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giovedì 18 aprile 2024

"Glissade" - seconda e ultima parte

 



Quell’esperienza mi regalò una visione inedita della danza: richiedeva di mettere in gioco se stessi, il proprio mondo interiore, lasciando libero il corpo di esprimersi senza costrizioni, leggi o canoni. Fu liberatorio e appagante, ma non c’erano scuole di danza nella mia città che seguivano quel metodo, e dovetti quindi considerare quello stage solo come una piacevole parentesi.

Sei mesi dopo Blair ripartì per l’America. Fu dura non averla più a casa con noi: la sua allegria riusciva sempre a contagiarmi e a farmi vedere le cose con più leggerezza. Mi ero così affezionata a lei che non volli più nessuna ragazza alla pari in casa nostra. 

La mia vita, negli anni che seguirono, sembrava viaggiare su un binario ben definito sotto la guida e gli insegnamenti di Anna, malgrado i dubbi che spesso mi assalivano e che non riuscivo a sciogliere. La  scorsa estate però, casualmente, lessi sul giornale che Nath Taylor, dopo nove anni, era di nuovo in Italia, per un workshop estivo di sei giorni che si sarebbe tenuto a Napoli.

Io, Lara e Lapo partimmo: loro visitarono la costiera amalfitana, io rimasi a Napoli per partecipare al seminario. Ritrovai di nuovo quella gioia di danzare che avevo provato da bambina a quello stage. Prima di ripartire mi chiesero di lasciare un recapito: in autunno ci sarebbe stata un’audizione a Milano per l’ammissione a un anno di studio alla scuola di New York. Volevo partecipare? D’istinto risposi di sì.





L’edificio dove si terrà l’audizione è in una zona industriale di Milano, un ex fabbrica dismessa trasformata in centro sperimentale.

Sono arrivata in ampio anticipo, già truccata con cura e con i capelli sistemati con uno chignon che lascia completamente scoperto il collo e il viso. Voglio avere il tempo per fare un po’ di stretching e riscaldare i muscoli, fare degli esercizi di respirazione e visualizzazioni positive. Indosso le mie scarpette da punta rossa e un tutù nero e corto, comprato per l’occasione.

La spazio dove ci esibiremo è enorme: tutti i candidati dovranno ballare contemporaneamente, improvvisando su musiche che sceglierà il direttore della scuola di New York. Mi chiedo come potrò farmi notare in quella situazione. Non so cosa aspettarmi. Cerco di concentrarmi e di allontanare ogni pensiero negativo. Ci chiamano. Siamo pronti a iniziare. Cerco di non pensare a tutti gli altri ballerini, cerco di immaginarmi in uno spazio vuoto, dove far fluire il mio intimo. Chiudo gli occhi e tento di imporre al mio respiro un ritmo profondo. La musica parte e inizio a ballare. Adatto i movimenti della danza classica, quelli che mi sono più familiari, a una musica moderna. Chiedo al mio corpo di parlare, di essere fluido e padroneggiare il movimento, nascondendo ogni sforzo, curando la bellezza delle linee, di avvitarsi verso l’alto come se non avesse peso. Nelle orecchie ho la musica, nella mente il film delle mie lunghe ore di allenamenti, nel cuore un desiderio di fiorire, di esplodere, inondare questa sala di tutte le mie emozioni, ma non so come, mi accorgo che non so come. Forse i miei movimenti sono perfetti, ma non basta questa perfezione, lo sento, lo sento che ci vorrebbe altro, altro, altro, altro …  Nonostante abbia cercato di prepararmi per questa audizione, non è facile volare via dalla gabbia del rigore, estendere il movimento, sentirmi libera di osare di esprimere il mio mondo interiore. All’improvviso mi ritorna in mente un airone che vidi volare sul fiume anni fa: il suo volo rapido, potente, maestoso, le lunghe zampe tese, il collo flessuoso … come allora rivive in me una strana suggestione che mi spinge a concentrarmi sul centro del mio corpo e sviluppare il movimento dall’energia che mi sento dentro. La musica non è più qualcosa che sento, ma risuona dentro di me. Abbandono l’impostazione rigida del classico e inizio a esplorare il movimento: nascono linee spezzate, vibrazioni, movimenti asimmetrici, forze che si attraggono e respingono, contrazioni e distensioni. Pensavo di avere di fronte due opzioni, di dover scegliere una o l’altra, ma in realtà c’è una terza possibilità: essere me stessa, con tutto il mio vissuto classico e la voglia di esplorare il contemporaneo. Il mio volto lascia trasparire tutto adesso, non nascondo più nulla, mi lascio andare. Eccomi! Sono qui, finalmente! Sono io: il movimento che si unisce alla mia interiorità. Mi sto donando: ballo usando tutto il corpo, lo spirito, la sensibilità. Forse non sono perfetta, ma sono emozione, sono bellezza, sono arte.

La musica si interrompe e mi risveglio dal mio incantesimo. Mi sento il cuore martellare nelle orecchie. L’audizione è finita, e in qualunque modo sia andata va bene così, posso uscire a testa alta. Faccio un inchino. Vedo dei piedi che mi si avvicinano.

It looks like you’re hungry.

Alzo la testa. Davanti a me c’è Nath Taylor.  

I’m starving, Sir.


Testo di Daniela Darone

Prima foto in alto: di Ezkol Arnak - www.pexels.com

Seconda foto: di Fabrício Lira - www.pexels.com

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