HAI MAI VISTO “GISELLE”?
Nonostante il balletto non sia una delle mie massime aspirazioni, l’atmosfera carica di emozione e attesa che pervade il Teatro Romano riesce a contagiare anche me: il palco è allestito in modo suggestivo ed è impossibile rimanere indifferenti. Serena non smette di allungare il collo verso il proscenio, forse con la speranza di intravedere qualche volto a lei noto. Quando ho chiesto alla nonna perché avesse deciso di portarci proprio a un balletto, mi ha risposto che, non avendone io mai visto uno, era ora che colmassi questa lacuna. Quindi eccoci qui per assistere a “Il lago dei cigni”.
La nonna, prima di uscire di casa, mi ha raccontato tutta la storia di Odette. Ha aggiunto qua e là un paio di informazioni tecniche che ha “rubato” da Internet, tanto per non farmi rimanere come una babbea se Serena mi parlerà del balletto e poi, strizzandomi un occhio, ha detto che era un’ottima occasione per passare del tempo con Serena su un terreno a lei caro. Ok, strategicamente non ho niente da obiettare: Serena, infatti, è al massimo dell’eccitazione! Le brillano gli occhi e continua a parlarmi dello spettacolo che ha visto al Teatro Antico a Taormina il mese scorso: Roberto Bolle con i ballerini del Metropolitan. Non ho capito se è stato prima o dopo Malta … beati loro!
- Oddio, Clizia, non puoi capire l’emozione che ho provato! Vedevo i ballerini librarsi in aria come sorretti da fili invisibili! E che grazia, che energia interpretativa!
Mentre cerco di annotarmi mentalmente nomi ed osservazioni, giusto per “entrare nel personaggio”, come dice Therese, vedo che Serena non smette di torcersi le mani mentre parla, e le nocche addirittura le si sbiancano.
- Sai, io non sono molto brava nei salti – riprende, facendo una smorfia - la mia insegnante dice che non ho abbastanza spinta e concentrazione. Il fatto è che saltare, nella danza, richiede una coordinazione impressionante: il peso del corpo, la posizione delle braccia, la velocità, la posizione della testa e mille altri dettagli … hai mai visto “Giselle”?
Assumo un’espressione meditabonda e accenno un movimento d’assenso con la testa: non ho idea di chi sia questa Giselle, ma preferisco non dirglielo! Lei comunque riprende subito a spiegare.
- Il pubblico deve immaginare che tu stia fluttuando in aria e in questo caso devi saltare in modo totalmente diverso da quello che faresti per un balletto moderno, dove il salto è molto più veloce, meno romantico ... – conclude, arricciando la bocca, chiaramente insoddisfatta dei suoi risultati.
- Beh, se sai dove devi migliorare, sai anche dove devi esercitarti di più!
- Oh, certo, la volontà non mi manca – e, mentre mi risponde, ammicca verso il basso. Il mio sguardo segue il suo, e sgrano gli occhi quando Serena, con una piccola smorfia, si sfila la scarpa, mostrandomi i piedi con il sangue a fior di pelle. Aggrotto la fronte.
- Ti fanno molto male?
Per tutta risposta solleva le spalle, in un gesto di noncuranza.
- Quando si indossano le punte è inevitabile procurarsi ferite, vesciche, calli … anche se ci sono dei cerotti e delle bende specifiche, non sono mai abbastanza. Molto dipende dalla sudorazione dei piedi. Comunque, ogni volta che finisci la lezione, se ti va bene ti trovi con i piedi arrossati e doloranti, e quando ti va peggio, con vesciche o ferite sanguinanti. Quindi mi tocca usare chili di mercurio cromo, cicatrene, creme all'ossido di zinco. Alla fine ti vengono dei piedi callosi e davvero brutti! Ma il dolore non finisce comunque! – sospira - Non è una strada facile, ma se vuoi diventare una ballerina professionista devi lavorare sodo. La passione, comunque, ti fa superare tutto, credimi!
Rimango senza parole. Mi colpisce la determinazione di Serena. Devo ammettere che un po’ mi fa pena, con quel piede rovinato e l’ansia di non essere abbastanza brava, ma l’ammiro anche, perché per rimanere così focalizzata sull’obiettivo deve avere molto carattere.
In quel momento le luci sul palcoscenico si accendono e inizia la musica. I ballerini entrano in scena. Scende un silenzio bellissimo e tutto il pubblico si concentra su di loro. Serena beve alla fonte del sapere: è raggiante e concentrata, sembra che studi ogni singolo movimento, ogni gesto. Ogni tanto la nonna si piega verso di me per un’occhiata, un’osservazione, quasi a voler sottolineare i momenti più significativi del balletto. Cara nonna, mi sa che il tuo impegno sia tutta fatica sprecata. Mi sto rendendo conto che io e Serena non diventeremo mai le classiche amiche del cuore che escono e studiano insieme, mangiano schifezze ai fast food o roba del genere. Mi sa che Serena la maggior parte del suo tempo lo passerà con persone diverse da me. Alla mamma forse basterà farle un piatto di insalata con una fettina ai ferri, dato il fisico che sfoggia: ha un corpo asciutto, muscoloso ma aggraziato, e una pelle perfetta da due litri d’acqua al giorno!
Quando rientriamo a casa dormono tutti. Lo zio, relegato in sala per cedere il letto a Therese, ha lasciato le persiane aperte e la luce della luna gli illumina il volto. In mano ha un libro aperto che adesso poggia sul suo petto. Deve essersi addormentato mentre leggeva.
- Quel beau jeune homme – dice Therese, guardando lo zio con un sorriso tenero sul volto, e distrattamente mi porge una busta – praline, vorresti darla al babbo domani mattina? Non perderla, eh?
- Va bene, nonna. Ma non puoi dargliela tu?
- Partirò molto presto, Clizia. Lo sai che i saluti mi fanno piangere.
- Ma il babbo non ti accompagna alla stazione?
- Con la macchina rotta?
- Oh, cavolini fritti! È vero!
- Bien bien, tutto si ripara, ma praline. Un taxi andrà benissimo.
- Pagherai un occhio della testa, nonna …
- Preferisco così, Clizia. Bonne nuit, chérie.
Mi viene un groppo in gola e mi metto a piangere, singhiozzando. Mi aggrappo al collo della nonna come se volessi ancorarmi a lei. Perché Therese non può stare sempre con noi? È il raggio di sole che rischiara le mie giornate, mi capisce, conserva un cuore giovane da ragazzina. Come sempre mi rendo conto che avrei voluto stare di più con lei, e invece …
- Non vorrai far piangere una vecchia signora, Clizia ... fila a letto! Tornerò presto a trovarvi. Solo … invece delle solite telefonate, non vorresti scrivermi, qualche volta? Potresti farmi sapere come va la scuola, qualcosa sui nuovi amici e come se la passano Pietro e Giorgia …
- D'accord, mamie. Ti scriverò delle mail …
- Mi piacerebbe di più alla vecchia maniera: lettere scritte a mano, su una bella carta … mi piace immaginarti mentre attacchi il francobollo ed esci per andare a impostare … e poi questa lettera che si mette in viaggio verso di me … e la gioia di vederla nella cassetta … aprire la busta, piano, per non lacerarla e spiegare il foglio, leggere e rileggere vedendo la tua calligrafia … toccare quel foglio che hai toccato tu, su cui hai scritto per me … non ti sembra molto più bello di una mail? Per la corrispondenza sono rimasta una romantica, con il gusto dell’attesa.
Sorrido con dolcezza.
- Se ti piace di più, farò così. Solo dovrai avere pazienza: la mail sarebbe stata più veloce!
- Oh, Clizia, la pazienza non mi manca … niente è mai stato subito.
Rimango un attimo a guardarla, me la imprimo bene nella mente e mi profondo in un abbraccio stritolatore. Poi le poggio un bacino sulla guancia e scappo via. La nonna è una rondine, penso, ma una rondine che ha perso la bussola. Migra dove c’è freddo per portare in regalo il calore che ha dentro di sé.
Continua ...
"Clizia T. - Lo spessore dei sogni", di Daniela Darone
Foto di Kazuo ota su Unsplash
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