GIORGIA E PIETRO
Qualcosa della mamma
ho già raccontato. Beh, almeno della sua infanzia e di come perse il suo babbo.
Forse proprio per questo è cresciuta piuttosto in fretta, con la testa sulle spalle
e senza tante fantasie. Magari è
stato il suo modo di aiutare la nonna: non crearle problemi. Dal puzzle dei
mille racconti messi insieme dai ricordi di famiglia, so che dopo il diploma di
ragioneria rinunciò ad andare all’università per cercare un lavoro. Fu assunta
come impiegata in una ditta tessile di Prato, dove aveva fatto uno stage
durante la scuola.
Fare la pendolare da
Fiesole a Prato tutti i giorni, anziché essere un sacrificio, le piaceva. La
nonna le comprò un motorino, con cui raggiungeva la stazione, e da lì prendeva
il treno. Quello stipendio la faceva sentire grande, utile e orgogliosa di se
stessa.
Con lo zio Dario era
protettiva, sembrava voler compensare l’assenza di un padre; è grazie alla
mamma che lo zio ha potuto seguire le sue aspirazioni. Lui l’ammirava così
tanto che avrebbe voluto imitarla: fare una scuola tecnica e trovare lavoro, ma
la mamma sapeva che lo zio ambiva a fare altro e così lo incoraggiò a
iscriversi al liceo classico e a fare l’università. “Lasciamo tempo al tempo”,
rispondeva la mamma a chi le diceva che sarebbe stato meglio che lo zio
trovasse presto un lavoro. Fatto sta che il tempo le ha dato ragione: lo zio è
diventato un professore di italiano e adora sua sorella, che l’ha sostenuto nel
trovare la sua strada.
Sull’infanzia del
babbo, invece, aleggia un mistero. La faccenda è un po’ ingarbugliata e bisogna
che andiamo per ordine, anche perché io stessa ci ho impiegato diverso tempo
prima di capirci qualcosa, dato che la storia era, a detta della nonna Annalena,
un po’ “scabrosa”. Dunque, la “nonna” Annie venne in Italia dalla Francia per
studiare. Mentre era qui conobbe un uomo ricco e affascinante, molto più grande
di lei, e se ne innamorò follemente. Quando Annie si rese conto di aspettare un
bambino, quest’uomo realizzò con orrore improvvisamente due cose: la prima che
si era completamente “scordato” di confessare ad Annie che era già sposato; la
seconda che aveva urgenti e improrogabili affari da sbrigare a migliaia di
chilometri di distanza … quando si dice che il tempismo è tutto nella vita! In
quattro e quattr’otto sparì di circolazione. Di lui, a parte il biasimo di
tutti, non è rimasto nient’altro. Ogni tanto ci penso e provo ad immaginarmelo:
fantastico su dove possa essere e che vita stia facendo, ammesso che sia ancora
vivo.
Annie decise di
tenere il bambino e sua sorella maggiore Therese si precipitò a Firenze per
aiutarla. Therese faceva la traduttrice e poteva svolgere il suo lavoro dove
preferiva; d’altro canto i miei bisnonni fecero capire alle due sorelle che
preferivano che non tornassero a casa in Francia, per non dare scandalo.
Dopodiché, quando il
babbo aveva poco più di un anno, Annie un giorno uscì per andare al lavoro e
non tornò più. Inghiottita dal niente. Nessuno ne seppe più nulla. È rimasto
questo macigno sul cuore di Therese e del babbo: Annie si allontanò di sua
spontanea volontà? O qualcuno le fece del male? Alla fine l’indagine fu
archiviata e il babbo fu affidato a sua zia Therese, che diventò quindi la sua
nuova “mamma”. Ripresero la loro vita: Therese era decisa a dare al bambino
un’infanzia serena e lui, così piccolo e abituato da sempre a vederla, non
sembrò risentire in modo grave della mancanza di Annie. Poi gli anni passarono,
il babbo crebbe e iniziò, dopo il diploma, a lavorare come perito tessile nella
stessa ditta dove lavorava già la mamma. A quel punto Therese decise che era
giunto il momento di pensare un po’ a se stessa. Pochi mesi dopo, con le
lacrime agli occhi per la commozione, ma determinata a concedersi di vivere la
vita che desiderava, partì per un viaggio di sei mesi in Europa. Durante la sua
vacanza telefonò ogni giorno e scrisse montagne di lettere e cartoline
affettuose al suo Pietro, perché sentiva una forte nostalgia per quel “figlio”
lontano, ma non tornò più a vivere a Firenze. Ogni volta che tornava si fermava
per qualche mese, ma poi ripartiva. Visse un po’ qua e un po’ là, ma sempre,
per così dire, con la valigia sotto il letto. Ora vive da quattro anni in Alto
Adige, a Castelrotto, e il babbo pensa che non si sposterà più. Un paio di
volte le ha proposto di tornare a Firenze, ma lei dice che lì, in quel paesino
di montagna, si è acquietato il suo spirito girovago. L’ultima foto che ci ha
mandato la ritrae in un paesaggio innevato accanto ad un buon amico, come dice
lei. Questo in effetti è stato l’altro mistero della vita della nonna Therese:
non si sposò mai. Chissà perché. Dalla foto che ho scovato un giorno di nascosto
nel comodino del babbo e che ritrae Annie e Therese, si nota, malgrado la
grande somiglianza delle sorelle, che forse la più bella delle due era proprio
Therese. Possibile che non si sia mai innamorata? Perché si dedicò a tal punto
alla sorella nei guai? Perché dalla sua bocca non uscì mai una parola di
biasimo quando Annie sparì nel nulla, lasciando il mio babbo e lei in una
situazione a dir poco complicata? Una volta chiesi al babbo cosa pensasse della
sua vera mamma. Lui rimase a fissare un punto lontano. “Non posso giudicare,
Clizia” rispose alla fine, dopo essere stato a lungo a riflettere “preferisco
pensare a lei sperando che sia viva e in pace. Io ho avuto una vita felice con
Therese, anche se mi è rimasta l’ombra di mia madre sul cuore, che a volte fa
male.”
Qualche mese dopo la
partenza di Therese, un giorno il babbo capitò per caso nell’ufficio della
mamma. Lei lavorava in contabilità e lui non aveva mai avuto occasione di
vederla: il suo lavoro, anche se nella stessa ditta, si svolgeva in ambienti
diversi. Si innamorò perdutamente al primo sguardo di quella ragazza dai
capelli scuri e cominciò a farle una corte serratissima. Lei all’inizio non
voleva prenderlo in considerazione, perché non aveva intenzione di innamorarsi
di un collega e poi il babbo aveva qualche anno meno di lei: non le sembrava
opportuno. Il babbo però non si fece scoraggiare e lei alla fine si decise a
concedergli un appuntamento, scoprendo così che condividevano molti interessi.
Iniziarono a uscire insieme e poco più di due anni dopo le campane suonarono a
festa: Giorgia e Pietro uscirono di Chiesa, stringendosi per mano, felici,
schermandosi da migliaia di chicchi di riso.
Continua ...
"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone
Foto di Engin Akyurt su Unsplash