Cerca nel blog

domenica 1 novembre 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - quattordicesimo capitolo


ANCORA LEI?!

 
Stamani, come tutte le mattine ormai, sono sgattaiolato il più velocemente possibile in classe per non incontrare Gennaro nei corridoi. Come se fosse colpa mia, poi, tutto quello che è successo! Dovrebbe essere lui a nascondersi, e invece va a finire che sono io che scappo! Comunque ho deciso che diventerò davvero amico di Stefano, almeno la finirà di passare la ricreazione in classe a leggere libri. Da oggi, più che mai, dopo la giornata passata insieme ieri, rappresento il suo ponte per arrivare ai nostri compagni di classe. Già … ma se poi va a finire che cominciano a prendere in giro anche me? Se cominciamo a stare sempre insieme, può essere che alla fine ricominceranno a bersagliarmi per via dei miei capelli: ci pensi che coppia?! Unti lui e rossi io, alé. Se la mamma potesse leggermi nel pensiero, sicuramente rimarrebbe male. Lei è convinta che tutte le persone che incontriamo possano arricchire una parte di noi, e non c’è da preoccuparsi di ciò che pensa la gente, soprattutto quando è stupida, gretta e … com’è che dice? Ah, ignorante. Ma sì, sfodererò una sicurezza olimpionica e farò il naturale. Dopotutto Stefano non è per niente antipatico. Mica è colpa sua se è intelligente!

- Ciao Antonio – mi fa Stefano non appena mi avvicino al nostro banco, alzando appena gli occhi.

-’Giorno Ste – gli rispondo lanciando lo zaino sotto il banco.

- Vuoi che riguardiamo il problema insieme prima che inizi la lezione? – fa lui, levandosi gli occhiali e iniziando a pulire le lenti - o ti scoccia e in classe continui a stare con i tuoi amici di prima? – mi chiede abbassando un po’ la voce – perché se è così, non c’è problema, eh, ti capisco. Non dev’essere facile essere il compagno di banco dell’untore … - conclude cercando di sorridere e di far vedere che a lui non importa. Di solito sarei andato a fare due chiacchiere sul calcio con Leonardo o a fare qualche scambio di figurine, ma dopo questo inizio non ci penso nemmeno.

- Ma che stai dicendo? Io ero tuo amico anche prima, solo che con Leonardo e gli altri ci conosciamo da più tempo: tu sei in classe nostra solo da quest’anno.

- Uhm … - mugugna lui con aria scettica -farò finta di crederci … qui dentro non c’è nessuno che dall’inizio dell’anno abbia parlato con me più di dieci minuti o mi abbia chiesto di vederci fuori … beh, eccetto Marco … forse l’unico adatto a stare con me perché, come dite voi, cammina come un cammello …

Beh, e ora cosa rispondo? Secondo la classe, in generale, è proprio così. Avevo sentito un sacco di battute su quei due. Però Marco è comunque dei nostri, anche se lo prendono in giro perché sembra scoordinato per via dell’altezza e non vincerà mai il titolo di mister mondo … però è simpatico, gioca bene a basket e a lui non importa molto quello che dicono su di lui, o almeno così sembra …

- Comunque io non ti ho mai chiamato untore … e chi lo fa, è uno stupido! E quanto a Marco, quando giochiamo a basket all’ora di educazione fisica, farebbero tutti a botte pur di averlo in squadra!

Lui rimane zitto, serrando la bocca, e non risponde niente.

- Meglio pensare a riguardare il problema, dai – gli dico scrollando le spalle - Però ti avverto, eh? Un po’ ero stanco, un po’ mia sorella mi stava fra i piedi, un po’ mica avevo tanta voglia ….

- Va bene, dai, vediamo che hai combinato: mica devi stare a giustificarti, eh? Non sono la maestra! - fa allora lui e già mi sembra più rilassato.

Così abbiamo riguardato il problema, che avevo ovviamente sbagliato, anche se Stefano è stato gentile e ha detto che forse aveva esagerato a volermi far fare quell’esercizio in più.

Quando finalmente siamo usciti da scuola, neanche a farlo apposta, ho intravisto Gennaro e i nostri sguardi si sono incrociati per un momento, fra la confusione dei ragazzi. Mi è sembrato che la sua espressione contenesse una domanda del tipo: “E allora Anto’, come la mettiamo? Facciamo pace?” Ma quando l’ho ricercato con lo sguardo, lui era già sparito. Mentre mi avviavo verso casa, una bici mi è sfrecciata accanto a tutta velocità e, subito dopo avermi sorpassato, ha tirato un’inchiodata. Non ho potuto fare a meno di voltarmi. La strada era bagnata, la ruota davanti ha sbandato e la tipa ha fatto un bel volo per terra.

- Urca che botta! – ha esclamato, mentre le volava via il cappello e il suo zaino si rovesciava, facendo cadere rovinosamente tutti i libri e i quaderni in una pozza. Mi sono avvicinato per aiutarla e l’ho riconosciuta. Ecco perché il cappello le era volato via: con quella massa di capelli lanosi stile rasta, ci sarebbe voluto un cappello da elefante per contenerli!

- Accidenti a te caccoletta! – ha esordito, controllandosi il ginocchio – è tutto il giorno che ti cerco. Dove diavolo ti eri cacciato?

- Come scusa?

- Come scusa? – mi ha rifatto il verso con la bocca arricciata – din don … buongiorno! Sei sveglio? Ho detto che è tutto il giorno che ti cerco. Pensavo andassi alla succursale delle medie, e ho fatto diecimila giri prima di pensare che forse eri ancora alle elementari … puah, che pivello! Uhm … però sei alto per la tua età … mica sarai ripetente? Oddio, un po’ doddo sei, però …

- Hai finito o ti sei incantata? – ho cominciato con rabbia, dopo essere stato investito dalle sue chiacchiere – E così sarei doddo, eh? No dico, ma ti sei vista che in che condizioni vai a giro? Con questi capelli assurdi e tutta vestita di nero, con tutti questi braccialetti di gomma … ah … faccio guardando la roba che lei intanto sta rimettendo nello zaino e notando un pacchetto di sigarette – fumi pure … alla tua età, pensa un po’ da chi mi devo sentir dire che sono doddo! Puah! Chissà che saporaccio hai in bocca!

- Ok ok pivello, sembri la fotocopia di mia mamma … peace, va bene? – dice mostrandomi il dito indice e medio a forma di V ed esagerando un sorrisone. - Comunque le siga non sono mie, sono di quel tonto che ti ha fregato i soldi …

- Ah, già, il tuo ragazzo … complimenti per la scelta! Scommetto che tua mamma ne è felice! – le dico in tono ironico.

- Ex ragazzo, please … l’ho mollato quello scemo. Ci stavo solo per fare rabbia a mia madre … - Poi mi dà un’occhiata da sotto in su, davvero storta.

- Ero solo venuta a riportarti questi, ma forse ho fatto male: sei un astioso insopportabile… - e così dicendo tira fuori dalla tasca del giubbotto cinque euro e me li mette in mano. - Li ho recuperati per te e volevo renderteli …-

- Ah, io …- ho risposto, non riuscendo a trovare le parole. Improvvisamente mi ha spiazzato: dopo quel suo tono superiore, ti viene fuori con un gesto così giusto … e poi come ha fatto a recuperarli da quel mastino? Sembra leggermi nel pensiero.

- Oh, non stare a preoccuparti, è stato un gioco da ragazzi …- fa con gesto noncurante.

- Beh, ma come …

- E’ solo un pagliaccio. Viaggio sicura perché sa benissimo che mio padre è un poliziotto e se si azzarda a torcermi anche un solo capello, beh, peggio per lui …

- Un poliziotto! Forte!

- Forte? Sì, di tanto in tanto, quando l’incontro, non è niente male.

- Lavora molto, eh?

- Non so. Vive a Torino. Figlia di genitori separati. Non fare quella faccia da “oh, ho fatto una gaffe”. Ormai ci sono abituata, più o meno. Sei anche tu nel club?

- No, io … -

- Lucky you!

- Ma che è questa mania dell’inglese?

- Oh, scusa, mi viene fuori di tanto in tanto. E’ colpa del puzzle della mia famiglia. E’ pazzesco: babbo italiano, mamma americana, un nonno spagnolo, una nonna francese. E’ incredibile ma vero, in famiglia abbiamo uno spirito gitano. Parlo quattro lingue. La mamma mi ha raccontato che fino a cinque anni non ho detto una parola, poi … crash! Il big ben! Ho cominciato a parlare e non mi sono più fermata.

- Cavolo … sono senza parole … ecco perché parli a mitragliatrice, come prima!

- Sì, beh, comunque per parlare di lingua te ne serve una sola e non è detto che tu riesca a farti capire lo stesso … vedi te per esempio … Sei a piedi? Vieni che ti accompagno a casa in bici - ha concluso, prima che avessi potuto replicare qualcosa. Non ho saputo ancora una volta cosa rispondere, così mi sono limitato a montare ritto in piedi sul portapacchi. Il fatto è che mi sentivo così normale rispetto a lei, che non sapevo proprio cosa avrei potuto dirle. Forse avrei potuto accennare dell’atletica e dei miei ultimi record personali, ho pensato mentre lei si lanciava a tutta velocità per la discesa. Siamo sfrecciati davanti ad un gruppetto di VB, fra i quali c’era anche Valentina. Ho fatto appena in tempo a notare le sue sopracciglia che si arcuavano, come a chiedersi chi era quella tipa in bici e cosa ci facessi lì con lei. Ma è stato solo un attimo.

Nessun commento:

Posta un commento