parlare.

La seguo senza dire più una parola, perché mi sembra impossibile averla trovata, così per caso, e ho proprio tanta paura di svegliarmi e capire che tutta questa strana giornata è stata solo un sogno. Immagino che, quando si sarà lavata le mani, aprirà qualche porticina e ci troveremo in un mondo parallelo, invece dal chiostro usciamo semplicemente fuori dal convento e ci troviamo davanti al sagrato.

- Abito qui vicino. Se non ti dispiace potresti accompagnarmi. Posso chiederti come fai a sapere che ho disegnato io il segnalibro? – mi domanda, accennando col mento al cartoncino.

- Oh, beh … ci sono degli ideogrammi e un disegno tipico … uh … giapponese appunto, e così, chiedendo qua e là …

- Comunque non l’ho dimenticato: l’ho lasciato nel libro per farlo trovare alle persone che lo leggeranno dopo di me.

Intanto siamo arrivati davanti ad un piccolo portoncino verde, che non avevo notato venendo su e che comunque, come vedo ora, non ha un campanello col cognome giapponese, quindi non mi avrebbe dato nessun indizio. Apre il portoncino e si volta verso di me.

- Puoi tenere il segnalibro, se ti piace, o se preferisci puoi lasciarlo nel libro quando lo restituirai.

- In questo caso credo proprio che lo terrò. Sei davvero bravissima! Solo … – mi mordicchio un po’ il labbro – magari, dato che sono qui, potresti dirmi cosa c’è scritto!

A questo punto si scioglie un po’ dalla sua compostezza e ride, coprendosi la bocca con la mano.

- Forse è meglio se entri. Posso offrirti un tè freddo. I tuoi genitori sanno che sei venuta a cercarmi?

- Ma certo! – mento spudoratamente, scacciando l’immagine della mamma che mi intima di non fidarmi mai degli sconosciuti.

- Va bene, allora entra pure – mi invita, con un piccolo inchino grazioso.

Dentro, la casa è proprio piccolissima. È una stanza sola, quadrata, con pochissimi mobili e oggetti, molto ordinata. L’ambiente è luminoso e addolcito da un parquet chiaro. Mi chiedo dove dorma, dato che non c’è neanche un letto!

- Mi dispiace, ma non ho delle sedie - mi spiega, arrossendo – io uso i cuscini.

Mi inginocchio su uno dei cuscini poggiati accanto ad un basso tavolinetto e subito dopo mi accorgo che Yukiko è scalza, mentre io ho ancora i miei sandali: non pensavo di doverli togliere! Mi sa che i giapponesi usano togliersi le scarpe, penso, ricordando qualche cartone animato visto in tv ... forse ho fatto una figuraccia … improvvisamente mi sento a disagio e non so cosa dire. Lei intanto versa il tè in delle tazzine minuscole di porcellana, con decori floreali. Un angolino di Giappone a Fiesole. Oltre quella porta chiusa c’è l’Occidente, qui dentro sembra di essere stati trasportati in un altro mondo.


- È bello qui – comincio, un po’ titubante – c’è così … uh … spazio.

Sorride senza mostrare i denti, quasi fra sé.

- L’ordine e lo spazio mi rilassano: il vuoto, per me, è un elemento d’arredo.

- Scusa, magari ti sembro sfacciata, ma dove dormi?

- Su un futon. Forse li avrai visti in qualche film. Durante il giorno lo arrotolo e lo metto nell’armadio, e lo preparo di nuovo la sera, prima di andare a dormire: così nella stanza c’è molto più spazio e posso usarla in modo diverso.

- Hai mantenuto tutte le usanze giapponesi!

- Sì. Sono anche riuscita a trovare un tatami, la stuoia rivestita di giunco, per poggiare il futon.

- Sei qui da tanti anni? Studi o lavori?

- Oh … sono qui da … abbastanza. Lavoro in un vivaio e progetto spazi verdi: sono una garden designer.

- Deve essere divertente! Io invece devo fare la terza media, qui a Fiesole … già … non conosco nessuno e sono tipo … terrorizzata – rido nervosamente – perché sai, prima non abitavo qui, stavo in centro, nel quartiere di Santa Croce, non so se lo conosci … oh, ma che dico? Certo che lo conosci! Insomma, chi è che non lo conosce? – oddio, ora penserà che sono un’invasata, una di quelle che è sicura di stare nella città più bella del mondo, mentre io non so nemmeno di dove sia lei: ma perché non gliel’ho chiesto?! - … ma insomma, sai, poi è successo un casino, perché i miei hanno perso il lavoro e allora siamo venuti a stare qui, da mia nonna e mio zio, per dividere le spese e anche perché loro stanno in una casa grande … anche se non sono ricchi, eh … no, perché insomma, lo erano un tempo … non ricchi sfondati, ma stavano bene, ma poi c’è stata l’alluvione e puf! Dalle stelle alle stalle! Sì, siamo un po’ abituati a farci prendere dagli imprevisti … già … però, insomma, non mi lamento, mi sto … tipo … abituando, ecco!

Probabilmente sto andando a fuoco, perché mi sento la faccia scarlatta e lei, poverina, mi sembra tramortita da questo diluvio di parole, perché mi sa che non è tanto abituata a stare con gli altri: deve essere un’anima solitaria. Però sembra simpatica, ma di sicuro a forza di stare con le piante non è che si sia allenata molto a parlare, almeno non con gli esseri umani.

- E insomma, sono proprio curiosa di sapere cosa c’è scritto sul segnalibro, perché mi piace un sacco l’idea degli ideogrammi.

- Sono haiku.

- Oh.

- Conosci gli haiku?

- Uhm … direi di no.

- Sono poesie: solo tre versi, diciassette sillabe in tutto. Solo poche parole per parlare della natura e dei sentimenti.

- Facili da imparare!

- Sono sintesi … come un’emozione che ti colpisce, un tuffo al cuore, una rivelazione improvvisa …

- E questo l’hai scritto tu?

- No, sono due haiku di Bashō, un poeta molto famoso. Questo dice: “Steli di iris si aggrovigliano ai miei piedi come lacci di sandali”. E questo invece: “Profumo di fiori di pruno: sorge improvviso il sole sul sentiero di montagna”. E poi ho illustrato queste poesie, perché mi piace disegnare.

- Infatti sei bravissima! Sono disegni stupendi. E anche le poesie, ovvio. Mi sembrano così semplici, ma potenti e ... - rimango senza parole, cercando di esprimermi e non trovando le parole mi sento un po’ stupida e infantile – voglio dire che a volte nel tanto trovi poco e invece, in questo caso, nel poco trovi tanto.

Annuisce.

- Se leggerai molti haiku, comincerai a far caso a cose che prima non avevi considerato. Ma non è così immediato … - dice lei ridendo e coprendosi la bocca con la mano. Intanto si alza e prende un libro da uno scaffale – perché non provi a leggere questi?

Così dicendo mi porge un piccolo volume.

- “Il libro degli haiku” di Jack Kerouac.

- Sì, sono haiku scritti da un americano: conosci Kerouac?

- Uhm …. Mi sa che ne ho sentito parlare …

Sorride comprensiva, mentre mi sento una stupida marmocchia.

- Beh, adesso mi sa che è meglio che vada – le dico, riporgendole il libro.

- Oh no, ti prego, tienilo.

Sgrano gli occhi, sorpresa.

- No, io …

- Per favore, per favore tienilo. Sono felice di regalartelo. Puoi metterci il segnalibro dentro!

Un sorriso grande mi illumina il viso.

- Allora grazie.

- Prego – risponde, con un piccolo inchino. Mi accompagna alla porta ed esco di nuovo in occidente. Il sole si allunga sulla discesa, come a indicarmi la strada del ritorno a casa.

- Torna a trovarmi, se vuoi – mi dice sorridendo, mentre chiude la porta.

E io volo a casa, giù per la discesa, con il rischio di inciampare e farmi male, con un regalo inaspettato che stringo in una mano e un senso di possibilità che mi riempie il petto. Sul portone di casa mi scontro quasi con lo zio Dario che sta uscendo.

- Ma dov’eri? Ti cercavano tutti! La nonna era preoccupata.

- Sono andata a San Francesco.

- Oh no, Clizia! Ancora un pellegrinaggio per dare un’occhiata dall’alto a Santa Croce?

- Beh, passando una sbirciatina l’ho data … ma in realtà sono andata al convento.

Mi guarda, aggrottando la fronte.

- Lascia stare, zio … conosci questo tipo? – gli chiedo, mostrandogli la copertina del libro.

- Questo tipo?! Clizia, questo è Jack Kerouac: un importante scrittore americano del ventesimo secolo.

- È un bel ragazzo, no? Un po’ ti assomiglia – dico, considerando la foto della copertina.

- L’hai preso in biblioteca?

- No.

- E allora chi te l’ha dato?

- Non stai facendo tardi, zio?

- Sì, è vero, ma ne riparleremo! – mi minaccia scherzoso col dito, mentre lo spingo fuori – Perché sarei rimasto volentieri a parlare con te di Jack, ma ho un appuntamento e non si fanno aspettare le signorine.

- Un appuntamento galante?

- Potrebbe. Ma sai che, purtroppo, non mi innamoro mai – risponde, alzando le spalle.

Sembra dispiaciuto. Richiudo la porta dietro di me. Povero zio! Così tante spasimanti, ma tutte senza speranza. Mi chiedo se non senta la mancanza di una moglie, o di una fidanzata. A volte anche a me piacerebbe che qualcuno fosse innamorato di me, per capire l’effetto che fa.



Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone
"Dal convento", foto di Daniela Darone
Interno di stanza, foto di Kouji Tsuru su Unsplash


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(dalla versione web)




martedì 19 agosto 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - capitolo 26

 



UNA GIORNATA PROPRIO STRANA!


La nonna ha scritto un bigliettino anche a me prima di partire. Deve avermelo lasciato sul comodino la mattina prestissimo, mentre stavo ancora dormendo. Nella busta c’erano anche 20 euro. Nella sua bella calligrafia tutta svolazzi mi ha scritto:

Se continui a guardare indietro e a sospirare su quello che hai lasciato, non potrai mai accorgerti di quello che hai davanti. Coraggio ma praline, guarda con entusiasmo al presente! Ti lascio una banconota da 20 euro: comprati una bella carta da lettera! Niente fogli strappati dai quaderni per la nostra corrispondenza! Ti abbraccio, Therese

Beh, in fondo ha ragione, penso, mentre mi avvio in biblioteca. Voglio dire, da casa della nonna Annalena (forse dovrei iniziare a dire “da casa mia”) alla biblioteca c’è pochissima strada da fare, eppure da quando sono qui non mi è mai venuto in mente che avrei potuto venirci. È vero che ho saccheggiato diversi libri dello zio, però venire in biblioteca poteva essere un modo per cercare di ambientarmi. Eccomi qui. Già arrivata. Entro.


La biblioteca è carina e fresca; tutti stanno con la testa tuffata dentro i libri, tranne alcuni ragazzi che digitano come forsennati sui cellulari e cercano di non sghignazzare. Comincio ad aggirarmi fra gli scaffali, dando occhiate qua e là e cercando di capire come hanno organizzato le sezioni. La mente, senza volere, vola alla mia vecchia biblioteca di via Tripoli. Due piani dedicati solo a libri per ragazzi, un mondo parallelo dove entravo e mi sentivo avvolta. Dalla strada suonavo un campanello, mi aprivano e contemporaneamente vedevo la testa di una delle due bibliotecarie affacciarsi per vedere chi era. Tutte le volte mi sembrava quasi che quel luogo fosse una società segreta, alla quale dovevo essere ammessa e subito, fatto il primo scalino, ero nella sala grande e potevo lanciare una sbirciatina alle panchine del giardino, per vedere se erano libere, in modo da poter leggere fuori, sotto le fronde del grande albero. Oppure potevo salire al piano di sopra, a leggere ai tavolini, alzando ogni tanto gli occhi sul campanile di Santa Croce che si vedeva dalla finestra ... Beh, meglio tornare al presente! Mi avvicino al banco per chiedere i libri che mi servono. C’è una ragazza giovane che sembra simpatica: i suoi occhialini vecchio stile spiccano su un viso che sprizza gioia. Gli occhi le ridono mentre mi chiede se può aiutarmi. Un punto a favore. Le porgo un foglietto sul quale ho scritto i titoli e lei li cerca al computer. Poi si alza e, bisbigliando, mi fa cenno di seguirla.

- Ti faccio fare un giro orientativo per farti vedere come è organizzata la biblioteca. Così magari puoi fermarti nelle sezioni che ti interessano di più e dare un’occhiata agli altri titoli che abbiamo … uhm, non ti avevo mai vista. Sei nuova?

- Sì, ci siamo trasferiti da poco.

- Ah, bene! Allora credo che ci vedremo spesso, a giudicare dalla lista che mi hai dato.

- Penso proprio di sì!

- Ottimo. Vieni allora, ti faccio vedere lo scaffale delle novità che sono arrivate a giugno. Del libro che hai chiesto abbiamo anche il seguito e, se vuoi, il dvd del film.

Questa qui mi è già simpatica. La seguo fra le sale e via via prendiamo i libri che le ho chiesto dagli scaffali. Si è segnata quei codici che usano i bibliotecari e va a colpo sicuro, borbottando quando trova qualche volume messo male e rimettendolo a posto nella giusta posizione.

- Sei anche stata fortunata, perché questo ce l’hanno riportato proprio stamani – conclude, porgendomi l’ultimo. Questo è quello che hanno regalato a Erina per il suo compleanno e se mi sbrigo a iniziarlo magari possiamo commentarlo via via insieme. Ringrazio ed esco con il prezioso carico sotto braccio, ma non ho voglia di tornare a casa. Mi va di andare un po’ a giro per Fiesole, passeggiare per queste strade e cercare di sentirle mie.
Decido di imboccare Via Gramsci per guardare qualche vetrina: ho in tasca i venti euro di Therese e potrebbe essere una buona idea non rimandare l’acquisto della carta da lettera. Noto una cartoleria e mi ci tuffo, prima di cambiare idea e spendere i soldi in qualcos’altro. Appena dentro, mi sembra di essere arrivata nel paese dei balocchi: lapis, pennine schiribillose, quaderni dalle copertine coloratissime, tracolle, porta cellulari e oggetti da regalo. Adoro le cartolerie! Per non cedere a inutili tentazioni, decido di chiedere subito al commesso. L’uomo dietro il banco sgrana gli occhi quando gli chiedo della carta da lettera.

- Uhm, dovremmo avere ancora qualcosa, da qualche parte. Cosa avevi in mente di preciso? Perché mi sa che ne abbiamo solo in stile fiorentino, non roba profumata o cose così ... sai, ormai le lettere non le scrive quasi più nessuno …

- Va benissimo.

Sparisce nel retro e poco dopo torna con la faccia di chi ha fatto la scoperta del secolo.

- Trovata! Che te ne pare?

- Ok – rispondo, lanciando un’occhiata ai ghirigori dorati e sbirciando il prezzo scolorito sull’adesivo.

- Tredici euro – mi chiede l’uomo.

Cavolini fritti! Pensavo meno! Beh, mi rimangono comunque sette euro.

- Magari facciamo dieci euro? In fondo era nel retro, non sapeva nemmeno di averla e come ha detto lei, chi scrive più? E poi il prezzo è pure scolorito …

Mi lancia un’occhiata incredula, ma sono io la prima a essere sorpresa, perché non mi è mai capitato di azzardarmi a contrattare il prezzo! È come se la voce mi fosse uscita da sola, senza che lo volessi!
Il tizio è spiazzato e credo che la spunterò, a giudicare dalla sua espressione.

- Dieci euro, e non uno di meno: sarà stata pure nel retro, ma è carta raffinata - risponde, e gli strappo un sorriso

- Buona fortuna! – mi dice l’uomo, quando sono sulla porta e sto già per chiudermela alle spalle. Strano saluto per uno strano acquisto.

Cammino per la strada con un senso di orgoglio per aver salvato qualche euro. Infilo la mano nella tasca dei jeans e sento la carta della banconota. Potrei comprarmi uno smalto. O un set di penne colorate? Vabbè, magari ci penso e per ora li tengo da parte. Se c’è una cosa che sto imparando è resistere alle tentazioni. Il trucco è sempre rimandare l’acquisto; di solito dopo qualche giorno me ne dimentico e quindi vuol dire che in fondo non mi interessava davvero!
Mentre torno verso casa mi domando dove siano i ragazzi che abitano qui e dove si incontrino. Sembra sempre che a giro ci siano solo adulti, neonati e stranieri.
Quando rientro a casa vado in camera mia, mi siedo sul letto e comincio a sfogliare i libri presi in prestito. Mentre mi faccio scorrere le pagine fra le dita, un cartoncino scappa fuori da un libro e cade sul tappeto. Mi sporgo un po’ dal letto. Sembra un segnalibro. Lo prendo. È un cartoncino lungo e stretto: da un lato ci sono disegnati dei fiori a china e subito sotto una scritta giapponese. Lo volto: altri ideogrammi e un disegno del sole e di una montagna. Deve essere stato lasciato dalla persona che ha letto il libro prima di me. Mi stendo e inserisco il segnalibro alla prima pagina. Chiudo e riapro il libro un sacco di volte. E dopo poco, senza pensarci, mi infilo i sandali ed esco di nuovo. Cerco di camminare più veloce che posso per arrivare alla biblioteca prima che chiuda. Mi sa che sia un’impresa impossibile ormai, e mi sento pure un po’ stupida. Arrivo lì davanti e mi appoggio al portone chiuso: era chiaro, avevo già visto prima di uscire di casa che ore fossero. Assurdo. Che fretta c’era? Una macchina esce dal parcheggio e mi passa accanto. Si accosta. Sussulto.

- Scusa, non volevo spaventarti!

- No, ero solo assorta – rispondo, riconoscendo la bibliotecaria.

- Ti serviva qualcosa? La biblioteca è chiusa in pausa pranzo.

- No, è solo che in un libro che ho preso in prestito ho trovato un segnalibro disegnato a china e così …

Sorride.

- Sai di chi è?

- Sì. Ma non preoccuparti, non se ne è dimenticata. A volte lo fa: li disegna e li lascia nei libri, per quelli che li prenderanno in prestito dopo di lei. Ce ne sono di bellissimi in biblioteca! Credo sia un suo hobby o un gesto gentile … - conclude, stringendosi nelle spalle.

- Mi potresti dire chi è?

- Sono sicura che non l’ha dimenticato, ma se vuoi puoi darlo a me e la prossima volta che verrà a prendere in prestito altri libri glielo restituirò.

- No! No … scusa … è che … insomma, io …

Si mordicchia un’unghia, pensosa.

- Sai che c’è la privacy e bla bla bla … beh, a mio parere sono tutte sciocchezze, però … insomma, va a finire che faccio tardi e si muore dal caldo dentro questo macinino … sai, non ho mica l’aria condizionata!

Continuo a tenere i miei occhi fissi dentro ai suoi e resto in silenzio. In una attesa ostinata.

- Oddio, sei impossibile! Si chiama Yukiko e sta a San Francesco. Contenta?

Incredibile, ma col cartoncino ancora in mano scappo via di corsa.

- Ma dove vai?

- Scusa! Non lo so!

Sento che riparte e mi passa accanto. Rallenta.

- Non dire che te l’ho detto io, piccola Sherlock Holmes!

Mi strizza un occhio e riparte strombazzando nella calura di quell’ora impossibile.

- Grazie! – mi fermo, la saluto con la mano e la vita mi sembra davvero strana.

Questa giornata è come se fosse racchiusa in una bolla misteriosa e non so nemmeno perché. Non so cosa sto facendo, perché lo faccio e quale sarà la mia prossima mossa.
Senza pensarci mi incammino verso casa, ma arrivata al bivio, anziché girare a destra, i miei piedi vanno a sinistra. Mi pare ovvio che andrò a San Francesco. Mi incammino per la salita lastricata e cerco di scacciare dalla mente il dialogo immaginario che penso di impostare con questa Yukiko, ammesso che riesca a trovarla. E poi chi sarà questa tizia? Una vecchietta rugosa e solitaria che si diverte a disegnare segnalibri? Uhm, può essere. Il negozio di pelletteria è ancora aperto. Magari potrei chiedere al proprietario, ma mi leverebbe il gusto dell’indagine solitaria. Dal parco lungo via San Francesco getto uno sguardo su Firenze, ma senza fermarmi, e proseguo fino alla chiesa. Il fatto è che qui di case ce ne sono poche e per ora i campanelli che ho sbirciato non mi hanno dato nessun indizio. Nessun cognome giapponese o comunque straniero. Comincia a sembrarmi tutto abbastanza senza senso. Visto che sono arrivata alla chiesa del convento decido di entrare, in cerca di un po’ di fresco, e subito dopo esco nel chiostro solitario e osservo le piccole aiuole, dove sono venuta tante volte con la nonna Annalena. Mi appoggio a un muretto all’ombra. Mi sento improvvisamente stanca, ma nello stesso tempo in pace, come fossi arrivata in un luogo che non mi chiede nulla, solo di stare. Una ragazza, protetta da un cappello di paglia, è china a sistemare i fiori delle aiuole, vicina al pozzo. Lavora accoccolata come una bambina, intenta. Immagino debba avere molto caldo, ma sembra che non se ne curi. Ogni gesto è preciso e calmo. Dopo un po’ si alza, raccoglie i suoi strumenti in un piccolo paniere e si volta. Il cappello le fa ombra sul volto, ma mentre si avvicina cerco di scrutarla, malgrado tenga il viso chino verso terra. Nel momento in cui si accorge dei miei piedi, alza il mento per rivolgermi un sorriso e si sofferma. Così la vedo. E in quel momento capisco che è lei.






Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone


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mercoledì 30 luglio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Venticinquesimo capitolo

 




LA LETTERA DI THERESE



Rientro a casa in un lago di sudore. Mi sono piccata che sarei andata fino a scuola a piedi, ma non sono esattamente due minuti di strada e per di più è quasi tutta in salita. Comunque in segreteria mi hanno confermato che sarò in classe con Serena: III A. Lista dei libri presa. Ora non mi resta che fare un salto in Via San Gallo al negozio di libri usati.
Rientrando trovo il babbo, d’umore neutro, e la mamma seduta al tavolo che prende appunti da un libro di cucina. Mi ricordo improvvisamente della busta di Therese e vado a prenderla. Il babbo ha un moto di sorpresa e mi scruta come se dovesse carpirmi chissà quale segreto. Gli restituisco uno sguardo in codice che dice “non so nulla di particolare: è solo una busta” e vado dalla mamma.

- Allora? L’hai sfangata? – le chiedo. Chissà perché, ma da quando li vedo fragili, mi sento più un’amica che una figlia.

Alza gli occhi: sembra stanca, dubbiosa e pure un po’ impaurita.

- Mah, è avanzata un sacco di roba: o mangiano poco, oppure ho fatto una schifezza! Tu che dici?

- Ma col menu differenziato di Gioia?

- Verdure grigliate e formaggio alla piastra: abbastanza facile.

- Gli altri?

- Carne ai ferri, verdure grigliate anche a loro. Niente primo. Macedonia e sorbetto al limone comprato già fatto. Patrizia mi ha detto che potevo fare quello che mi pareva, scegliendo fra primi e secondi. Non fanno pasti composti da tutte le portate, per fortuna! Forse non sono così interessati al cibo … beh, eccetto Gaia e Letizia: loro sì che mangiano! Per fortuna che in frigo avevano dei budini di cioccolato. Comunque oggi sono libera. Andy sarà al maneggio tutto il giorno e poi ha una cena con degli amici, Patrizia e le figlie hanno impegni vari e non ci sarà nessuno a casa. Mi hanno detto che per cena si arrangiano. Non è che non hanno il coraggio di dirmi che l’esperimento è andato male?

- Ma no, mamma! Dai, studiati qualcosa di buono per domani. Se dovevano darti una brutta notizia te l’avrebbero già data, no?

- Grazie, Clizia. Vi siete divertite al balletto ieri?

- Oh, sì, molto. Peccato solo che la nonna sia ripartita.

- Già … è dispiaciuto molto a tutti, come sempre ... cos’è quel foglio?

- La lista dei libri di scuola. Credo che la troverai deprimente: quando andiamo a cercare i libri usati?

La mamma aggrotta le sopracciglia.

- Suppongo che potremmo farlo stasera. La nonna mi ha preparato un sughetto ai fiori di zucca per la pasta che farò domani. Lo nasconderò in un tegamino e lo tirerò fuori come un coniglio dal cilindro!

- Mamma! Questo è barare!

- Macché! Ho seguito attentamente il procedimento mentre la nonna lo preparava e la prossima volta sarò in grado di farlo anche io. Vedi? Ho pure il mio quadernino degli appunti … dai, vai a prepararti! Ma perché non sei andata in moto con lo zio a scuola? Ti saresti risparmiata la sudata!

- Me la volevo cavare da sola.

- Però! – mi fa la mamma, senza riuscire a nascondere un’aria compiaciuta. Solo allora diamo un’occhiata al babbo. Ha letto il messaggio di Therese ed ora è davanti alle vetrate della sala e scruta attentamente il panorama. Io e la mamma ci guardiamo interrogative. Tiene la busta stretta, serrandola con forza.

- Vieni con noi, Pietro? – gli chiede la mamma. C’è una pausa e la risposta tarda ad arrivare.

- No … io … devo andare a riprendere la macchina dal meccanico – conclude velocemente, prima di uscire dalla stanza. Dopo un attimo rientra, con un sorriso strano.

- Beh, siamo una famiglia e ci siamo sempre detti tutto. Penso che dovreste leggere anche voi queste righe di Therese.

Ci porge la busta e la mamma, con un cenno, mi fa capire che devo prenderla. Non so cosa aspettarmi, perché il babbo sembra commosso e colpito da quello che ha letto. Il biglietto nella busta è un semplice foglio piegato a metà, dove Therese ha scritto poche righe nella sua bella calligrafia. Nel foglio piegato ci sono dei soldi.



Mio caro Pietro,

mi conosci, sai che sono una donna di molte azioni e pochi sermoni. Ricordi quando da ragazzo me lo cantilenavi per prendermi in giro? Non cambierò certo ora, che sono vecchia. Ho affidato a Clizia questa lettera, in modo che te la consegnasse quando fossi partita, altrimenti non l’avresti mai presa. Lo so come sei fatto. Nella busta ci sono dei soldi. Accettali. Non sono un prestito, né un regalo. Sono tuoi, e basta. Dimenticavo, il conto del meccanico è saldato!

Ti abbraccio amore mio. Mamma Therese



Mamma Therese. Mamma Therese. Di tutte le parole, queste due sono quelle che mi danzano nella testa, sembrano fare un grand jeté, un’arabesque, poi una piroetta, e finire in un plier …. Mamma Therese. Queste due parole mi fanno commuovere fino alle lacrime. Rimaniamo tutti e tre ammutoliti e con gli occhi lucidi. Non sappiamo cosa dirci. Ogni cosa sembra stupida. Alla fine io e la mamma ci avviciniamo al babbo e ci stringiamo, per un attimo. Corrente di calore umano. Bello.

- Andiamo tutti e tre a riprendere la macchina. Poi vi accompagno fino in Piazza della Libertà, così se trovate i libri almeno non fate il viaggio di ritorno cariche di pesi.

- Clizia, perché non chiami Erina? Potete fare un giro in centro insieme. Io e il babbo potremmo sbrigare delle commissioni e tornare a prenderti dopo.

Faccio spallucce.

- Forse è meglio di no. Insomma – continuo velocemente, vedendo gli sguardi dubbiosi dei miei – magari non troviamo subito tutti i libri al primo negozio e dobbiamo fare un salto da qualche altra parte … poi in fondo ci siamo viste alla festa. Mi farebbe più piacere, dopo essere stati in centro, tornare qui e andare in biblioteca a cercare dei libri. Serena mi ha detto che per le vacanze estive le avevano dato da leggere due libri di Calvino. Dovrei leggerli anche io, dato che saremo nella stessa classe. La professoressa potrebbe voler fare una verifica all’inizio della scuola: se non li leggo, come faccio?

- Beh, a questo non avevo pensato. Brava Clizia! – mi dice la mamma, osservandomi compiaciuta. Non avessi avuto la coscienza sporca, forse non avrei fatto parola di Calvino con i miei! 

- Oh, la nonna ti ha regalato la sua coccinella! Ma come hai fatto a convincerla? – mi chiede la mamma, notando la catenina che porto al collo.

- Mah! Si vede che alla fine si è decisa! – rispondo, arrossendo un po’.

Dopo la parte che mi ha fatto lo zio e il discorso serio della nonna, ora mi tengo fissa questa coccinella al collo per ricordarmi della promessa che ho fatto a me stessa: basta cavolate. Sono cresciuta. Voglio aiutare i miei. Voglio conquistarmi quello che mi piace, impegnarmi. Essere coraggiosa. Inventarmi modi per essere contenta. E sentirmi questa collanina al collo mi ricorda che devo filare dritta, o la nonna racconterà tutto ai miei e loro si infurieranno e probabilmente sarò in punizione per tutta la vita. Amen. La nonna, alla fine, più che regalarmi una collanina, mi ha messo un collare anti-scemenza … wow! Astuta Annalena!


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Markus Spiske su Unsplash


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sabato 14 giugno 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventiquattresimo capitolo

 




HAI MAI VISTO “GISELLE”?



Nonostante il balletto non sia una delle mie massime aspirazioni, l’atmosfera carica di emozione e attesa che pervade il Teatro Romano riesce a contagiare anche me: il palco è allestito in modo suggestivo ed è impossibile rimanere indifferenti. Serena non smette di allungare il collo verso il proscenio, forse con la speranza di intravedere qualche volto a lei noto. Quando ho chiesto alla nonna perché avesse deciso di portarci proprio a un balletto, mi ha risposto che, non avendone io mai visto uno, era ora che colmassi questa lacuna. Quindi eccoci qui per assistere a “Il lago dei cigni”.

La nonna, prima di uscire di casa, mi ha raccontato tutta la storia di Odette. Ha aggiunto qua e là un paio di informazioni tecniche che ha “rubato” da Internet, tanto per non farmi rimanere come una babbea se Serena mi parlerà del balletto e poi, strizzandomi un occhio, ha detto che era un’ottima occasione per passare del tempo con Serena su un terreno a lei caro. Ok, strategicamente non ho niente da obiettare: Serena, infatti, è al massimo dell’eccitazione! Le brillano gli occhi e continua a parlarmi dello spettacolo che ha visto al Teatro Antico a Taormina il mese scorso: Roberto Bolle con i ballerini del Metropolitan. Non ho capito se è stato prima o dopo Malta … beati loro!

- Oddio, Clizia, non puoi capire l’emozione che ho provato! Vedevo i ballerini librarsi in aria come sorretti da fili invisibili! E che grazia, che energia interpretativa!

Mentre cerco di annotarmi mentalmente nomi ed osservazioni, giusto per “entrare nel personaggio”, come dice Therese, vedo che Serena non smette di torcersi le mani mentre parla, e le nocche addirittura le si sbiancano.

- Sai, io non sono molto brava nei salti – riprende, facendo una smorfia - la mia insegnante dice che non ho abbastanza spinta e concentrazione. Il fatto è che saltare, nella danza, richiede una coordinazione impressionante: il peso del corpo, la posizione delle braccia, la velocità, la posizione della testa e mille altri dettagli … hai mai visto “Giselle”?

Assumo un’espressione meditabonda e accenno un movimento d’assenso con la testa: non ho idea di chi sia questa Giselle, ma preferisco non dirglielo! Lei comunque riprende subito a spiegare.

- Il pubblico deve immaginare che tu stia fluttuando in aria e in questo caso devi saltare in modo totalmente diverso da quello che faresti per un balletto moderno, dove il salto è molto più veloce, meno romantico ... – conclude, arricciando la bocca, chiaramente insoddisfatta dei suoi risultati.

- Beh, se sai dove devi migliorare, sai anche dove devi esercitarti di più!

- Oh, certo, la volontà non mi manca – e, mentre mi risponde, ammicca verso il basso. Il mio sguardo segue il suo, e sgrano gli occhi quando Serena, con una piccola smorfia, si sfila la scarpa, mostrandomi i piedi con il sangue a fior di pelle. Aggrotto la fronte.

- Ti fanno molto male?

Per tutta risposta solleva le spalle, in un gesto di noncuranza.

- Quando si indossano le punte è inevitabile procurarsi ferite, vesciche, calli … anche se ci sono dei cerotti e delle bende specifiche, non sono mai abbastanza. Molto dipende dalla sudorazione dei piedi. Comunque, ogni volta che finisci la lezione, se ti va bene ti trovi con i piedi arrossati e doloranti, e quando ti va peggio, con vesciche o ferite sanguinanti. Quindi mi tocca usare chili di mercurio cromo, cicatrene, creme all'ossido di zinco. Alla fine ti vengono dei piedi callosi e davvero brutti! Ma il dolore non finisce comunque! – sospira - Non è una strada facile, ma se vuoi diventare una ballerina professionista devi lavorare sodo. La passione, comunque, ti fa superare tutto, credimi!

Rimango senza parole. Mi colpisce la determinazione di Serena. Devo ammettere che un po’ mi fa pena, con quel piede rovinato e l’ansia di non essere abbastanza brava, ma l’ammiro anche, perché per rimanere così focalizzata sull’obiettivo deve avere molto carattere.

In quel momento le luci sul palcoscenico si accendono e inizia la musica. I ballerini entrano in scena. Scende un silenzio bellissimo e tutto il pubblico si concentra su di loro. Serena beve alla fonte del sapere: è raggiante e concentrata, sembra che studi ogni singolo movimento, ogni gesto. Ogni tanto la nonna si piega verso di me per un’occhiata, un’osservazione, quasi a voler sottolineare i momenti più significativi del balletto. Cara nonna, mi sa che il tuo impegno sia tutta fatica sprecata. Mi sto rendendo conto che io e Serena non diventeremo mai le classiche amiche del cuore che escono e studiano insieme, mangiano schifezze ai fast food o roba del genere. Mi sa che Serena la maggior parte del suo tempo lo passerà con persone diverse da me. Alla mamma forse basterà farle un piatto di insalata con una fettina ai ferri, dato il fisico che sfoggia: ha un corpo asciutto, muscoloso ma aggraziato, e una pelle perfetta da due litri d’acqua al giorno!

Quando rientriamo a casa dormono tutti. Lo zio, relegato in sala per cedere il letto a Therese, ha lasciato le persiane aperte e la luce della luna gli illumina il volto. In mano ha un libro aperto che adesso poggia sul suo petto. Deve essersi addormentato mentre leggeva.

- Quel beau jeune homme – dice Therese, guardando lo zio con un sorriso tenero sul volto, e distrattamente mi porge una busta – praline, vorresti darla al babbo domani mattina? Non perderla, eh?

- Va bene, nonna. Ma non puoi dargliela tu?

- Partirò molto presto, Clizia. Lo sai che i saluti mi fanno piangere.

- Ma il babbo non ti accompagna alla stazione?

- Con la macchina rotta?

- Oh, cavolini fritti! È vero!

- Bien bien, tutto si ripara, ma praline. Un taxi andrà benissimo.

- Pagherai un occhio della testa, nonna …

- Preferisco così, Clizia. Bonne nuit, chérie.

Mi viene un groppo in gola e mi metto a piangere, singhiozzando. Mi aggrappo al collo della nonna come se volessi ancorarmi a lei. Perché Therese non può stare sempre con noi? È il raggio di sole che rischiara le mie giornate, mi capisce, conserva un cuore giovane da ragazzina. Come sempre mi rendo conto che avrei voluto stare di più con lei, e invece …

- Non vorrai far piangere una vecchia signora, Clizia ... fila a letto! Tornerò presto a trovarvi. Solo … invece delle solite telefonate, non vorresti scrivermi, qualche volta? Potresti farmi sapere come va la scuola, qualcosa sui nuovi amici e come se la passano Pietro e Giorgia …

- D'accord, mamie. Ti scriverò delle mail …

- Mi piacerebbe di più alla vecchia maniera: lettere scritte a mano, su una bella carta … mi piace immaginarti mentre attacchi il francobollo ed esci per andare a impostare … e poi questa lettera che si mette in viaggio verso di me … e la gioia di vederla nella cassetta … aprire la busta, piano, per non lacerarla e spiegare il foglio, leggere e rileggere vedendo la tua calligrafia … toccare quel foglio che hai toccato tu, su cui hai scritto per me … non ti sembra molto più bello di una mail? Per la corrispondenza sono rimasta una romantica, con il gusto dell’attesa.

Sorrido con dolcezza.

- Se ti piace di più, farò così. Solo dovrai avere pazienza: la mail sarebbe stata più veloce!

- Oh, Clizia, la pazienza non mi manca … niente è mai stato subito.

Rimango un attimo a guardarla, me la imprimo bene nella mente e mi profondo in un abbraccio stritolatore. Poi le poggio un bacino sulla guancia e scappo via. La nonna è una rondine, penso, ma una rondine che ha perso la bussola. Migra dove c’è freddo per portare in regalo il calore che ha dentro di sé.


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Kazuo ota su Unsplash

martedì 27 maggio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventitreesimo capitolo

 




IL CUORE STRETTO DA UN LACCIO

Qualcosa di morbido mi centra in piena faccia. Paf! Apro gli occhi: Erina mi sorride. Scosto il cuscino che mi ha tirato e mi metto seduta.

- Sveglia, dormigliona! Ti sei addormentata come un angioletto! Aveva ragione mio fratello!

Ecco, sì, meno male che dovevo chiudere gli occhi solo un attimo! Sarà che in tutti questi giorni sono sempre andata a letto tardi, rimanendo sveglia a chiacchierare in giardino con nonna Annalena e nonna Therese. Sarà che ieri praticamente mi sono buttata giù dal letto all’alba, dato che c’era una confusione in casa che sembrava di essere al mercato …

- Beh, potevate pure svegliarmi.

Erina fa spallucce.

- Dai, avevamo capito che non ti andava di vedere quel film.

- Com’era?

- Mah … bello, credo.

- Cioè bello come? Qualcosina in più?

- Finisce male, o forse bene … non so … insomma, alla fine non sono più amiche, succede un casino … se vuoi te lo presto, ma forse non è una buona idea … insomma, vedi tu … poi, ora che ti ho detto il finale … magari hai fatto meglio tu ad addormentarti!

Mi mordo il labbro. Non so perché mi sento un po’ a disagio: è assurdo essere a disagio con Erina, è una cosa impossibile. In lei c’è un tono allegro, ma un po’ nervoso: mi sembra quasi di veder andare il suo umore in altalena. C’è qualcosa che la infastidisce e che cerca di scacciare. Forse è rimasta male perché mi sono addormentata. Prendo la custodia del DVD e rimango a fissare queste due coi piercing.

- Ok, se non ti scoccia lo prendo. Mi dispiace però: è un regalo di compleanno!

- Tanto l’ho visto ieri, mica lo riguardo in questi giorni! – risponde Erina alzando le spalle – e poi mi eviti il problema di doverlo nascondere.

- Beh, non basta metterlo qui sullo scaffale, insieme ai libri?

- Figurati! La mamma come lo vede si mette a ficcare il naso, vuole sapere cos’è, magari lo guarda … poi se si ricorda il titolo parte un interrogatorio sul perché l’ho visto, dato che lei mi aveva detto che non era adatto a me!

- E allora?

- Non è un film da genitori, poi entrano in paranoia e cominciano a stressare. È un po’ forte …

- Forse invece, da una parte … - comincio io, mentre la aiuto a riordinare la stanza devastata.

- Da quale parte, Clizia? Lo sai che non si può parlare di certe cose coi genitori. Non sono preparati, farfugliano, elimini problemi a tutti se eviti di affrontare temi imbarazzanti …. Gli adulti non vogliono sapere, preferiscono pensare che i problemi, casomai, riguardino i figli degli altri. È inutile. Meglio parlarne con gli amici.

Oh, ecco. Zac. Una frase banale, però un colpettino me l’ha dato. Meglio parlarne con gli amici, ha detto. Non ha detto “meglio parlarne con te, Clizia”. Forse ne parlerà con Grazia. Lei è più grande, può darle un punto di vista diverso. O con suo fratello.

- Ma forse potresti dare una chance ai tuoi, no? Voglio dire, nessuno ha la loro esperienza. Se ne parli con gli amici e basta, cosa vuoi che ti dicano di nuovo? Secondo me va a finire che continui a specchiarti nei soliti discorsi, perché nessuno ha le idee chiare.

- Certo, può essere, specie se un’opinione non te la vuoi fare.

- Che vuoi dire?

- Ma niente, dai – mormora, scuotendo la testa – è una scemenza.

- Allora dimmelo, se non è niente.

- È che insomma, pure tu ieri ti sei messa a fare un po’ la difficile. In fondo era il mio compleanno, avrò avuto il diritto di decidere come passarlo, no?

- E non l’hai fatto?

- Sì, ma si vedeva che a te non andava di vedere il film, e alla fine mi hai guastato un po’ l’atmosfera. Era tanto che lo volevo vedere, credevo fossi contenta pure tu, e invece hai preferito addirittura addormentarti! Messaggio chiaro, no?

- Non l’ho fatto apposta! Ero solo stanca.

- O non volevi che il film ti portasse sulla cattiva strada … guarda che alla fine pure tu ieri hai rubato un lucidalabbra … e poi ti metti a fare quella che si fa problemi per vedere un film!

- Guarda che l’hai rubato anche tu!

- Certo, ma di chi è stata l’idea? Anche Tracy ruba nel film, ma solo per imitare Evie!

Altro cazzotto. Mi arriva bello forte allo stomaco. Forse è così potente perché è la verità. Erina smette un attimo di riordinare la stanza e mi guarda, attirata dal mio silenzio. Ha la faccia preoccupata e tesa. Capisco che le dispiace. Non voleva farmi male.

- Clizia … scusa. Mi sento uno schifo, scusa. È che non ho dormito bene stanotte: quando è finito il film ero agitata e ora sono un po’ nervosa – mormora. Si avvicina, mi abbraccia. Scusa, scusa, scusa, continua a mormorare sui miei capelli.

- Non fa niente. Hai ragione. Scusa tu. Ho fatto proprio una cavolata ieri. E l’ho fatta fare anche a te. Bell’amica che sono! E poi tu non avevi nemmeno bisogno di rubarlo. Scommetto che i soldi per comprarlo ce li avevi!

Mica è così che mi ero immaginata questo compleanno. Non è così che volevo che andasse.

- E Grazia? Gli altri? – chiedo, per rompere il silenzio. Erina sembra si sia ripresa e sia decisa a cambiare umore. Mi sorride.

- Massimo e mio fratello sono a fare colazione. Grazia è andata via: aveva da fare. Sono le nove, principessa! Anche i miei sono già usciti per andare al lavoro. Che fai, rimani con noi anche oggi? Ci mangiamo un panino a pranzo e andiamo in giro: ho giusto i soldi del regalo di compleanno dei nonni da spendere.

- No, mi dispiace, ma devo tornare a casa. La nonna partirà a breve e voglio stare un po’ con lei. Chissà poi quando la rivedrò!

- Salutala da parte mia. Dai, andiamo a fare colazione e poi chiami quel bel tipo.

Rotea gli occhi spazientita a vedere la mia faccia perplessa.

- Intendevo tuo zio!

- Erina! Ma è vecchio! Mica ti piace?

Lei sorride maliziosa e non risponde nulla.

A mezzogiorno, dopo esserci spalmate litri di latte detergente per togliere via tutto il mascara e il trucco, siamo giù in strada, e mentre aspettiamo lo zio il cielo si fa improvvisamente scuro. Poco dopo il classico temporale estivo ci costringe a rintanarci dentro al portone. Lo sapevo che Trappolino non sbaglia mai: se fa pipì in Arno vuol dire che piove. L’acqua picchia violenta sull’asfalto e schizza i passanti frettolosi e i poveretti in motorino. Ogni tanto mi affaccio a vedere se lo zio sta arrivando e infatti, dopo poco, lo scorgo all’angolo. Cammina frettoloso, a testa china, un grosso ombrellone nero lo ripara. Mentre si avvicina non è che abbia proprio l’espressione delle grandi occasioni, ma forse non dipende da noi, dipende dal tempo. Erina scuote la testa e fa ondeggiare i suoi capelli, gli sorride con un sorriso fra il timido e il festoso. Sembra un sorriso nato da labbra indecise.

- Buongiorno ragazze.

- Ciao – diciamo quasi in coro io e Erina.

- Andiamo?

Mi affretto ad abbracciare Erina, dandogli due bacini sulle guance.

- Ci vediamo presto – le bisbiglio. Mi sento un po’ stupida, perché fingo un’allegria che in realtà non provo. Ho il cuore stretto da un laccio che non fa troppo male, ma nemmeno bene. Mi piacerebbe poter dire qualcosa o vedere sul viso di Erina qualcosa di preciso, ma non so cosa. Non mi resta che sorriderle, e andare via così. A mezzo. Come una cosa lasciata a mezzo. Penso al DVD che ho finto di dimenticarmi sul tappeto. Che strano, in due giorni questa è la seconda volta che mi sento a disagio con due persone con le quali sono sempre stata affiatata. Prima con Erina, ora con lo zio. Non so cosa dire, come riallacciare la cosa, riafferrare quel filo che ieri mi è sfuggito di mano.

- Erina è cambiata – fa lo zio, rompendo il silenzio, con voce neutra, come constatasse che sta piovendo.

- Già! Hai visto come è cresciuta?

- Non intendevo quello … intendevo dire che mi sembra cambiata.

Aggrotto le sopracciglia.

- Figurati, zio! In tre secondi pensi di aver già capito tutto!

Mi lancia un’occhiata e rimane zitto.

- Forse era meglio se ti levavi tutto quel trucco dalla faccia con più attenzione, prima di uscire di casa … sono rimaste delle tracce qua e là.

Wow. Se fa così con i ragazzi ai quali insegna, immagino debba essere un prof. molto, molto amato!

Come torniamo a Fiesole, l’acquazzone finisce e spunta un sole promettente.

La mamma è andata al lavoro, il babbo è intento a riparare un rubinetto che perde e le nonne sembrano distrutte, mentre riordinano la cucina.

- La mamma ha voluto cucinare un po’ di tutto in questi giorni – mi fa la nonna, sorseggiando un digestivo - Abbiamo congelato un sacco di roba da mangiare, il che potrebbe essere anche una buona notizia, visto che stasera torna Cipolla, ma il fatto è: sarà davvero commestibile?

- Che esagerata, Annalena! Mais certainment!

- Il tuo solito ottimismo, Therese. Clizia, ti va una fetta di torta di pesche? Ti avviso che noi non l’abbiamo assaggiata … - mi fa la nonna, continuando a bere il digestivo.

- È andata proprio così male? – mormoro io, aggrottando le sopracciglia.

- Tesoro mio, non si diventa cuochi in due giorni! In più Gioia è vegetariana, e questo complica le cose: si tratta di gestire due menu differenziati. Mi spiego? – mi chiede la nonna, sollevando il sopracciglio in gesto d’intesa.

- Giorgia sera très bonne! Ah … ho una sorpresa per te, praline. Stasera andiamo a vedere un balletto al Teatro Romano. Sono riuscita a trovare tre biglietti: ho invitato Serena a venire con noi, così passate un po’ di tempo insieme e fate amicizia prima che inizi la scuola! A proposito, ma non dovevi andare con lei in segreteria per sapere in quale sezione sarai?

- Peccato che Serena sia sempre occupata con le lezioni di danza!

- Uhm … e com’è andata ieri sera?

- Bene – rispondo, lanciando furtive occhiate allo zio, che sta assaggiando la torta di pesche.

- Bien bien – risponde la nonna – e credo ci sia anche stata una seduta di manicure - conclude, prendendomi le mani per ammirare l’opera di Grazia. Lo zio mugugna e io ho una gran paura che abbia tutte le intenzioni di vuotare il sacco. Non so come chiedergli se spiattellerà tutta la faccenda. Meglio non pensarci e cercare di essere il più accomodante possibile.

- Che ne dite se apparecchio? Visto che avete lavorato in cucina fino a ora, sarete distrutte. Perché non vi riposate un po’? Nonna, pensi che potremo mangiare in giardino?

- Oh no, Clizia! Con tutta l’acqua che è venuta, meglio di no. Apparecchiamo in sala.

- Ok – e mi dirigo svelta alla piattaia, per impilare le scodelle necessarie e prendere la tovaglia dal cassetto.

- Aspetta, Clizia – mi dice nonna Annalena – vieni qui, aiutami a tirar fuori il servito dal mobile.

Aggrotto la fronte. Il servito, per la nonna, è il mitico Richard Ginori dell’anno del Signore 1960, come dico sempre io prendendola in giro. Il “servito buono”, quello che tira fuori per Natale e forse in qualche altra ricorrenza speciale per “pranzare in pezzi di antiquariato”, come sostiene la nonna. Cos’è questa idea di usarlo oggi? Mi porge i piatti con un’attenzione degna di un cerimoniale. Li appoggio sul mobile in attesa di istruzioni. Siamo davvero sicuri che li vorrà mettere in tavola?

- Eh, già, un’altra cosa … la tovaglia … la tovaglia del mio Augusto …

- Scusa nonna, mica cerchi la tovaglia ricamata, quella del fidanzamento?

- Quella, quella …

- Ma cosa festeggiamo? Mi sono persa qualcosa?

La nonna interrompe la sua ricerca e tira fuori la testa dall’anta del mobile. Mi guarda da sotto in su, prende un bel respiro ed espira rumorosamente.

- Festeggiamo che siamo insieme, in salute … e Therese … e il ritorno del mio Dario dalle vacanze … e il nuovo lavoro di Giorgia … quanto chiacchieri bambina, datti da fare! Mi è venuto in mente che è nell’armadio, in camera nostra. Via, sorti di torno, fammi passare.

Va via trotterellando e mi fa cenno di seguirla. Quando arriviamo in camera, si sofferma vicino al cassettone e passa una mano su una scatolina di lacca. Mi fermo dietro di lei. Non so cosa dire, perché sento che c’è qualcosa nell’aria. Si volta a guardarmi e apre la scatolina. Solleva delicatamente, fra due dita, una lunga catenina d’oro con un ciondolino a forma di coccinella. È d’oro bianco e giallo e la piccola coccinella smaltata sembra faccia l’altalena racchiusa in un cerchietto. Mi è sempre piaciuta e la nonna lo sa: quando ero piccola ogni tanto io e la nonna, quando venivo a trovarla d’estate, andavamo sul letto a riposarci dopo pranzo e lei mi mostrava il contenuto delle scatoline che teneva sul cassettone. Prima che possa aprire bocca, mi aggancia la catenina al collo. Sono sorpresa. Gliel’avevo chiesta più di una volta e non aveva mai voluto regalarmela.

- Ecco qui. Spero ti piaccia ancora. Ho pensato che fosse arrivato il momento di dartela.

- Ma nonna … - mormoro.

Sospirando fa un passo indietro per vedere come mi sta.

- Ti sta bene, Clizia, ma ricorda che è molto fine, la devi trattare con riguardo, altrimenti si romperà e la perderai. E sarebbe un vero peccato.

- Ma nonna … - ripeto, aggrottando la fronte, un po’ preoccupata – mi dici cosa sta succedendo? Prima il Richard Ginori, poi la tovaglia del nonno, ora la collanina …

- Lo zio mi ha detto che ieri hai rubato, Clizia.

Mi sento arrossire d’un botto dalla radice dei capelli e l’imbarazzo mi blocca la lingua. Lei abbassa gli occhi, che prima teneva fissi su di me: mi sta concedendo una tregua. Non c’è giudizio nel suo sguardo, ma nemmeno comprensione. È uno sguardo neutro, che mi spiazza.

- E siccome ho … - mi si inceppa la voce, ma poi continuo buttando giù un groppo di saliva - … rubato, tu tiri fuori il Richard Ginori e tutto il resto … - concludo, con un vago gesto della mano, non capendo.

- Sì. Ieri sera, quando Dario è tornato a casa, io ero sveglia e ho visto subito dalla sua faccia che aveva un rospo da sputare. Non credere sia stato facile farlo parlare, ma alla fine me l’ha detto … solo a me, però. E se posso levarti dalle spine, ti dico subito che non diremo niente a nessuno. A meno che tu non ci costringa, Clizia, se continuerai ad avere un comportamento stupido come quello di ieri. Però …

La nonna tiene quel “però” come una cantante virtuosa, lo fa durare un secolo.

- … però allo stesso modo ho capito che è stato un gesto di rabbia. O di paura. Non è un momento facile e stai vedendo tutto nero. Ti senti … Dio mi perdoni ... “povera” … è una vergogna anche pronunciare questa parola per rispetto a chi è povero davvero, ma è così che ti senti. E la serata dalle sorelle Felicità non è che ti abbia aiutato, anzi! Hai sentito ancora di più il divario fra te e loro. Questo mi ha fatto pensare che tutti noi abbiamo una scorta di “ricchezze” impensate e inutilizzate e stipandole in questo modo forse non facciamo che offendere il loro valore … a che pro, poi, mi domando – continua, quasi parlando a se stessa, e facendo una piccola pausa. - Ora quindi ho deciso che avrei tirato fuori quelle che sono le mie “ricchezze”, affinché tu potessi goderne e rasserenare il tuo cuore. Il bello intorno a noi eleva, in qualche modo, anche lo spirito. Ma quello che mi preme che tu scopra è il bello dentro di te, le infinite possibilità che hai dentro, la forza e il coraggio di lavorare duro per cambiare quello che non va nella tua vita. Senza che per forza siano babbino e mammina a “salvarti”. Hai quasi quattordici anni, Clizia! Forse dovresti svegliarti un po’. Fatti venire in mente qualcosa di meglio che rubare per ottenere quello che ti manca! Io alla tua età ero già apprendista da una sarta … oh, non fare quella faccia, so già quanto urtano, a voi giovani, questi discorsi …

- No, è solo che io e te, nonna, siamo poco paragonabili … insomma, hai tanti anni più di me e il mondo è cambiato parecchio.

- Sicuramente, ma forse non quanto pensi tu. Ora basta chiacchierare. Aiutami con la tovaglia del nonno: la fece cucire con una delle stoffe più belle che aveva in negozio.

- Ok nonna, ma come spiegherai tutti questi cambiamenti al babbo e alla mamma … e a nonna Therese …

- Alla mia età non ho bisogno di spiegare proprio niente a nessuno, cara mia. Andiamo.

Senza altri discorsi mi spinge fuori dalla camera con la tovaglia fra le braccia e capisco che oggi mi toccherà fare proprio la brava: apparecchiare, sparecchiare con la massima cura e poi aiutare a rimettere a posto il grande disordine che ha fatto la mamma in cucina. Già, la mamma … chissà come se la sta cavando?


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Mark Boss da unsplash.com

venerdì 16 maggio 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventiduesimo capitolo





UN PIGIAMA PARTY CON SORPRESA

- Beh? Mi vuoi spiegare? – le chiedo ridendo, osservando gli occhi di Erina che scintillano.

- Ho pensato che potresti restare a dormire qui! Ti va?

- Ma non ho niente con me!

- Ti presto tutto io! Dai, rimani, facciamo un pigiama party improvvisato! Sarà divertente! Chi ha voglia di dormire, ora? E poi c’è una sorpresa …

- Del tipo?

Erina non risponde e si limita a sorridere, mentre si volta e raggiunge la sua mamma.

- Ma’, Clizia può fermarsi a dormire qui?

- Non hai avuto abbastanza festeggiamenti, Erina?

- Uffa, mamma!

- Non ho detto di no.

- Ma nemmeno di sì.

- Allora vorrà dire che dirò di sì, bambina viziata!

- Grazie ma’! – le risponde sorridendo, e subito dopo alza la voce per farsi sentire dal fratello - Davide! Ti tocca il divano stasera!

- Che cosa?

- Abbiamo ospiti! Fuori dalla nostra camera! – gli dice, facendo capolino nella stanza - E tu, Clizia, dai! Chiama i tuoi! Che aspetti? Dobbiamo cambiare il letto di Davide.

- Ma no, non importa: tanto mica dormiamo per davvero! Mi ci appoggio sopra e basta – le rispondo, mentre chiamo casa.

La mamma non si fa pregare. Conosce bene Erina e la sua famiglia e penso sia contenta per me. Quando chiamo lo zio, dai rumori di fondo, capisco che è a cena fuori.

- Ok, se la mamma è d’accordo vengo a prenderti domani.

- Ma dai, zio! Non c’è bisogno! Torno da sola.

- Preferisco di no.

- Passamelo! – mi bisbiglia Erina, che è vicina a me e ha sentito la conversazione. Sembra all’improvviso un po’ spaventata; probabilmente pensa che domani lo zio voglia raccontare ai suoi la bravata di questo pomeriggio. Le passo il telefono.

- Buonasera, mi scusi, volevo solo ringraziarla per prima … siamo state proprio … però insomma, le giuriamo che …

- Non giurate – sento il tono asciutto dello zio, dato che ho anch’io l’orecchio appiccicato al telefono - comportatevi bene e basta. Senza giurare, che non serve.

- Non dirà niente ai miei, vero? – chiede la voce di Erina, facendosi tutta zuccherosa.

- Buonanotte – risponde lo zio, riattaccando.

- Beh, non ci pensiamo per ora! – mi fa Erina, dopo essere rimasta un attimo pensierosa – Sono sicura che non dirà niente. Se lo avesse voluto fare, l’avrebbe già fatto, no?

- E se non avesse voluto rovinare il tuo compleanno? Chi gli impedisce di dire tutto domani? Già. E poi a casa, ora che ci penso, mi aspettano i guai … figurati se lo zio non va a spifferare tutto alla sua sorellona - concludo con un sospiro.

- Clizia, basta tristezza! Ci penseremo domani! Vieni, devo farti vedere una cosa - mi fa, strizzandomi un occhio e tirando fuori da sotto il materasso una piccola custodia di un DVD - Sai cos’è?

- Certo! Un DVD.

- Ovvio, Clizia, ma … quale DVD?

Mi stringo nelle spalle e non riesco a capire cosa renda Erina così eccitata. In quel momento, proprio mentre apre la bocca per dirmelo, sentiamo di nuovo suonare il campanello.

- Questo è qualcuno che ha dimenticato qualcosa! – fa Erina, dirigendosi alla porta.

Invece poco dopo entra di nuovo in camera, con Grazia: non l’avevo vista alla festa e, se devo essere sincera, non mi dispiaceva affatto. La “più bella di Santa Croce” entra in camera fasciata in un paio di jeans a vita bassa, un top microscopico e un giubbottino jeans striminzito di almeno una taglia in meno del necessario, sorriso smagliante e braccia tese.

- Cliziaaaa! Piccola! Come stai? - cerco di sorvolare su quel “piccola” che, detto da lei, fa quasi ridere, dato che ha solo tre anni più di me (ma altrettante misure di reggiseno in più!) e ci baciamo sulle guance per salutarci. Lei però non aspetta nemmeno la mia risposta alla sua domanda e si rivolge subito a Erina.

- Chicca, non sono potuta venire prima, mi dispiace … e mi sa anche che sono arrivata troppo tardi. Come mai sono già andati via tutti?

- La mamma aveva dato l’ok solo fino alle undici.

- Oh – fa lei, annuendo, cercando di assumere un’aria comprensiva – certo, siete ancora piccoli.

- Non siamo piccole! Sono i parents che stressano!

- Oh, beh, suppongo lo facciano solo per il vostro bene. Allora? Già visto il mio regalo? L’avevo dato a Davide perché te lo portasse.

- Sì, Grazia! È fighissimo. Mi è toccato nasconderlo sotto il materasso!

Ridono di gusto e comincio a sentirmi un po’ nervosa. Primo: ODIO quando qualcuno mi fa una domanda e non ascolta la risposta. Secondo: cos’è questa storia di questo nomignolo, “Chicca”, con cui si rivolge a Erina? Terzo: mi sento esclusa da questa conservazione vomitevole dove una finge di essere una donna e l’altra cerca disperatamente di essere all’altezza. Quarto: cosa cavolo è venuta a fare a quest’ora? Quinto (e non ultimo in ordine di importanza): Davide e Massimo lo sanno che lei, miss Santa Croce, è qui?

Finalmente entro di nuovo nel campo visivo di Erina.

- Stavo proprio dicendo a Clizia del tuo regalo … non sai quanta voglia avevo di vederlo!

- Ma insomma, di cosa parlate?

- Grazia mi ha regalato il DVD di Thirteen!

- Sarebbe?

- Un film di qualche anno fa che racconta di due ragazze della nostra età. Grazia l’ha scovato su internet e ha pensato di regalarmelo.

- E cosa ha di particolare?

Si stringono nelle spalle e lì per lì sembrano un po’ deluse dal fatto che stia frenando il loro entusiasmo.

- Non lo sappiamo bene, non l’abbiamo ancora visto. Tempo fa l’hanno dato in tv, ma la mamma, che consulta sempre Common sense media prima di vedere un film, non me l’ha fatto vedere. Diceva che non era adatto a me. Sai come si dice: quando una cosa è proibita, diventa subito appetibilissima. Se parla di tredicenni, perché non dovrei vederlo?

- Ho letto qualcosa su internet prima di comprarlo. Sembra che sia una storia vera: una tipa perfettina e un po’sfigata conosce la ragazza più popolare della scuola e fa di tutto per diventare sua amica. Solo che la tipa popolare è una un po’ fuori di testa e quella perfettina, pur di stare con lei, la imita e si lascia trascinare in roba pesa, mi sa … spinelli, sbronze … roba così.

Erina prende il DVD da sotto il materasso e mi mostra la copertina: ci sono due volti di ragazze in primo piano. Stessi capelli lunghi, stessi sguardi ammiccanti e le loro lingue bene in mostra a mostrare i piercing.

- Wow, che schifo! Sai che male bucarsi la lingua! – rispondo, arricciando la bocca.

- Ok, lo guardiamo insieme un giorno di questi, va bene? Ora vado, vi lascio alle vostre chiacchiere – le dice Grazia.

- Perché invece non rimani con noi e lo guardiamo stanotte? Clizia rimane a dormire da me e facciamo un pigiama party … insomma, non c’è occasione migliore, ti pare?

Lì per lì Grazia sembra esitare, valutando la proposta, e dentro di me comincio a ripetere come un mantra “rispondi di no, rispondi di no, rispondi di no”. Invece, la fronte un po’ aggrottata di Grazia alla fine si distende.

- Ma sì! Telefono a casa e avverto che resto qui. Per il film poi vediamo, magari a Clizia non interessa molto, mi sembra.

- Ma dai, non fare la guastafeste! – ride Erina – certo che lo vuoi vedere! Mica è un film vietato!

- In America era vietato ai minori di diciassette anni, ma qui in Italia no – Grazia si stringe nelle spalle – E comunque, secondo me, se lo vediamo non facciamo nulla di male. In fondo è come se guardassimo un documentario sugli adolescenti, in un certo senso …

Faccio spallucce.

- Boh, se vi va così tanto …

Non posso nemmeno sperare che la mamma di Grazia le dica che non può restare, perché conosce benissimo la mamma di Erina: sono state compagne di scuola. Rimpiango quasi di non essere tornata a casa. La prospettiva di passare del tempo con Grazia, per di più guardando un film che, sono sicura, la mamma mi strozzerebbe se lo sapesse, non è che mi entusiasmi. Ho già fatto la cavolata del giorno. Metti che poi ci beccano? Ma Erina sembra non preoccuparsi troppo, apre l’armadio e si mette ad armeggiare per tirare giù qualche cuscino. Intanto Grazia è tornata dalla cucina, dove era andata a parlare con la mamma di Erina e a telefonare ai suoi.

- Tutto a posto, posso rimanere. Sono così contenta! Faremo finta che tu sia la sorellina che non ho mai avuto, che ne dici Chicca? - si sorridono ed Erina le passa una t-shirt.

- Tieni, ti va di cambiarti? Magari stai più comoda.

- Grazie mille – risponde Grazia, indossando la maglietta. Beh, se non altro sono soddisfatta della scelta di Erina: le ha dato una maxi maglietta che non metterà certo in risalto il fisico di Grazia, ma … oh, ecco! Giusto! Le ragazze come lei hanno sempre l’asso nella manica … et voilà: se la arrotola su un fianco, fermandola con un nodo. Da maxi t-shirt a mini abito! Aiuto! Mi arrendo! Mi sa che non mi resta che imparare … e poi in fondo Grazia non è antipatica. Mi sa che sono un po’ gelosa, tanto vale ammetterlo, e forse dovrei solo cercare di godermi la serata, perché un pigiama party è più divertente se siamo di più e poi magari posso chiedere a Grazia se mi insegna a truccarmi.

- Ci servirà qualche schifezza da sgranocchiare, che dite? Patatine, pop corn … vado a vedere cosa è rimasto, metto a nanna i miei genitori e torno. Poi magari alle due facciamo le piadine con la cioccolata!

- Ok. Chicca scusa, ma tuo fratello che fine ha fatto?

- L’ho buttato fuori!

- Oh, povero!

- Ma figurati! Starà sul divano e se ho capito bene la mamma lascerà dormire qui anche Massimo. Sicuramente staranno svegli tutta la notte a strimpellare le loro chitarre e a sparare cavolate. Ma lo sapete che ogni tanto mi sveglio la notte perché quel matto è a sedere sul suo letto a gambe incrociate che suona? E se gli chiedo cosa fa, mi risponde “oh Erina, senti questo riff!”, e poi la mattina è in stato comatoso!

- Che dolce! – risponde Grazia – allora stanotte ci sarà pure un concerto!

- Beh, mica sono i Green Day! E poi loro sono out dalla nostra stanza! Altrimenti ci rovinano tutto il divertimento!

- Oh, chiaro Chicca, certo!

Mentre Erina è di là che cerca di mettere i suoi fuori campo, io e Grazia ci scambiamo qualche sorrisetto stiracchiato e cerco di farmi venire in mente qualcosa da chiederle che non mi faccia sembrare una perfetta idiota. Per fortuna Erina rientra quasi subito con sacchetti di patatine, pop corn e altri snack e appoggia tutto sulla scrivania. La mamma di Erina si affaccia alla porta.

- Se mi riducete la camera una discarica, domani mattina prima di uscire pulirete tutto, chiaro? – ci intima col dito teso e minaccioso. La faccia è sorridente, ma capisco che non scherza.

- Certo! – ci affrettiamo a rassicurarla, purché se ne vada al più presto – buonanotte!

Così ci ritroviamo finalmente sole e ci diamo da fare per rendere la stanza comoda. Erina prende dallo scaffale il diario di scuola che si è comprata per l’anno che deve iniziare.

- Ho visto che ci sono un sacco di test, ne facciamo qualcuno?

- Ok, e magari intanto, se vi va, vi posso insegnare a truccarvi. Ho la mia trousse in borsa. Potremmo cominciare proprio da te, Clizia, dato che Erina ha già avuto le sue prime lezioni. Che ne dici? – mi chiede, fissandomi con la sua bocca a cuore perfettamente disegnata, la testa reclinata da un lato e un bel sorriso. Cavolo se è bella!

- Lo sai cosa ti starebbe un amore, Clizia? Dei ricciolini tirabaci, qua e là, per esaltare quei tuoi capelli già mossi ma … indecisi! – e scoppia a ridere, con la sua risata piena. - Chicca, pensi che potremmo prendere l’arricciacapelli della tua mamma?

- Penso di sì. Vado a chiederglielo prima che la genitrice sprofondi nel sonno – e schizza via. 

Avrei preferito che Grazia non si concentrasse con tanto impegno su di me, perché non mi va molto di essere trasformata: e se poi sembro ridicola? Però mi scoccia fare la schifiltosa, così accetto, sperando che non venga fuori una schifezza. Erina ritorna come un razzo.

- È il regalo di Natale che il babbo ha fatto alla mamma: ha detto che se glielo rompiamo ci strozza.

- Mi sembra giusto. Ma non succederà. Allora cominciamo! Io mi metto all’opera, e tu Erina ci leggi le domande dei test e segni le risposte.

- Uhm, ce ne sono diversi … quale facciamo?

- Leggici qualche titolo, così possiamo scegliere.

- Che ne so: sei matura? Sei gelosa? Il vostro amore è finito? Il vostro è vero amore? Sai capire se gli piaci? Sei una vera amica? Test dell’autostima … oh, anche una roba per calcolare l’affinità di coppia … uhm, ma serve sapere il segno zodiacale, data di nascita del tuo lui, beh, un po’ di notizie … allora?

- Mah … lasciaci pensare un attimo. Stai ferma Clizia, o non riuscirò a stendere bene il fondotinta. Tesorino mio, avresti bisogno di prendere un bel po’ di sole. Ma non sei andata in vacanza?

- Niente vacanze quest’anno – borbotto, scrollando le spalle.

- Vabbè, le farai più belle il prossimo anno. Ci penso io a crearti un bel faccino colorito. Beh, facciamo scegliere il test a Clizia: magari ha voglia di sapere l’affinità di coppia col ragazzo che le piace.

Meno male che mi ha messo il fondotinta, perché sento che sto diventando rossa e spero che così si veda meno.

- No, tanto non mi piace nessuno.

Grazia si interrompe per guardarmi negli occhi.

- Ne sei proprio sicura?

- Ma sì, nessuno che mi interessi davvero … e poi servono un sacco di informazioni sul segno, l’ascendente e quella roba lì. Hai sentito Erina, no?

- Vuoi che non sappia queste cose di mio fratello, Cli? – si intromette Erina – dai, non fare la scema, vediamo la vostra affinità di coppia!

- Oh, ma allora abbiamo scoperto un piccolo segreto! – cinguetta Grazia, tutta contenta, con quell’aria da mammina che mi dà sui nervi. Vorrei strangolare Erina, se solo non dovessi starmene ferma immobile per non rovinare il capolavoro (parole sue!) che sta facendo Grazia su di me. Mi limito a lanciarle un’occhiata assassina.

- Ma che ho detto? – si difende lei - E dai, Clizia, abbiamo scoperto l’acqua in Arno! Si vede lontano un miglio che sei cotta come una pera. Lo sanno tutti! E ovviamente lo sa anche lui. E poi Grazia è come se fosse la nostra sorellona.

La tua sorellona casomai, brutta vipera che non sei altro! penso, serrando la bocca e restando zitta.

- Ok ragazze, mica vorrete litigare, eh? – si affretta a dire Grazia - Cambiamo test. Comunque non ti devi vergognare se sei innamorata. E poi qui stiamo solo giocando, dai. Mica prenderai sul serio queste sciocchezze? Guarda, per dimostrarti che sono solo cavolate, lo faccio io questo test. Dai, Erina, fammi il test come se piacesse a me tuo fratello.

C’è un attimo di silenzio, ma Grazia continua ad armeggiare, questa volta con l’arricciacapelli. Si alza, va ad attaccare la spina, mi fa cenno di sedermi su una sedia, con la massima naturalezza.

- Ok, però a te non piace davvero, eh? – le chiede Erina.

- Ma nooooo. Chicca, ma cosa vai a pensare? Ci conosciamo da una vita. Potrebbe essere mio fratello.

Wow, che famiglia numerosa che hai! penso, ma evito di dirlo, perché con quell’aggeggio caldo che ha in mano magari per vendicarsi mi concia i capelli una schifezza. Cavolo se mi ribolle questa frase di Grazia … questa cosa non mi piace nemmeno un po’...

- Ok, forse è meglio cambiare test. Perché non facciamo “sei una vera amica”? – propone Erina, notando la mia faccia irritata.

- Azzeccatissimo, Erina! – le faccio io, indirizzandole un sorriso dolce e un’occhiata spietata.

Andiamo avanti per un po’ a fare i test e così mi distraggo, mi rilasso e comincio a divertirmi. Dopo un po’ Grazia annuncia che ha finito di sistemarmi, mi dà un’ultima energica arruffata ai capelli per spettinarli in modo abbiano un’aria naturale e mi passa uno specchio per farmi vedere il risultato. Lì per lì aggrotto un po’ la fronte … beh, sono proprio ... diversa, ma in fondo sempre io. Niente mascheroni, come ci facevamo a volte io ed Erina quando pasticciavamo con i trucchi delle nostre mamme. Piuttosto un bel colore, dorato, che se lo avessi davvero non chiederei altro. E poi, che so, una specie di magia agli occhi. Perché adesso, invece che grandi, sembrano immensi e luminosi.

- Questo mascara è incredibile! – esclama Grazia, continuando a studiarmi, per gongolarsi del risultato ottenuto – e io so fare magie!

Io la sento appena: sono troppo concentrata a guardarmi allo specchio. Ero terrorizzata all’idea che mi facesse dei riccioli, invece ha solo accentuato il mosso dei miei capelli. Improvvisamente sento che Grazia potrebbe diventare una grande amica, tanta è la gratitudine che sento: stasera mi ha trasformata in una Clizia molto più interessante della mozzarella che sono di solito! E pace se le piace Davide: a chi la vuole dare a bere? Una ragazza innamorata come me lo capisce benissimo quando a un’altra piace lo stesso ragazzo.

- Ma come hai fatto? - le chiedo, senza riuscire a nascondere lo stupore.

- I miei mi hanno regalato un corso di trucco per il mio compleanno. Non si decidevano a capire che non mi interessa sgobbare sui libri: voglio fare l’estetista. Così mi hanno messo alla prova per vedere cosa sapevo fare ed ecco cosa ho imparato! Risultato: in autunno comincio la scuola di estetica.

- Ok, ora però sta a me! Mi fai le mani? Solo evitiamo il rosso cupo dell’altra volta. La mamma ha storto il naso.

- Chicca, ora non va più quel colore. Siamo in estate! Verde pistacchio, rosa, mirtillo, ma se proprio vuoi delle mani da urlo potrei usare le nail art pens – e, proprio come una prestigiatrice, tira fuori dalla sua mega trousse delle pennine a punta finissima, godendosi il fatto che pendiamo dalle sue labbra.

Mentre siamo tutte intente a carpire da Grazia i segreti della bellezza e a farci fare la manicure, la porta di camera si apre e fanno capolino Davide e Massimo. Prima ancora che possiamo aprire bocca ci hanno già zittite, portandosi l’indice al naso.

- Davide, non cominciare, vai fuori dai piedi – bisbiglia Erina.

- Dai, possiamo stare con voi?

- No, i maschi sono out. È contro il regolamento.

- Erina, ricordati che sono il fratello maggiore: tu dormi qui solo perché te lo concedo.

- O magari perché abbiamo una camera sola! Che c’è? Solo perché sono nata dopo, pensi che la camera sia tua?

- Esatto: sei un’ospite. E io e Massimo abbiamo voglia di ascoltare le scemenze che vi dite e vedere il film che hai nascosto sotto il materasso.

- Smettetela voi due, dai! – ci fa Grazia - Siamo amici! Perché non possiamo stare tutti insieme? Tu che dici, Clizia?

Solo allora sembra che si ricordino di me: mi puntano tutti gli occhi addosso e Davide e Massimo notano la mia trasformazione. Massimo piega la testa da un lato, aggrottando la fronte, mentre Davide mi fissa e lì per lì mi sembra gli si dipinga in faccia un’espressione di sorpresa. Sta un attimo zitto a guardarmi e poi subito la bocca gli si allarga in una risata:

- Polpettina! Sembri un angioletto!

Massimo gli assesta una manata. Dannazione! Perché deve essere sempre così odioso?

- Sei molto carina, Clizia – mi dice Massimo. E quasi quasi mi sembra che arrossisca.

- Grazie.

- Figurati! È la verità.

Colgo un’occhiata di Erina che si sposta veloce da me a Massimo. Perché diavolo a Erina non interessa più un ragazzo così dolce? Il suo complimento mi ha salvata dalla risata di Davide e mi ha fatto piacere, ma se la stessa cosa l’avesse detta Davide, sarei esplosa di gioia.

- Beh, lo vediamo questo film o no? - dice Erina, cambiando discorso. Così ci accomodiamo tutti stretti stretti sul tappeto, con le spalle alla sponda del letto e posizioniamo la tv.

- Mamma e babbo dormono?

- Come sassi, ma tieni il volume basso. 

Il film parte. E già la prima scena mi colpisce allo stomaco. Ci sono le due ragazze della copertina che si picchiano, e lì per lì non capisco cosa succeda. Sembra quasi che a loro piaccia farsi male. Per fortuna la scena dura poco e la storia prosegue con un flash back, per mostrarci la trasformazione di Tracy, la ragazza acqua e sapone che si caccerà in un mare di guai. Perché si capisce da subito che scoppierà un bel casino. Arrivo fino al punto in cui Tracy, che ha già una famiglia problematica alle spalle, decide di essere quella che non è: per farsi accettare, per sentirsi considerata, per piacere ai ragazzi … e guarda un po’, pure loro hanno pochi soldi da spendere per fare shopping, eppure trovano lo stesso il modo di prendersi le cose che vogliono. La mano mi va alla tasca della gonna: sento il lucidalabbra che ho rubato stasera e mi sembra che qualcuno mi abbia appena mollato un cazzotto nello stomaco. Però se queste sono tredicenni, io sono Babbo Natale … certo, un po’ di confusione ce l’ho anch’io nella testa, nella pancia, nelle gambe … e un po’ mi va di vederlo, questo film, perché sono curiosa, ma un po’ mi fa paura e mi fa stare male: perché un conto è avere confusione in testa, un altro è essere delle complete imbecilli. Anche un idiota lo capirebbe che se hai già dei problemi, è meglio che non continui ad infognarti in problemi ancora più grandi. E poi, avere tredici anni significa questo? Significa essere così infelici e arrabbiate? A me non sembra di essere così, penso, e mentre le immagini continuano a scorrere, la mente vola qua e là. Mi sento un po’ stupida, ma piano piano il mio corpo si abbandona seguendo i miei pensieri e gli occhi cominciano a cedere. Nessuno si accorgerà se chiudo un momento gli occhi e ascolto solamente.


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

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