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lunedì 27 luglio 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - nono capitolo


UNA CASA SPECIALE
 

Prima di suonare il campanello di Stefano, mi sono fermato vicino a un motorino piegando un po’ lo specchietto, per darmi una ripulita e vedere che faccia avevo. Mi sono strofinato la gora di sangue ormai secco con la saliva e mi sono passato le dita nei capelli per sistemarmi un po’ …

Ah, il problema peggiore è la faccia – ho pensato desolato.

Ero ancora così scosso da essere bianco come un cencio, molto di più del mio solito, e soprattutto avevo degli occhi che sembravano dilatati … forse un po’ pensavo già alla strada di ritorno. Forse avrei potuto farmi venire a prendere dalla mamma con una scusa, o forse … boh, ci avrei pensato dopo, adesso ero già parecchio in ritardo con tutta la faccenda che era successa.

Mi sono soffermato un attimo a considerare l’enorme cancello della villa, con accanto una targhetta di ottone e il cognome scritto in bei caratteri corsivi. Ho suonato. Una telecamera laterale a circuito chiuso mi ha inquadrato, l’ho visto con la coda dell’occhio, ma non mi sono girato. Sono rimasto fermo, di profilo, facendo finta di niente. Dopo pochi secondi il cancello si è aperto su un vialetto di ghiaia. Sono entrato e mi sono fermato, un po’ stupito, perché da fuori non immaginavo che il giardino della villa fosse così grande. Sulla destra c’era addirittura una piccola costruzione in cemento, che doveva essere una limonaia.

Intanto una signora vestita con un grembiule azzurro è venuta ad accogliermi.

– Tu devi essere Antonio, vero? – mi ha domandato sorridendo e scoprendo una fila di denti bianchissimi. Dopo la brutta avventura di poco prima, la sua gentilezza mi ha sollevato enormemente.

- Sì, sono Antonio. Piacere di conoscerla, signora Beligni – ho risposto con calore.

A quelle parole il sorriso della signora si è tramutato in una gustosa risata.

- Magari fossi io la signora, piccolo – mi ha risposto, non riuscendo a smettere di ridere – ma devo confessarti che hai comunque davanti il capo di casa. Beh, dopo i signori, ovviamente. Piacere di conoscerti, sono Malinda, la governante. Vieni che ti offro qualcosa da bere: hai una faccia che sembra tu abbia visto un fantasma … - ha esclamato mettendomi amichevolmente una mano sulla spalla. Poi ha seguitato, abbassando un po’ la voce - e vediamo cosa si può fare anche per quella macchietta di sangue sulla maglietta – ha concluso guardandomi di sottecchi.

Oh cavolo! A quella proprio non avevo fatto caso!

- Non era sporca prima … è solo che …

- So già tutto – si è limitata a rispondere lei. – Ti ho visto prima, mentre stendevo il bucato. Da lì. Ancora un poco e chiamavo i carabinieri – ha detto, indicandomi una torretta smerlata, che si ergeva a un lato della casa.

Così non ho aggiunto altro, un po’ anche perché quella villa mi metteva in soggezione … mica mi era mai capitato di vedere un posto così! Cioè, l’avevo visto, ma si trattava sempre di dimore storiche, di ville ormai non più abitate e passate di proprietà del Comune o roba del genere …e con una governante, poi … proprio come nei film! Comunque questa Malinda sapeva di roba buona, di torta di mele fatta in casa e pagnottelle di pane sfornate calde calde … di coccole e abbracci e storie davanti al camino, mi sono immaginato sognante, mentre la seguivo in cucina, e sono rimasto zitto a fantasticare tutte queste cose, mentre lei mi versava da bere e si dava da fare a smacchiare la maglia. E con un nome così, poi, non poteva che essere una specie di fata, o creatura che ….

- Perché mi guardi così? – mi ha chiesto allora lei, interrompendo i miei pensieri, reclinando un poco la testa da un lato per guardarmi meglio.

- Niente – le ho risposto arrossendo, ma non potendo fare a meno di dire la verità – è che lei è molto simpatica e stavo pensando che ha un nome bellissimo, e stavo fantasticando che lei fosse una fata …

La sua risata è risuonata di nuovo nella cucina. Così trillante, come quella di una bambina – Benedetto bambino! - Si è limitata solo a dire – ho saputo che ti avrei adorato dal primo momento che ti ho visto! – ha detto, facendomi una carezza sulla stessa guancia che era stata colpita dallo schiaffo del Guerriero e guarendo all’istante il bruciore della vergogna.    – Hai un sacco di fantasia, eh?

- Colpa di mamma, credo. Mi ha messo in mano un libro quando avevo appena tre mesi … era un libro di gomma ovviamente, di quelli morbidi da mordere e per farci il bagno, ma un libro comunque, con tanto di storia …. Di libri in casa non ne sono mai mancati …

Solo allora mi sono ricordato del perché ero lì.

- Ma Stefano dove è?

- Oh … Stefano è in ritardo, come al solito … quando va all’istituto si sa a che ora esce di casa e non si sa a che ora rientra …

- Che istituto, Malinda? – le ho chiesto incuriosito, e con un tono confidenziale che non ha stupito ne’ me, ne’ lei. Malinda è rimasta un attimo in silenzio, titubante, forse chiedendosi se si fosse fatta scappare troppo di bocca.

- Ma tu sei amico di Stefano?

- Beh, sì … voglio dire, siamo in classe insieme e ogni tanto parliamo, ma … beh, non è un amico amico, insomma, se è questo che intende …

- E allora se non sei un amico amico, come dici tu, cosa ci fai in questa casa? Lui non invita mai nessuno, a parte Marco un paio di volte, e quindi credevo che voi due …

- Beh, più che altro credo sia stato obbligato a farlo, non so nemmeno se gli fa tanto piacere …

- Chi lo ha obbligato? – mi ha chiesto, aggrottando la fronte.

- La maestra. Diciamo che nelle sue intenzioni dovremmo avere uno scambio … tipo che lui mi aiuta in matematica, materia nella quale sono deboluccio, e io l’aiuto a sciogliersi un po’ in classe …

- Ah ecco, mi sembrava strano … beh, allora scusami Antonio, ma penso che Stefano non avrebbe piacere che ti raccontassi dell’Istituto. Mi dispiace. Dovrai aspettare di diventare suo amico per davvero. Non ne resterai deluso. Ma ora, se hai finito il tuo succo di frutta, ti porto a conoscere la padrona di casa. Vieni con me! – ha concluso sorridente. E si è avviata fuori dalla porta. Dopo aver percorso un lungo corridoio, siamo entrati in una sala molto grande e quindi di nuovo in un altro corridoio, dove Malinda si è girata facendomi segno di stare in silenzio.

- Dietro questa porta c’è lo studio del dottore … è sempre molto impegnato e non vuole sentire confusione. Studia a dei casi importanti, sai ... – ha concluso annuendo.

- Dei casi? Che casi? – ho chiesto incuriosito.

- Ah, ma allora non sai proprio niente, eh? Il signore è un avvocato importante… sta sempre a studiare dei libroni grossi così … - ha detto, facendo il gesto con la mano come a mostrare dei tomi enciclopedici.

- E che c’è scritto dentro?

- Uh! E chi lo sa? Io li spolvero e basta, di tanto in tanto … ma poche volte, perché lì dentro non ci vuole mai nessuno … ah, povero signore, è sempre tanto stanco! – conclude scuotendo la testa – io glielo dico a volte di riposarsi un po’, ma lui nulla, sempre con la testa su quei libri.

- E la signora?

- Lo studio della signora invece è qui dentro. Vieni con me. Vedrai che bello!
 
Così dicendo si è fermata davanti ad una porta di legno e ha bussato.

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