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martedì 29 aprile 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" 🍮 Il dolce bretone di Therese



Per voi che avete già letto il diciottesimo capitolo di Clizia T. - lo spessore dei sogni (https://blookintreccinellarete.blogspot.com/2025/03/clizia-t-lo-spessore-dei-sogni.html). 

Forse vi va di assaggiare il dolce bretone di cui parlava Therese. Prima di partire la nonna ci ha lasciato la ricetta, ma era un po' di corsa, così l'ha scritta in francese. Qui di seguito ve la riporto in italiano: 

Scegliete materie prime di qualità, altrimenti il sapore verrà alterato.

Per 250 grammi di farina occorrono 1 litro di latte, 4 uova, 250 grammi di zucchero, 1 pizzico di sale, 1 cucchiaino di olio e delle prugne (o uvetta. Per la quantità, regolatevi un po' a occhio e a seconda dei vostri gusti. La nonna usa sempre le prugne, non l'uvetta). 

Passate le prugne nella farina, per evitare che "cadano" tutte in fondo alla teglia. Mescolate tutti gli ingredienti e versate il composto in uno stampo imburrato. 

Cuocete a temperatura media (così prevede la ricetta. Therese la cuoce in forno statico preriscaldato a 200 gradi per 1 ora). 

Vedrete, è un dolce buonissimo! Un abbraccio, Clizia

p.s. la prossima volta vi scrivo anche la ricetta della Gougère Bourguignonne di Therese. A presto! 

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventunesimo capitolo

 




PER FORTUNA ERO SOLO IO



A casa c’è mezza Santa Croce e i genitori di Erina mi accolgono facendomi un sacco di feste. In sala alcuni mobili sono stati spostati per far posto per ballare e c’è già una musica assordante. I vassoi con i panini e i dolci sono tutti allineati accanto alle bibite. Mi aggiro per casa come una di famiglia e ritrovo parecchi amici della Piazza e qualcuno di classe, ma di Davide nessuna traccia. Mi ricordo improvvisamente che non ho ancora dato il regalo ad Erina, così mi affretto a toglierlo dallo zainetto e la cerco in camera sua, seguendo la sua voce squillante e la sua risata. Mi affaccio ed eccoli lì: Erina, Davide e Massimo. Per un attimo mi manca il fiato e il cuore mi batte così forte che sento il rimbombo nelle orecchie.

- Ciao testa vuota! Ci stavamo proprio chiedendo dove fossi – esclama Davide venendo verso di me – dove siete andate a far danni, tu e mia sorella?

Lì per lì penso che Erina gli abbia raccontato di quanto è successo prima e le lancio un’occhiataccia, ma lei scuote la testa e mi rilancia uno sguardo che in codice significa “ma sei pazza? Acqua in bocca anche con mio fratello!”, quindi mi metto tranquilla e mi faccio abbracciare, sperando che Davide non mi molli tanto alla svelta. Anche Massimo mi accoglie, ma con una pacca sulle spalle da amico, magari perché a lui la cotta per Erina non gli è passata.

- Ragazzi, ma che fate? Di là ci sono i vostri amici che fanno tappezzeria – ci fa la mamma di Erina, entrando in camera – dai, andate a fare gli onori di casa.

- Ora non ti mettere a fare la mammina premurosa! – le fa Erina, sbuffando - Avevi promesso che ti confinavi da qualche parte.

- Carina, prima che io mi confini da qualche parte ne passeranno di anni! Me ne vado in camera, ma occhio: posso sempre arrivare all’improvviso per un’ispezione a sorpresa!

- Non ti preoccupare ma’, ci pensiamo noi alle bambine – le dice Davide, assumendo l’aria da fratello maggiore.

- Allora mi preoccupo davvero! Ricordati che tu e Massimo siete qui per aiutarmi a gestire problemi che spero non ci saranno, non per fare i galletti: ci siamo capiti? – conclude, lanciandogli un’occhiata d’intesa.

- Ma figurati! Siamo troppo grandi per le amiche di Erina! – esclama Davide. A quelle parole mi sento una pugnalata in pieno petto, però incasso, facendo finta di nulla e aggrappandomi alla luce che mandano i suoi occhi, che ridono in modo impertinente.

- Non fate i furbi! – intima la mamma, scomparendo dalla stanza.

Quando andiamo in salotto tutti si affrettano a dare i loro regali ad Erina, ma lei apre per prima il mio.

- Wow, Clizia! È fighissima, grazie! - e fila in bagno a provarsela, tornando in tempo record per farsi ammirare. Le sta bene: la maglietta è proprio carina e Erina stasera è ancora più bella del solito. Da quand’è che ha messo su quel seno? Può essere una terza? C’è qualcosa di diverso in lei, tanto che mi sembra di vederla per la prima volta.

- Allora? Che ne dici della musica? Massimo ha fatto un cd apposta per questa festa. È cotto, poveretto, anche se pensa che io non lo sappia. Peccato per lui, perché la mia sorellina ha preso il largo - mi sussurra Davide, avvicinandosi all’improvviso. Ridendo si porta il dito indice al naso, come per suggerirmi di stare zitta e mi abbraccia. - Balli?

In quel momento sta iniziando un brano di John Legend, romanticissimo, torcibudella e da ginocchia molli, e non ho ancora risposto, così presa alla sprovvista, che Davide mi mette le braccia intorno ai fianchi e comincia a ballare.

- Rilassati. Basta che mi metti le braccia intorno al collo e ti dondoli qua e là: niente di più semplice - mi dice sorridendo.

Io mi sento un paletto, tanto sono tesa, ma cerco di farmi trasportare dalla musica e mi concentro sulla canzone, sulle parole meravigliose che spero che un giorno qualcuno dirà anche a me. Piano piano mi rilasso, anche perché Davide inizia a chiacchierare di non so cosa. Un po’ non riesco a sentire perché la musica è troppo alta, un po’ sono confusa ed emozionata: è il mio primo lento, e non me l’aspettavo. Ogni tanto Davide avvicina la testa ai miei capelli e mi sento un brivido che mi corre lungo tutta la schiena. Il tempo passa troppo velocemente e la musica cambia, si fonde in un ritmo più veloce. Il lento è finito. Davide si allontana un poco.

- Grazie di questo ballo, signorina – mi dice, simulando un comportamento d’un ragazzo d’altri tempi. Sta per allontanarsi, così io potrò svenire senza che mi veda, quando si riavvicina, aggrottando la fronte.

- Clizia, scusa, ma … hai mangiato le polpette? – mi sussurra.

Rimango senza parole, confusa e interdetta. La mente corre a casa: cosa diavolo ho mangiato prima di uscire? Ma cosa … ah già, le crocchette di verdura della mamma!

- Sì … cioè no, ho assaggiato delle crocchette di verdure – oddio, forse avevo l’alito che sapeva di aglio? Ma mi sono lavata i denti come un’ossessa prima di uscire e ho usato un litro di collutorio!

- Si sente! I tuoi capelli sanno di fritto! T’immagini se dovevi uscire con un ragazzo? Ricorda: mai fare il fritto, prima di un appuntamento ... altrimenti sei fritta! Per fortuna questa volta ero solo io …- e mi strizza l’occhio, ridendo, prima di allontanarsi.

Mi sento una gran rabbia che mi sale dentro, che si mescola all’imbarazzo e all’umiliazione.

- Beh? Perché questa faccia? – mi fa Erina, arrivando tutta allegra – sbaglio o hai appena ballato un lento con mio fratello?

- Lasciamo perdere! Mi ha appena detto che i miei capelli puzzano di fritto!

- Oh … - Erina si avvicina di più per annusarmi ed io mi ritraggo un po’– beh, però ha ragione: vuoi lavarteli? Guarda che non c’è problema, vai un attimo in bagno, ti presto il phon e …

- No, grazie. Se da una distanza di sicurezza non si sente nulla, vuol dire che sarà stato il mio primo e ultimo lento, almeno per oggi! Però che carogna tuo fratello, sembra che lo faccia apposta a mettermi in imbarazzo!

- Dai, non te la prendere, lo sai che quelli carini sono così. Senti, volevo dirti una cosa – continua Erina, prendendomi per mano e portandomi un attimo in camera sua – non te l’avevo ancora detto, ma … sai, alla fine della scuola mi sono venute … - arrossisce un po’ e abbassa gli occhi.

Lì per lì non capisco, sono ancora arrabbiata con quello scemo di Davide.

- Cosa vuoi dire?

- Le mestruazioni – fa lei, serrando la bocca e alzando le spalle, con un gesto di ovvietà – oddio, lo sai che mi fa schifo pronunciare quella parola! È una parola orrenda. Dovrebbero levarla dal vocabolario e inventarne una nuova. Comunque, quelle …

- Oh, quelle …

- E a te?

- No, non ancora. Mi sa che sono rimasta l’ultima ritardataria! Sai, prima ti guardavo e mi sembravi diversa e non capivo cosa fosse. Deve essere per quello che sei diventata così.

- Così come?

- Così bella. Sembri di colpo una ragazza grande e quelli di classe nostra sembrano dei bambini. Lo sai che piaci a Massimo? Me l’ha detto Davide.

Lei ride, con una risata piena e soddisfatta.

- Lo so, lo so! Mi guarda con certi occhi che se ne è accorta pure la mamma. Ma a me non piace più.

- Come cambiano le cose, eh? Due mesi fa ti batteva il cuore solo se lo intravedevi fra la folla di Santa Croce …

- Due mesi fa sono preistoria, Clizia. Dai, andiamo di là.

Come torniamo in sala, Massimo si avvicina a Erina e la invita a ballare. Lei accetta e mi strizza un occhio, mentre si dirige con lui al centro della stanza. Intanto mi guardo intorno: le vacanze hanno cambiato alcuni di classe, mentre altri sembrano i soliti di sempre: più rassicuranti, almeno per me. Chissà che effetto faccio a loro, come mi trovano. Mi avvicino a un gruppetto e mi inserisco nelle loro chiacchiere, lanciando ogni tanto delle occhiate alla pista, per vedere se Erina si sgancia da Massimo. Principalmente sono venuta per stare con lei. Mi manca, perché prima ci vedevamo quasi ogni giorno e spesso, dopo scuola, ci telefonavamo. Ora invece a Fiesole, tutte le volte che sento il bisogno di parlarle, sono costretta per un motivo o per un altro a mandarle solo dei messaggi o a farle telefonate lampo. Penso a tutto questo mentre la osservo ballare con lui: a prima vista sembra che sia contenta e che lo tratti con amicizia ma, a guardarla bene, pare che ci sia dell’altro, che abbia un modo di fare strano. Finalmente vedo che gli dice qualcosa all’orecchio e poi si allontana. Viene verso di me.

- Sicura che Massimo non ti piaccia più, Erina?

- Sicura.

- Allora perché facevi la scema mentre ballavi?

- Cosa? Io non facevo la scema …

- Sì, la facevi … sembrava di no, ma a guardarti bene, Erina, io che ti conosco …

- Clizia, non mi interessa più. Davvero. Solo che mi piace come mi guarda. Mi piace piacergli. Mi fa sentire grande.

- Però forse lui può capire qualcosa di diverso, se fai così … può pensare che ti interessi.

Lei alza le spalle.

- E allora? Che problema c’è? È solo un gioco, Clizia.

Lancio un’occhiata a Massimo, che la sta ancora guardando con un’aria inebetita: da un lato mi fa pena, dall’altro mi fa quasi rabbia. Per un attimo penso che forse anche io guardo Davide come lui guarda Erina. Sono due spietati fratelli rubacuori, anche se so benissimo che Erina non ha mai baciato un ragazzo. Come me, del resto.

- Magari però è meglio se la smetti di fare la donna fatale.

- Ma che dici, Clizia?

- Falla finita, Massimo può restarci male. Ne so qualcosa io, con quello scemo di tuo fratello.

- Devi smettere di pensare a Davide, Clizia. È tempo perso.

- Grazie. Ora che mi hai pugnalata mi sento molto, molto meglio!

Dopo un po’ sentiamo suonare alla porta. Sono le teglie di pizza a domicilio che ha ordinato la mamma di Erina. Tutti si fiondano al tavolo, facendo la caccia ai tranci più conditi, mentre Davide e Massimo accendono la Wii per giocare a Just dance.

Alle undici non c’è quasi più nessuno e Erina accompagna alla porta gli ultimi ritardatari, mentre i genitori sono giù al portone e ogni tanto scampanellano per sollecitare i figli a raggiungerli. Finalmente la porta si chiude dietro l’ultimo irriducibile ed Erina fa il broncio, venendo verso di me.

- Ora andrai via pure tu, e il mio compleanno sarà già finito! L’ho aspettato un secolo e se ne è andato in un soffio!

Già. Dovrei chiamare lo zio e dirgli di venire a prendermi. Davide e Massimo sono in camera a strimpellare le loro chitarre.

- Vorrei poter restare ancora qui! Però è stato divertente, dai! E poi tanto ci vediamo fra qualche giorno, no?

- Ma a me dispiace se vai via! Resta ancora, dai!

All’improvviso un lampo le passa negli occhi.

- Che c’è?

- Ho appena avuto un’idea geniale!


Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Matheus Bertelli, da pexels

lunedì 14 aprile 2025

"Clizia T. - Lo spessore dei sogni" - Ventesimo capitolo

 


LO VOGLIO E ME LO PRENDO!


Siamo sull’autobus che si dirige a valle, scendendo i tornanti. Mi sento come in gita: elettrizzata. Fra poco sarò di nuovo in centro: rivedrò Erina e Davide e ritroverò il mio Trappolino che mi saluta con la zampa alzata.

Alla fine, dandomi un’occhiata allo specchio prima di uscire, il risultato finale non mi sembrava male. Il sole in questo periodo mi ha schiarito un po’ i capelli e sembra che abbia le mèche e, approfittando che la mamma era intenta a cucinare, sono sgattaiolata in bagno e mi sono messa il suo mascara. All’inizio mi ero sbavata tutto un occhio, così ho dovuto lavarmi il viso e strofinarmi bene, col risultato di arrossarmi tutte le guance. Poi ci ho riprovato, con maggior attenzione, ed è andata: mi sono venuti due fanali al posto degli occhi. Prima di uscire dal bagno ho provato due o tre sguardi per Davide. Poi sono uscita, perché non volevo mi beccassero a fare la scema davanti allo specchio.

Ora, sull’autobus, qualche ragazza mi guarda, non capisco se per invidia perché sono con uno come mio zio o perché le colpisco col mio sguardo spaziale. Comunque mi sento leggera e chiacchieriamo allegramente, mentre lo zio mi racconta qualche aneddoto delle sue vacanze. Via via che ci avviciniamo al luogo dell’appuntamento divento sempre più impaziente e quando finalmente imbocchiamo via Calzaiuoli non riesco più a trattenermi: i piedi sembrano volare verso la meta! Arriviamo davanti alla Rinascente, ma ancora Erina non c’è. Li per lì mi viene una punta d’ansia, ma non passano due minuti che la vedo arrivare di corsa. All star bianche e un vestitino corto azzurro, i lunghi capelli castani che le danzano sulle spalle. Super abbronzata. Mi vola addosso, abbracciandomi.

- Buon compleanno, Erina! Ehi, ma stai benissimo! Sembri Beyonce!

- Grazie! Anche tu stai bene, Clizia! Che maglina carina! Oh, buongiorno Dario – dice allo zio, abbassando un po’ gli occhi, dato che lo zio la mette sempre un po’ in soggezione. Lui le sorride.

- Ok ragazze, allora vi lascio. Non combinate disastri – ci dice scherzando e facendoci l’occhiolino – Clizia, quando finisce la festa fammi uno squillo sul cellulare e ti vengo a prendere.

- Perché non facciamo un giro alla Rinascente, prima? - mi chiede Erina - è così caldo, ed ancora è presto per la festa.

- Ok

- Ora che mi ci fate pensare, ho un’amica che lavora al reparto profumeria. Magari entro a salutarla.

- È la sua fidanzata, Dario? - gli chiede Erina, ridendo.

- Direi proprio di no. Sono ancora libero!

Entriamo tutti e tre e ci dirigiamo al banco profumeria. L’amica dello zio è al suo posto, truccata come un’attrice e fasciata in un abitino rosso fuoco. Mentre ci avviciniamo lei gli sorride e lo zio ci presenta.

- Rossella, sei bellissima! – le dice lo zio, galante.

- Grazie, ma ho i piedi distrutti! Questi tacchi mi stanno facendo morire. Per fortuna fra un’ora ho finito.

- Allora perché non vieni con me a vedere la mostra a palazzo Strozzi ? O forse con quelle scarpe non è il caso?

- Stai scherzando? Ho le scarpe da ginnastica nello spogliatoio! Mica me la perdo un’occasione così! – gli dice, strizzandogli l’occhio.

Dopo che Rossella ci ha spruzzato sui polsi un profumo agrumato buonissimo, li lasciamo lì a chiacchierare da soli, per non essere di troppo e riprendiamo a girellare qua e là. In ogni specchio mi dò una sbirciatina e accanto ad Erina mi vedo sempre come un lenzuolino di bucato. Alla fine glielo dico, sconsolata.

- Beh, ma basta un po’ di trucco! Vicino agli espositori ci sono sempre i pennelloni per i tester … ci diamo una spennellata e via! - mi dice, facendo la faccetta furba.

- Ma lo zio, però … i miei non vogliono che mi trucchi. Dicono che sono troppo piccola!

- Ma figurati! Tuo zio non fa certo caso a noi! Sta parlando con la sua amica. Ci trucchiamo e usciamo subito, così non lo incontriamo di nuovo e non se ne accorge. E poi stasera, prima che venga a prenderti, ti strucchi a casa mia.

Un’altra occhiata allo specchio mi convince a darle ragione. Su un espositore Erina trova una terra iridescente e se la passa sulle guance, che le diventano subito super brillantinose. Solo in quel momento mi accorgo che ha anche lo smalto alle unghie, dello stesso colore del vestito. Peccato non averci pensato anche io! Anche se avevo solo lo smalto trasparente, almeno avrei avuto delle unghie luminose.

- Vediamo cosa possiamo fare per te, mozzarellina mia! - mi dice, studiandomi con occhio critico.

Mi vengono in mente all’improvviso i pomeriggi a casa sua, quando eravamo piccole e giocavamo a truccarci con i trucchi della sua mamma: anziché essere più belle sembravamo dei clown! Lei sembra leggermi nel pensiero.

- Non guardarmi con quegli occhi preoccupati! Guarda che ho imparato a truccarmi, cosa credi?

- E quando avresti imparato? – le chiedo, perplessa.

- Mi ha insegnato Grazia! Chiaramente non sono al suo livello, ma me la cavo.

Non riesco a non provare una fitta di gelosia. Bella acuta, al centro del petto. Lei e Grazia? Che c’entra Grazia con lei? Erina è più piccola e fino a qualche tempo prima, quando andavamo in piazza Santa Croce insieme, Grazia ci considerava “le piccolette” e stava sempre a parlottare con quelli più grandi. Ma chissà, forse Grazia vuole arrivare a Davide tramite la sorellina …

- Allora?! Mi rispondi?

- Cosa?

- Ma mi ascolti? Sei lì, tutta imbambolata! Guarda che non abbiamo tanto tempo! Stavo dicendo che questo fondotinta mi sembra troppo scuro per te, va a finire che crea un effetto maschera. Forse è meglio questa tonalità chiara, che comunque ti dona un’abbronzatura lieve, cosa ne dici?

- Ok, fai pure - le rispondo con ansia, notando lo sguardo astioso di una commessa. Lei si mette a spalmarmi quella roba sul viso, usando le dita, ed io cerco di stare più ferma possibile, sperando che faccia un buon lavoro.

- Certo che sarebbe meglio avere una spugnetta per sfumarlo …

Mi guardo critica nello specchio: sicuramente meglio di prima. Ora però ci vorrebbe un lucidalabbra. Con sollievo della commessa ci spostiamo da uno stand ad un altro. Immediatamente ci si presentano davanti innumerevoli astuccini colorati: chiari, scuri, con brillantini, gloss, profumati …

- Guarda questo com’è figo – mi fa Erina, mostrandomi un rossetto arancio metallizzato – È spiritoso! Ti starebbe bene, con quelle lentiggini e la pelle più dorata … Per me invece questo – mi dice, facendo l’occhiolino – è un bronzo lucido da dea! Ce li compriamo?

Evito la domanda e prendo tempo.

- Massimo c’è alla festa?

- Sì, ma che c’entra? – mi fa lei, sorpresa – comunque non mi piace più.

- Sì, lo so che ora ti piace Fabio, quello del mare.

- Ah sì, vabbè, ma Fabio non sta a Firenze. Casomai lo ribecco il prossimo anno al mare. Invece ora mi sa che mi interessa Duccio. Sai quello di classe nostra? L’ho incontrato ieri al mercato centrale. Devi vedere come è diventato carino da quando si è fatto crescere i capelli! A proposito, gli ho proposto di andare con i nostri compagni di classe a mangiare la pizza una di queste sere, prima che ricominci la scuola. Dopo magari gli mandiamo un messaggio per proporgli una data. Tu pensi di venire?

- Uhm, boh – bofonchio.

- Dai! Anche se non sarai con noi quest’anno non ti farebbe piacere rivedere i nostri amici?

Mi sembra quasi che Erina non si renda conto della nuova situazione e mi infastidisce. Perché non capisce che non ho soldi da spendere? Rimango un attimo a fissare i piccoli e scintillanti rossetti negli espositori. Tutto ad un tratto quel tubettino arancione mi sembra la cosa più desiderabile al mondo.

- Senti Erina, perché invece di comprarli non ce li prendiamo e basta questi rossetti? – le chiedo, senza girarmi a guardarla. Erina ha un attimo di esitazione, ma sento il suo respiro che si fa più veloce. L’idea le piace, lo so.

- E come facciamo?

- Li prendiamo e poi usciamo subito – le dico, guardandomi intorno. Lei mi imita, il suo sguardo scruta con circospezione le persone vicine: nessuno sembra fare caso a noi. - Hai deciso quale vuoi? Va bene quello bronzo da dea o no?

- Si, voglio quello. E tu?

- Quello arancio, come hai detto tu. Hai preso il tuo?

- Ce l’ho già. E tu?

- A posto. Andiamo.

Lì per lì mi assale un attimo di esitazione e mi viene voglia di mollare. Ho paura, almeno un po’. Però da una parte mi sento una strana forza che mi spinge a farlo: mi piace, lo voglio e, dato che non ho soldi da spendere, me lo prendo. Non voglio sentirmi una sfigata. Voglio andare alla festa con un lucidalabbra da sballo. Potrei mettermelo di nascosto qui in negozio, ma lo voglio anche domani. E il giorno dopo. Voglio che sia mio. La commessa è occupata con un’anziana che la fa dannare chiedendole una crema antirughe davvero efficace: povera donna, non si rende conto di quanto è ridicola? Più che una crema, ci vorrebbe un miracolo! Tiro Erina per il vestito e ci dirigiamo svelte all’uscita. È strano: mi sento agitata, ma in fondo è stato anche facile. Bastano tre passi e saremo fuori, in piazza della Repubblica, sotto il sole afoso e con un rossetto nuovo di zecca in tasca. Sento il tubetto nella taschina della minigonna che preme sulla mia gamba. Erina apre la porta d’uscita, la seguo. Una mano pesante si posa sulla mia spalla, mi ferma. Il cervello mi si blocca. Non penso a niente mentre mi giro, mi si dipinge solo in faccia quell’espressione un po’ stupida che hanno i colpevoli. C’è un omone davanti a me.

– Lo scontrino? – mi chiede. Solamente due parole, senza tante cerimonie, tanto lo sa cos’è successo. È sicuro di sé. Cerco goffamente nelle tasche, quasi che lo scontrino possa materializzarsi come per magia. Lo guardo. Non ha nessuna espressione negli occhi. Forse solo una punta di biasimo. Sto per aprire bocca, forse solo per la sorpresa, perché non so cosa sto per dire.

- Eccomi ragazze! – la voce dello zio irrompe in quel silenzio irreale e la sua persona si frappone fra me e l’omone. Erina è già sul marciapiede. Mi sembra un gioco dell’oca, dove lei sta su una casella in salvo, mentre io sono all’imprevisto.

- Che succede, Clizia? – mi chiede lo zio. Vorrei avere una pala per scavare una buca profonda e scomparirci dentro, tanta è la vergogna.

- La signorina stava uscendo senza pagare il rossettino – risponde la guardia, che non è vestita da guardia, mannaggia a lui, ecco perché mi ha fregata. Il tono che usa per umiliarmi mi nausea, mi fa sembrare ancora più orrenda e sciocca e …

- Ho io lo scontrino delle signorine – risponde allora lui – La colpa è mia, mi ero attardato a chiacchierare con la commessa per avere un consiglio su un profumo. La signorina del banco 4 mi stava appunto dicendo …

- È tutto a posto, Vanni – gli dice Rossella, arrivando ticchettando sui suoi tacchi alti – il signore voleva acquistare un profumo, ma le ragazzine avevano fretta. Scusami, gli ho detto io che poteva pagare dopo avergli fatto sentire il tester. Le note di fondo si sentono meglio dopo qualche minuto: dopo aver spruzzato il profumo sul cartoncino l’ho mandato a pagare i lucidalabbra. Ho detto alle ragazzine che potevano andare. Mi dispiace che ti sia allarmato per niente.

- Rossella, lo sai che …

- Lo so, Vanni, scusami. Era che non trovavo il tester. Lo sai come fanno qui i clienti, mescolano sempre tutti i flaconi, un disastro! Loro dovevano andare e così … - gli dice sorridendo e stringendosi nelle spalle.

Lui prende comunque lo scontrino che gli porge lo zio e lo guarda. Lì per lì sembra quasi impacciato.

- Allora, se è tutto a posto ... – riprende, senza lasciare la sua aria accigliata. – Ma non è regolare, comunque. Quando si esce dal negozio il prodotto deve già essere pagato.

- Ha ragione. Signorina, la prego di perdonarmi se lo ho causato dei problemi col suo collega. Naturalmente è tutta colpa mia – riprende lo zio.

Rossella lancia uno sguardo irresistibile al suo collega Vanni, che finalmente distende il viso. E poi dicono che essere belle non serve a niente!

- I giovani: hanno sempre fretta! – conclude e, rivolgendo un sorriso a Rossella e un cenno allo zio, si allontana.

- Grazie – bisbiglia lo zio a Rossella – ripasso dopo a prenderti.

- Meglio di no. Ci troviamo davanti a Palazzo Strozzi. Non vorrei che Vanni mi vedesse con te, potrebbe insospettirsi …

- Giusto. Allora a dopo – risponde lo zio, prendendomi per un braccio. Mi spinge fuori dal negozio. Erina ci aspetta sull’angolo e sembra quasi che l’abbronzatura le sia sparita dal viso. Nessuno di noi dice una parola. Lo zio non mi guarda nemmeno. Tiene gli occhi fissi sulla giostra antica di cavalli della piazza. Preferirei un ceffone, piuttosto che questo silenzio. Improvvisamente, senza salutarmi, si avvia a grandi passi per via Calimala. Noi gli trottiamo dietro e facciamo fatica a stare al passo. Lui non si volta, e solo allora mi viene in mente che in fondo, prima di quest’idiozia, ci eravamo già salutati ed accordati per la sera. Forse non mi vuole parlare e vuole stare solo, ma non posso lasciare che vada via così. Arriviamo in silenzio, ma col fiatone, fino al Ponte Vecchio. Improvvisamente lo zio si ferma e si affaccia al parapetto, guardando l’Arno che scorre sotto di noi. Io mi avvicino e gli vado accanto, mentre Erina rimane un po’ in disparte.

- Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia! Cosa diavolo ti è preso, Clizia? – mi chiede, sempre senza guardarmi e tenendo gli occhi fissi sul fiume.

- Non lo so.

- Non lo sai! - risponde, con rabbia trattenuta - Però se non era per Rossella e per me, che vi tenevo d’occhio, adesso saresti in un ufficio ad aspettare il babbo e la mamma! Non hanno già abbastanza problemi in questo momento? Potevano denunciarti!

Rimango in silenzio, e sento un brivido improvviso che mi percorre la schiena. Ha ragione. Altro che festa. La serata si sarebbe conclusa amaramente.

- Chi sei, Clizia? – mi chiede allora. E finalmente si gira e mi guarda.

- Non lo so. Non so chi sono!

- Se non sai chi sei, prova a pensare a chi non sei, per prima cosa – risponde lui, prendendomi per le spalle - E tu non sei una ladra! Nei momenti di confusione, è scegliendo cosa non sei, che viene fuori pian piano quello che sei.

Chino gli occhi e mi sento spuntare le lacrime. Lo zio si fruga in tasca alla ricerca di un fazzoletto.

- Non ti conviene piangere. Ti colerebbe il mascara che ti sei messa di nascosto a casa.

- Oh, allora tu …

- Oh, allora non sono proprio così scemo.

- Non volevo dire questo!

- Non siete tagliate per essere delle piccole ladre: goffe, sprovvedute, troppo nervose. Il vostro atteggiamento richiamava l’attenzione. Pensate di sapere tutto e non sapete niente. Pensate di fregare il mondo e invece vi fregate da sole. Spero che vi serva di lezione! – fa una breve pausa, poi con un gesto eloquente mi invita a fargli vedere il lucidalabbra. Lo tiro fuori di tasca e glielo porgo. Lo guarda e se lo rigira fra le mani. Lì per lì penso che voglia buttarlo nel fiume. Poi mi mette davanti agli occhi quel tubetto luminoso.

- Ne valeva la pena? – mi chiede. Lo guardo. Improvvisamente non mi sembra più così desiderabile. Carino, sì, ma non fondamentale. E poi forse appiccica troppo le labbra. Me lo rende. Lo metto in tasca e mi sembra che mi pesi, quasi.

- Appena rientriamo a casa vai subito a lavarti la faccia. Ora vai, altrimenti va a finire che fate tardi.

Mi fa un sorrisino, ma ha gli occhi tristi e io vorrei prendermi a schiaffi da sola per il dispiacere. Mi allungo per dargli un bacino e poi mi volto in fretta e scappo via, con Erina che mi segue, di corsa, e chiama il mio nome. Ma non mi fermo, continuo a correre per mandar via quella strana elettricità che mi scorre dentro. La folla di turisti si apre al mio passaggio. Alla fine Erina mi raggiunge davanti al Caffè Rivoire.

- Ma che fai? Clizia! – rimaniamo un attimo a guardarci, col fiatone – Dai, adesso smettila, andiamo a casa. Fra poco inizia la festa. - Mi mette una mano su una spalla e ci incamminiamo per via Calzaiuoli - L’hai visto il tuo Trappolino? Piscia in Arno … -

- Allora stasera piove.

- Figurati!

- Trappolino non sbaglia mai!

Erina mi assesta una spallata e mi arruffa i capelli.

- Smetti di avere quell’aria imbronciata. Non ci pensare più, dai, è stata una cavolata! Mica abbiamo rapinato una banca! –

Poi mi prende per mano e camminiamo vicine vicine, come facevamo quando eravamo piccole. Ha un profumo buono e un’aria felice, così sorrido anche io.

Continua ...



"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone

Foto di Daniela Darone